Capitolo 8 Di regali, di cuori sanguinanti e di lunghe preparazioni
«Santo cielo, Tony, sarà pure un'auto di gran lusso ma dietro è una scatola di sardine!» Clint quasi aggredì Stark, al volante della sua vettura sportiva. L'Audi R8 V10 era veramente un gioiello ma l'abitacolo posteriore si presentava di dimensioni minuscole e lui stava diventando insofferente, peggio di Thor nella stessa posizione.
All'uscita dallo spogliatoio si era offerto di accompagnare Julia alla scuola con un taxi, ma Tony si era messo in mezzo e si erano ritrovati con lui in direzione Westchester County, la giovane seduta davanti per galanteria. Almeno il collega evitava di fumare il sigaro in auto!
«Julia, come sopporti Clint? Dimmi qual è il segreto per farlo smettere di brontolare, a parte il tuo visino e i tuoi occhi da gatta!» il miliardario sghignazzò e Barton evitò di dargli un pizzicotto solo perché stava guidando. Maledisse che l'Audi fosse stata parcheggiata dal miliardario nel garage dello S.H.I.E.L.D..
«Nessun segreto» mormorò Fenice, voltandosi indietro e ponendo la mano sull'avambraccio dell'arciere «Siamo a poche miglia dalla scuola, abbi pazienza».
«Impossibile, bellezza, ha persino ripreso a studiare! Secondo me perché ha scoperto che esiste una Giulietta tutta per lui. Gesù, Clint Barton che legge Romeo e Giulietta, credo abbia del miracoloso, Falco, ignorante che non sei altro» con voce grave, citò a memoria gli ultimi versi della tragedia «Un livido silenzio è disceso su Verona. Neppure il sole osa affacciarsi all'orizzonte. Perché mai storia fu più dolorosa di quella di Giulietta e del suo Romeo».
«Possibile che devi fare sempre il cretino?» Clint era arrossito, e pure le guance di Julia erano divenute color porpora.
Fu lei a difendere il Falco a spada tratta «Veramente, Tony, terrei a sottolineare che Clint va soltanto ammirato per essersi rimesso in pista nello studio, alla sua età. Ė un allievo molto dotato».
«Adesso si dice dotato! Ambigua!» Tony divenne sempre più insistente nello sfottò.
«Menomale che siamo arrivati» era l'alba del giorno successivo a quello in cui era partita con gli Avengers, e Julia non credeva che a quell'ora del mattino i suoi amici e gli studenti l'aspettassero sveglia.
Avvertiti da Xavier dell'atterraggio del Quinjet, i giovani della scuola si erano affacciati alle finestre. Appena Fenice scese dall'auto, nel parcheggio, i vetri si aprirono e un rumoroso battimani l'accolse. Nelle ultime ore trascorse, gli allievi erano stati informati dal professore sul buon esito della missione. Charles aveva, infatti, utilizzato il marchingegno Cerebro restando in contatto con la telepate, fino a vedere il successo del suo operato e l'aiuto fornito a Banner.
«Congratulazioni, Nick Fury era entusiasta della vostra collaborazione» la sedia a rotelle di Xavier scese dalla pedana approntata alla destra dell'entrata, verso la sua allieva. Il professore tese la mano a Barton e a Stark in segno di saluto, seguito da Hank nel suo aspetto umano. Raven, Ororo e Kurt abbracciarono Julia, mentre Erik, in un elegante completo blu scuro, era rimasto un paio di metri indietro.
«È stato entusiasmante, non vedo l'ora di raccontarvi» la bruna tirò maggiormente addosso la sciarpa nera, per proteggersi dall'umidità del mattino, con Tempesta che gliela sistemava. L'amica si distingueva per un look particolare, una sorta di punk moderno e sfumato. La scelta originale era caduta su un paio di jeans skinny aderenti a vita bassa, una gamba di stoffa rossa e l'altra a righe verticali rosse e nere, e una maglia scura in stile gotico con borchie a forma di cerchio metallico argentato.
«Sarete stanchi. Volete entrare per la colazione, o un caffè?» Mystica li invitò ad accomodarsi.
«Hai ragione, siamo esausti. Grazie, no, sarà per la prossima volta» l'arciere rifiutò l'offerta.
Julia lo fissò, incerta, chiedendosi come salutarlo. Le premeva una cosa più delle altre e la domandò «Ci vediamo domani, per la lezione?». Era un punto irrisolto fra loro, e durante la corsa in taxi Clint non aveva confermato né smentito il proseguo della frequentazione della scuola.
L'arciere le sorrise, con complicità «Non mancherei per nulla al mondo, professoressa. Riposati». Avevano speso tutti molte energie; per Fenice, tuttavia, l'utilizzo dei poteri era particolarmente stancante, come a suo tempo aveva spiegato il dottor McCoy, e lui stesso lo aveva verificato quando si era addormentata a casa sua. Barton ritenne fosse preferibile che dormisse e la rassicurò sulla sua presenza l'indomani, lasciando a Tony l'esibizione del commiato con una sgommata che i giovani mutanti avrebbero ricordato a lungo.
Nelle orecchie il rumore della marmitta dell'Audi, Julia apprese che vi fosse una sorpresa per lei.
Tempesta non stava più nella pelle, Wagner la sgomitava.
«Smettetela, ragazzi, su» Raven esortò la bruna ad andare nella propria camera.
Salite le scale, lei aprì la porta e fu avvolta da un caratteristico odore dolciastro. Sulla scrivania era posato un vaso contenente una pianta i cui fiori pendevano ordinatamente in fila su steli arcuati. Erano di un rosa scuro intenso, a forma di cuoricino, con un'appendice sulla punta che pareva una lacrima.
Hank sfoderò le proprie conoscenze, con una breve lezione di botanica «In latino si chiamano Dicentra spectabilis, sono volgarmente detti cuori sanguinanti, bleeding hearts. O fiori lira perché la sagoma ricorda lo strumento ad arco medievale oppure cuori di Maria, per via della forma e del colore tendente al rosso. Appartengono alla famiglia dei papaveri e provengono dall'Estremo Oriente. Di solito raggiungono un'altezza di due o tre piedi, e fioriscono in aprile o maggio. Come suggerisce il nome comune delle piante, i cuori sanguinanti portano fiori a forma di cuore, dai quali una piccola goccia di sangue dondola sul fondo. In quelli rosa che ti hanno regalato, la goccia è più bella, perché, aprendosi, sfuma in un colore bianco definito».
«Il solito sapientone. Chi te li manda? Diccelo, dai, siamo curiosi» Kurt indicò la carta crespa sul vaso dov'era spillata una bustina.
«Non siete curiosi, siete degli impiccioni. Lasciamo Julia tranquilla. A dopo, tesoro» Mystica chiuse la porta, sicura di chi avesse fatto recapitare la pianta alla sua amica. Così come Ororo «Dai, Kurt, siamo di troppo».
Julia, rimasta sola, tentennò. Abbandonò la borsa di Vuitton sul letto, tolse la pashmina e le scarpe, riponendole nel guardaroba, e, con calma, si avvicinò alla pianta. Il bigliettino nella busta racchiudeva una frase scritta al computer. Intuì il mittente senza arrivare a leggere la firma: Se qualcuno ama un fiore, di cui esiste un solo esemplare in milioni e milioni di stelle, questo basta a farlo felice quando lo guarda. Era una citazione, tratta da Il Piccolo Principe, un testo che lei amava moltissimo.
Commossa dal senso dell'aforisma, eliminò la carta crespa intorno al vaso, gettandola nel cestino dei rifiuti. L'etichetta adesiva dorata riportava il riferimento di un negozio presso cui era possibile effettuare ordinazioni on line. Probabilmente l'Avenger aveva acquistato la pianta sul sito dell'esercizio commerciale quando si era cambiato nello spogliatoio del quartier generale, unico momento in cui erano stati separati.
Sfiorò i petali dei fiori pendenti: la forma era sul serio simile a un delizioso cuoricino. Un'emozione fortissima si impossessò di lei, constatando che il regalo dell'arciere avesse una connotazione romantica e che si fosse impegnato a trovare una frase da scrivere che rappresentava la parola fine alla discussione avuta in taxi.
Il bussare al legno della porta si accompagnò alla richiesta di Erik di scendere a colazione.
Julia aveva fatto una lunga doccia calda alla base degli Avengers, prima di tornare alla scuola e si era appisolata sul Quinjet. Il borbottio dello stomaco segnalò che avesse appetito «Ottima idea».
«Charles vorrebbe un resoconto su quanto avvenuto in missione, mangeremo nel suo studio per stare tutti assieme, lontano dagli allievi» Magneto la informò ed espresse le proprie perplessità sull'operato dell'amica «Potevi evitare di farti strumentalizzare dagli Avengers, la tua partecipazione alla missione è solo l'inizio di ciò che vuole il governo. Credevo fossi dalla mia parte, Fenice, che mi avresti appoggiato in un fronte comune di opposizione a lavorare insieme a loro. Ero preoccupato, perché i componenti dei Vendicatori sono persone carine ma non hanno poteri al nostro livello e soprattutto al tuo. Sarebbe potuto accaderti qualcosa di brutto, non ci hai pensato? Il problema è che tu sei già coinvolta personalmente, ci sei dentro fino al collo, vero?» la lusingò, riferendosi implicitamente a Clint, il cui regalo aveva intravisto sulla scrivania della stanza. Le parole pronunciate sembravano motivate dal bene e dall'affetto che aveva per lei.
«Erik, la mia vita privata è privata, non accetto illazioni o battutine, non offenderti» sistemò i capelli in una comoda coda con un elastico rosa, esprimendosi con pacatezza e uguale decisione «Ti sbagli, comunque. Nei momenti di difficoltà, gli Avengers mi hanno protetto, mi hanno guardato le spalle e io l'ho fatto con loro, com'è accaduto le poche volte che noi due abbiamo combattuto assieme, poteri o non poteri». Barton era stato quello dei sei che aveva avuto più riguardo per lei, omise di dirlo per non indispettire ulteriormente Lehnsherr.
Un piatto già pronto con una crespella di spinaci e un contorno di purè di patate era stato preparato da Raven per l'amica. Una coppetta con crema di ricotta aromatizzata alla menta era posta di lato. La mutaforma aveva ascoltato la conversazione e vi si agganciò «È un ottimo atteggiamento, Erik, quello che dovrebbe avere chiunque si batta fianco a fianco. Buon appetito, tesoro. Sappiamo a grandi linee come si siano svolti i fatti. Raccontaci dei dettagli, dei vostri avversari».
«Solo se ti va» Charles, a capotavola, sorseggiava un corposo tè nero a foglia lunga.
«Abbiamo portato con noi due gemelli, Wanda e Pietro Maximoff, orfani di guerra sokovi, che l'HYDRA ha sottoposto a esperimenti per renderli dei potenziati. Lui si muove a incredibile velocità, lei lancia scie di energia, manipola la realtà creando ciò che vuole nelle menti altrui. Un potere terribile se mal utilizzato».
«Julia, né più né meno del tuo. Sei stata in grado di gestirlo perché hai incontrato il nostro professor X sul tuo cammino. Tu e tutti noi. Avremmo potuto usare le nostre abilità per scopi personali, per arricchirci o chissà che altro» Mystica, a otto anni, completamente blu, si era intrufolata nella villa della famiglia Xavier, disperata, cercando un riparo. Credeva di essere l'unica, un caso mostruoso da studiare, ripugnante anche ai propri cari. Per caso, invece, mentre apriva lo sportello del frigorifero in cucina per cercare qualcosa da mettere sotto i denti era comparso Charles, e avevano scoperto di essere molto simili.
Da allora la fascinosa bionda era rimasta sempre a vivere alla magione. Il professore era il suo migliore amico e la sua sola famiglia, poi ingranditasi di altri elementi fino alla conoscenza con il suo grande amore.
«Hai ragione. Ora, comunque, sono alla base degli Avengers, sedati. C'è pure lo scettro di Loki con la Gemma della Mente, lo scopo della nostra missione di recupero» Julia si dilungò sulla descrizione della pietra, rispondendo a tutte le curiosità dei suoi amici.
Erik le sembrò il più interessato all'esperienza che aveva vissuto. Non si meravigliò del suo coinvolgimento, attribuendolo alla raccolta di elementi a sfavore di un'alleanza con i Vendicatori più che a una vera apprensione per la sua incolumità, giacché lui terminò, laconicamente, verso Charles «Professore caro, senza la nostra Fenice gli umani sarebbero ancora in Sokovia a giocare a palle di neve con i potenziati. Sono loro che hanno bisogno di noi e non noi di loro, ricordatelo bene». Non aveva toccato cibo e si alzò, per uscire sulla terrazza a fumare una sigaretta.
«Non sono d'accordo, il risultato che avete ottenuto è stato realizzato proprio grazie alla collaborazione con i nuovi compagni che hai seguito. La missione, per mio conto, è stata un successo e mi auguro sia solo l'inizio, visto il suo esito. Nick Fury ti ha elogiato, Julia, e mi pare un tipo di poche parole. Immagino che voi due non vediate l'ora di chiudervi in stanza a spettegolare, per cui vi libero, fanciulle» il telepate aveva visto gli sguardi di Julia e di Ororo, pronte sui blocchi di partenza per scappare come gazzelle in cerca di privacy per scambiarsi confidenze. Non se lo fecero ripetere e si rifugiarono nella camera di Tempesta.
Un materasso singolo era posato sul pavimento, senza rete, avvolto in un piumino grigio con la rappresentazione di un teschio nero nella parte centrale. I mobili di legno nero erano ridotti al minimo indispensabile tranne gli scaffali coi vinili, i cd, il giradischi e lo stereo. Cuscini argentati con la stampa rock erano ovunque a terra. Sulla parete avio scuro erano appesi poster di gruppi rock e punk accanto a uno skateboard con la scritta Born to be a rock star, su cui Ororo si muoveva perfino nei corridoi della scuola, da ragazzina. Sopra scrivania era posata una tastiera elettrica di piccole dimensioni, molto sofisticata. L'armadio dalle ante aperte strabordava di vestiti, i comodini erano invasi da gadget inutili e da una miriade di prodotti per il trucco.
«Amo il tuo disordine».
«Cambia discorso cento volte e cento volte io ti riporterò sul pezzo. Il tuo arciere ti ha mandato una pianta che ha un significato molto preciso. Gli hai fatto sanguinare il cuore. Non avevo dubbi» mentre si lavava i denti con la musica di sottofondo, Tempesta chiese del contenuto del biglietto «Che ti ha scritto? Ha abbozzato una freccia?».
«Una frase che mi ha colpito, se non ti spiace vorrei tenerla per me. Bello questo» dal guardaroba, Julia estrasse su una stampella di legno chiaro decorata a mano da alcune pietre sferiche viola e rosa, suo regalo per una compagna attenta ai dettami della moda.
Vi era appeso un abito nero, lungo al ginocchio, col cartellino ancora attaccato. Il velluto crespo del corpetto e della gonna scampanata era arricchito dalle maniche di voile, liscio e trasparente, a contrasto. La scollatura a V, sensuale ed elegante, sfiorava l'incavo dei seni, Fenice lo comprese quando se lo accostò addosso e si specchiò.
«Quasi troppo serio per te. L'hai preso per me, non è vero?» si voltò verso Ororo, uscita dalla toilette, intuendolo.
«Può essere» avevano la stessa taglia ed era capitato che si scambiassero dei capi di abbigliamento, in casi sporadici visti i gusti opposti «Scommetterei un fulmine o un tornado che tu e chi so io uscirete presto insieme, per un'occasione speciale, e dovrai vestirti come si deve per sedurlo. Altre effusioni da raccontarmi oltre al bacio scandaloso con te, in ginocchio sopra di lui, in un'auto magnifica?».
«No, però ci siamo chiariti e devo chiamarlo per ringraziarlo della pianta. Posso farlo da qui? Mi tieni la mano?». Riposto l'abito nell'armadio, le porse la sinistra, trovando il numero di Clint in rubrica sul cellulare preso dalla tasca posteriore dei jeans.
«Ovvio che sì, ma non facciamo prove della telefonata. Sii sciolta, fai l'indifferente» Tempesta strinse la mano dell'amica e rimase in muto silenzio, con l'orecchio accanto allo smartphone, per sentire meglio.
Barton rispose al quarto squillo «Ciao, Julia».
«Ciao, Clint. Grazie infinite per la pianta e per il biglietto».
«Era solo un pensiero per farmi perdonare di essere sparito quando non ci siamo sentiti. Julia, ho letto la frase in rete e mi ha colpito, mi ha ricordato te» era un essere speciale, aveva tenuto a sottolinearlo con l'aforisma, sbilanciandosi sul proprio sentimento, ovunque lo avrebbe portato quanto c'era tra loro. Aspettava, fremente, la sua telefonata, certo che lo avrebbe chiamato proprio per via del regalo. Aveva rifiutato l'invito di Tony per fare colazione insieme, al solito locale arabo dove il miliardario offriva shawarma di carne di pollo avvolto nella classica pita mediorientale, preferendo accomodarsi sul divano di casa con una tazza di caffè in una mano e l'adorato testo di Romeo e Giulietta nell'altra.
«Non hai nulla da farti perdonare, è tutto a posto, e sì, avevo intuito il senso delle parole che mi hai dedicato. Ho perso il conto della nostra scommessa, tu?» cercò un gancio per vederlo in un luogo che non fosse la scuola, osservando la manica del vestitino sbucare dal guardaroba. Tempesta aveva espresso verbalmente un'ipotesi che lei stessa anelava con fervore si realizzasse al più presto.
«Chi fra noi due ha eliminato più avversari? Tu, non c'è gara e non avrei dovuto accettare il confronto. Sono un misero arciere, umano, e tu una mutante di livello cinque. Ti devo una cena, ma a una condizione» lui prese la palla al balzo per un incontro al di fuori delle lezioni.
«Dipende dalla condizione, quale sarebbe?» avrebbe accettato qualsiasi proposta; tuttavia, indagò, facendosi un pochino desiderare.
«Stavolta ti porterò a mangiare in un vero ristorante, da un vero chef. Ci stai?» avrebbe scelto un locale raffinato per una serata indimenticabile e sarebbe stata l'occasione per Julia di vincere un'altra delle sue paure, quella della presenza di molti altri umani intorno in un luogo pubblico.
«Va bene, accetto. Facciamo venerdì, il sabato non abbiamo lezione e non ci saranno problemi con l'orario di rientro» la data sul calendario divenne prossima, reale e piuttosto vicina.
«Certo, ottimo. Ci vediamo domani mattina, alla scuola, come promesso. Riguardati» il Falco la salutò, soddisfatto, e Fenice lo ricambiò.
«Mi sembra di capire che passerai una serata strepitosa» Tempesta saltellava per la stanza, in preda a un sano entusiasmo.
«Forse, Clint è un uomo complicato. E resta un uomo» la bruna era stata colta da un pizzico di incertezza. Tolse l'elastico di spugna dai capelli e ci gioco' con le dita.
«Un uomo con dei bei bicipiti e un tatuaggio virile sul braccio. Confesso che, mentre l'ho visto tirare con l'arco con la robaccia dei trisavoli del professore, reperita in soffitta, mi è salito l'ormone» l'arciere aveva fatto un'ottima figura nella specialità, dimostrando le sue doti da campione. L'aura di supereroe dai tratti umani che voleva diplomarsi aveva contribuito ad aumentarne la fama all'interno della scuola.
«Come ti esprimi, Tempesta? Se ti sentissero i tuoi allievi del corso di geografia astronomica!».
«Mi sentono tutti i giorni e non si sono mai lamentati! Sei gelosa perché ti piace, non c'è nulla di male, e dopo Erik non hai avuto nessuno. Ti lamenti da sempre perché gli umani ti vedono diversa e non vogliono avere a che fare con te, poi ne incontri uno decente, che, nonostante l'umiliazione sul tappeto persiano dello studio di Charles, non solo ancora ti rivolge la parola, ma ti ha pure invitato a cena in un bel ristorante. Vai e sfodera il tuo fascino, che hai dai perdere?» cercò di farle l'ennesimo lavaggio del cervello, sicura che l'Avenger avesse più di un debole per l'amica «E se non ti vuole, mi candido io al tuo posto». La squadrò dalla testa ai piedi «Sarebbe matto a non volerti, e Clint Barton non è affatto uno stupido o un sempliciotto, ha visto lungo il tuo Romeo! Il suo nome di battaglia è Occhio di Falco?! Da venerdì sarà ribattezzato Romeo, con buona pace di Nick Fury, il suo capo con la benda e l'aria cattiva».
«Come sarebbe il mio Romeo?».
«A lezione gli studenti si sono accorti della vostra reciproca simpatia. Ho le mie spie, gli occhi e le orecchie di Tempesta, non quelle del re» Kitty Pride, era la sua devota informatrice, senza neanche rendersene conto. Rispondeva ingenuamente alle domande che la professoressa Monroe le poneva, supponendo che fosse interessata alla resa didattica dell'arciere e non alla vita sentimentale della migliore amica.
«Farò finta di non averti ascoltato. Quelle lì non le metto, sono trampoli» sul fondo dell'armadio erano allineate diverse paia di scarpe. Julia indicò degli stivali in simil pelle e tessuto che arrivavano ben oltre il ginocchio e avevano un tacco dodici stratosferico. Quando li indossava Ororo, sembrava davvero incedere una titolata. Tempesta, figlia di N'Dare, una principessa di una tribù del Kenya, e di David Munroe, un giornalista afroamericano, era di stirpe reale e avrebbe potuto indossare anche uno straccio. Green trovò gli stivali eccessivi per sé.
«Propongo una via di mezzo fra le scarpe da ginnastica e le ciabatte che metti perennemente e le decolleté glitterate con la punta stretta e il tacco a spillo da dieci centimetri della notte di Capodanno, per non cadere sul pavimento del ristorante con una distorsione alla caviglia e trascorrere il resto della serata al pronto soccorso, piuttosto che fra le braccia di chi so io. Se ti involi, Fenice dalle ali di fuoco, fallo contro le sue labbra, piuttosto».
«Piantala!» Julia usò il suo potere per sollevare uno dei due stivali e lanciarglielo contro, dalla parte della stoffa.
La discussione sulla preparazione per la serata fra le due amiche non si era mai interrotta, per giorni. Julia aveva ancora nella testa le parole di Ororo, all'ennesima prova di abito «Devi vestirti, non mascherarti. Smettiamola di giocare al camuffamento, perché sembreresti ridicola; dimmi cosa ti piace di mio e guardiamo assieme se ti sta bene». Si riferiva, ovviamente, all'abitino nero per cui Fenice aveva una predilezione non ammessa.
Alla prova effettiva e finale con un paio di calze velate alla parigina, l'acquisto sembrò perfetto «Sei come Pretty Woman, senza il mestiere, ovviamente. Sei la mia creatura, ti concedo degli stivaletti non troppo alti» avevano trovato un accordo su una scarpa con plateau di Versace Jeans Couture dalla punta tonda e dalla fibbia dorata.
«Ti trucco io, basta scegliere un colore di fondotinta più adatto a te e la gradazione più vicina a quella della tua pelle» ne applicò un tipo minerale, che conferiva alla pelle chiara della bruna una copertura delicata, idratazione e luminosità, creando dei punti luce con il correttore «Ti addolcisce ulteriormente il viso, suggerisce maggiore armonia. Giusto un pochino sotto l'arcata sopraccigliare, nell'angolo interno dell'occhio, sopra gli zigomi, e professoressa di letteratura che si atteggia a diva, come ti disse il tuo spasimante, sull'arco di Cupido» insistette sul piccolo solco tra labbra e naso, rammentando le parole di Barton al loro primo incontro dove anche lei era presente.
«Non ricordarmelo».
«Punto tutto su un paio di ombretti che tenevo da parte per questo evento che ha del miracoloso, cara mia» dal beauty case nero, stampato a chitarre colorate, comparve una scatolina con il coperchio trasparente; usando una paletta Tempesta optò per una gradazione tortora, sfumando la polvere all'interno della palpebra con un rosato chiaro. Afferrò il mascara allungante come fosse una spada e girò la mano con l'applicatore, verso l'amica «Tre passate almeno, i tuoi occhi già bellissimi risalteranno». Il rimmel aiutò, infatti, a definirle lo sguardo e renderlo più intenso e profondo. Le sopracciglia di Julia erano talmente arcuate ad ali di gabbiano che sembrava uscita da una rivista, e Ororo non dovette nemmeno riempirle, si limitò a pettinarle. Le donavano di per sé un carattere deciso.
«Niente rossetti strani» la mora pregò, scettica, giacché l'aveva fatta sedere di spalle allo specchio e non aveva potuto sbirciare durante le diverse fasi del maquillage.
«Intendi rossi, audaci, caldi? Nemmeno burro cacao, però» sbuffando, Tempesta trovò un gloss trasparente per accontentarla e terminò con pennellata di blush mattone, per spostare la seggiola con le rotelle davanti allo specchiera «Fa-vo-lo-sa!».
«Grazie!». Julia stentò a riconoscersi. Il trucco era leggero ma d'effetto, esattamente ciò che sperava. Si alzò in piedi per rimirarsi accanto alla lastra, mentre l'amica spruzzava il suo profumo al mughetto in una nuvola - le cui goccioline si posarono sia sui lunghi capelli sia sul vestito - affinché ne fosse impregnata ovunque.
Il rumore di un motore in avvicinamento si diffuse attraverso la finestra lasciata volutamente aperta. Clint, infatti, aveva mandato alla mutante una vettura a proprie spese, poiché si era dovuto trattenere al quartier generale degli Avengers per lavoro e non voleva che prendesse un taxi o si facesse accompagnare.
«La tua auto a noleggio è arrivata, ti scorto giù».
Si recarono assieme fino all'entrata dove la limousine l'attendeva, in religioso silenzio e mano nella mano. Alcuni allievi si erano affacciati alle finestre delle stanze, altri avevano osservato dalle porte per vedere Julia che usciva. Era la loro insegnante preferita e si auguravano che un pochino di felicità le alleggerisse un'esistenza di sofferenze. In lei e nell'intuito appuntamento romantico vedevano una fiammella di speranza per una vita migliore e normale, una possibilità di compiutezza di sogni per tutti loro.
«Buon divertimento, tesoro» Ororo le lasciò la mano, finalmente.
Dalla Mercedes blu scura scese un autista in uniforme elegante per aprire lo sportello destro e far accomodare Fenice.
Lei lo salutò, accomiatandosi dalla sua amica, sistemando in grembo la borsetta da sera di forma squadrata a tracolla sopra un chiodo di pelle nera dalla linea femminile e aderente «Grazie ancora per il tuo aiuto: per favore tieni le dita incrociate per me, ci vediamo domani».
«Ti aspetterò sveglia, dolce Giulietta, solo per ascoltare i dettagli! Sarà un successo, abbi fiducia» Tempesta ne era sicura. Unì medio e indice, sovrapponendoli nel gesto scaramantico comunque richiestole, mentre il sole tramontava sulla scuola.
💘
Nota dell'autrice
Ho sempre immaginato di pubblicare insieme questo il capitolo e il successivo. Quindi buona doppia lettura per un inizio del 2022 col botto!
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