Capitolo 5 Di un nuovo allievo, di una Mustang verde e di baci ardenti

Kitty Pryde, accomodata a terra su un cuscino, due treccine ai lati della testa fissate da fiocchetti rossi, si rivolse a Julia «Professoressa, cominciamo? Ci siamo tutti, per piacere». L'aula era gremita, c'erano solo posti in piedi e nemmeno troppi. Gli studenti volevano iniziare a parlare del testo, fremevano, e Fenice ritardava, stranamente.

Julia aveva chiacchierato a lungo con Charles, nel corso della sera precedente, approfittando del momento in cui il suo mentore si dedicava all'abituale partita di scacchi con Erik. Davanti al camino acceso, in mano due bicchieri di cognac da centellinare, giocavano all'ultima mossa, da anni.

La presenza dell'arciere aveva movimentato la loro giornata e quella degli allievi della scuola. Dopo il saluto del professore, Clint era stato invitato da Raven a restare a pranzo. Ed era rimasto per l'intero pomeriggio, insegnando ai ragazzi a tirare con l'arco con una vecchia attrezzatura rimediata in soffitta, nel grande parco antistante la villa. Gli studenti si erano messi in fila per una lezione privata da Occhio di Falco, persino Erik e Julia stessa, con pessimi risultati da scarsi principianti.

L'Avenger, a sua volta, aveva curiosato nella struttura, nei laboratori di Hank tanto simili a quelli di Bruce e Tony, nell'hangar dov'era custodito il jet Blackbird. E si era mostrato entusiasta, domandando e coinvolgendo gli altri mutanti che lo avevano accompagnato. Lehnsherr si era pure dilungato a fornire spiegazioni sull'elmo costruitogli da Hank su richiesta di Charles, per far sì che lui stesso in battaglia non fosse attaccato o bloccato da un telepate.

Quando era giunta l'ora di cena e una pioggia intensa si era abbattuta su est New York, l'agente Barton era stato trattenuto per un ulteriore momento conviviale in cui si era mostrato educato, relativamente affabile e spiritoso, nel suo fare brontolone e rigido.

Lo scambio continuo di battute fra lui e Fenice aveva divertito molto i ragazzi, che lo avevano lasciato andare a malincuore, soltanto con la promessa di successive lezioni di tiro con l'arco.

E Julia, salendo per coricarsi, si era detta certa con Charles ed Erik che Clint avrebbe acconsentito alla proposta di seguire la sua lezione del giorno successivo.

Ora che si trovava in aula e doveva iniziare, constatò che si era sbagliata: non era venuto.

Si sentì una vera idiota. Era seduta sulla cattedra a forma di fagiolo, i jeans scuri e la camicia bianca scelti accuratamente dall'armadio, persino un velo di rimmel e lucidalabbra trasparente, una copia della tragedia in mano presa in prestito dalla libreria di Xavier. Sei una perfetta scema, Julia Green! Credulona e presuntuosa!

La sua alunna prediletta la incentivò ancora e lei dovette cominciare. Aveva già atteso più di dieci minuti rispetto al solito «Eccomi a voi. Oggi esamineremo la nostra opera da un punto di vista particolare. Le diversità fra le famiglie dei Capuleti e dei Montecchi sono paragonabili a quelle fra mutanti e umani? Romeo e Giulietta potrebbero rappresentare le due diverse specie? I loro problemi relazionali sono attuali?» chiese alla platea, che iniziò a discutere appassionatamente.

«Decisamente attuali» Clint entrò in aula dalla porta socchiusa, facendo vociferare gli stupiti allievi. Abbassò gli occhiali da sole scuri e li rimise nella tasca del giubbotto «Buongiorno a tutti».

Restò in piedi sul passaggio laterale accanto alla libreria, alle spalle un avviso sul ballo a tema shakespeariano organizzato a maggio, incerto su dove mettersi «La vera disputa è tra coloro che propendono per l'evoluzione e la crescita e quelli che rimangono arroccati su pensieri tradizionali, che temono ciò che è diverso. Le due famiglie si adattano perfettamente a un paragone simile che rimanda a tematiche antiche. Considerate anche solo che ai tempi di Romeo e Giulietta era una blasfemia persino ballare con un uomo che non fosse il promesso sposo o marito, parlare con chi non fosse dello stesso ceto sociale: sono solo esempi che si ricollegano al nostro stato presente in cui molti combattono con la paura dell'emarginazione. In parole povere non è che ci siamo evoluti molto, ecco». L'arciere la buttò sull'ironico, facendo ridere gli allievi.

«Scusate il ritardo, ammetto che mi ero perso per arrivare alla vostra scuola enorme: avrò bisogno di una mappa sia per la strada sia per l'edificio». Mentì: lui era Occhio di Falco, il senso dell'orientamento era parte del suo dna al pari di una mutazione; ed era la terza volta che ci andava. Aveva esitato, al mattino, a dirigersi al quartier generale degli Avengers. Aveva, invece, indirizzato la jeep verso la scuola di mutanti, con in tasca la copia di Romeo e Giulietta su cui aveva perso il sonno, leggendola e rileggendola, appunti compresi. Aveva telefonato a Fury, dal vivavoce dell'auto, chiedendo il primo permesso personale in anni di lavoro, e l'aveva ottenuto senza domande.

Adesso che aveva di fronte Julia, aveva compreso che la fibrillazione notturna e l'inquietudine derivavano dall'unico desiderio di essere lì, con lei, a quella lezione.

Era al settimo cielo, Fenice. Regalò a Clint un sorriso aperto, sciorinando il suo curriculum per lusingarlo «Siamo onorati di ospitare fra noi Occhio di Falco in persona, componente degli Avengers, agente dello S.H.I.E.L.D., arciere di livello più che olimpico» rise, apertamente, gioiosa «Clint, vieni vicino a me» gli fece un gesto, con la mano, invitandolo a raggiungerla e sedersi accanto a lei, sulla cattedra.

Barton si accomodò, non prima di aver tolto dalla tasca posteriore dei jeans la copia della tragedia che gli aveva dato.

I ragazzi lo guardavano interessati, ma soprattutto ammirati.

«Clint» la professoressa si rivolse a lui in primis e a tutti i presenti «la mia domanda voleva essere più sottile. Secondo te, mutanti e umani hanno la stessa anima?». Lo chiese con uno sguardo eloquente e tenero, trattenendo il respiro.

La platea rimase muta, in curiosa attesa.

Il Falco rifletté: era stato il primo a temere i mutanti, a essere scettico sulla proficuità di una collaborazione con loro, a rivolgersi a Julia stessa con parole orribili. Conoscendo lei e gli studenti, gli erano parsi identici a lui. La domanda era quasi religiosa e questo lo costrinse a mettere da parte ogni remora e rispose «Sì, in fondo siamo tutti terrestri, quindi sì, abbiamo la stessa anima» ammise, sinceramente stupito di averci pensato solo in quel momento.

Fenice era bella da far male, con una camicia bianca perfettamente stirata e un paio di jeans stone washed blu scuri. Si rimise a lei, aspettando una replica che non ci fu.

Julia, infatti, voleva far ragionare Clint proprio su quello, e anche i suoi studenti, ovviamente. Carezzò la mano maschile, in una mossa rapida, e dette la parola a Kitty e poi agli altri, che volevano dire la loro, in un'interazione continua.

Aveva deciso di impostare la lezione sul particolare tema affrontato, alla luce dell'incontro con l'Avenger: pochi giorni in cui la granitica convinzione della supremazia della razza mutante tanto decantata da Erik aveva vacillato, portandola a una riflessione differente. Il mondo esterno era pieno di persone valorose, perbene e piene di pregi. Clint ne era un perfetto esempio.

Le tre ore passarono in un lampo. Barton era intervenuto spessissimo e pareva divertito e avvinto dall'argomento. La mutante sperò che avrebbe continuato a frequentare le sue lezioni e che non fosse passato per caso o per restituirle il libro.

«Ottimo, abbiamo finito, ci vediamo domani» si voltò verso il Falco «Mangiamo assieme? Ti devo un pranzo, giusto? Non ho nemmeno lavato i piatti, a casa tua».

«Sì, volentieri, mi fa piacere. Comunque, complimenti, bella lezione. Ammiro come tocchi le problematiche attuali in modo così sottile» ribadì, schietto. Aveva proprio sbagliato a giudicarla sulla base del loro primo approccio, aveva sbagliato di brutto, per via delle circostanze dell'incontro, e anche se una parte di sé gli diceva ancora di non fidarsi troppo, di non aprirsi completamente, era sempre più deciso a conoscerla meglio.

«Speravo di pranzare con te e stamattina ho preparato dei panini, possiamo mangiarli in giardino sotto il grande salice» lo toccò sul braccio per indicare la strada, recando una busta di carta capiente che aveva nascosto sotto la cattedra «Di solito pranzo con Ororo, per te ho fatto un'eccezione alla sua compagnia».

«Come sapevi che avrei partecipato alla lezione? Neanche io ero certo di venire».

«Ti sei tradito quando mi hai chiesto l'orario. Devi continuare, non c'è una decisione diversa da prendere» arrivata all'albero, sedette su un telo cerato a fantasia scozzese, posato sull'erba umida,  estraendo dalla busta anche i sandwich avvolti nella pellicola «E' un panino vegetariano, l'ho preparato con il pane in cassetta leggermente tostato, spalmato con del formaggio fresco e farcito con verdure grigliate, pomodorini e rucola. Mi auguro ti piaccia».

«Sembra squisito» ne ricevette uno avvolto in un tovagliolino di carta con un bicchiere di vetro alto dove Julia versò un liquido verde da una bottiglia di vetro.

«E' un estratto di mela e kiwi, con aggiunta di zenzero e limone» Charles aveva da poco acquistato un estrattore e lei e gli studenti erano alla ricerca di tante ricette per utilizzarlo tutto l'anno e per godere dei benefici di succhi e estratti di frutta e verdura, freschi e preparati in casa al momento.

«Hai pensato a tutto, brava» i più giovani mangiavano all'interno, in una sala adibita a mensa, in cui Barton era stato ospitato, il giorno precedente. Notò Magneto passeggiare per il giardino, fumando una sigaretta per rilassarsi, Raven e Hank prendere un caffè appoggiati al muretto del balcone della loro stanza, al primo piano.

«Ci sono diverse coppie nella scuola?» probabilmente i mutanti avevano una predilezione per legarsi con individui del loro gruppo, e la vita solitaria nella magione di Xavier non li aiutava a mischiarsi con gli umani.

«Sì, non fanno come Giulietta e Romeo» agganciandosi al dibattito, Green lo confermò. Il boccone del panino andò giù nella trachea con difficoltà, intuendo la domanda successiva. Non le servì essere una telepate per sapere cosa Clint stesse per chiederle.

«E tu, Giulietta, non hai trovato il tuo Romeo?».

«Falco, ho avuto un solo compagno, Erik. La nostra breve relazione non era nata sotto auspici favorevoli, volevamo cose diverse e abbiamo scambiato l'amicizia con altro che non è mai decollato» frequentando la scuola, l'arciere forse ne avrebbe sentito parlare e non era affatto un segreto, semplicemente una pietra del suo passato.

«Ah!» Barton scolò l'estratto alla mela e kiwi, tutto d'un fiato, indagando. Non avrebbe dovuto essere geloso di Julia, non ne aveva alcun diritto, erano poco più conoscenti. Eppure lo era. «Che intendi con volevamo cose diverse?».

Julia sospirò e guardò il cielo, sgombro di nuvole di ogni tipo, dipinto dell'azzurro abbagliante del tiepido aprile che aveva regalato una temperatura mite a New York e dintorni «Magneto è Magneto, un essere fuori dal comune, che ha sofferto moltissimo a causa degli umani e che, per sopravvivere, ha dovuto escludere ogni possibile legame con loro. Ha riversato ogni pezzo di sé nella causa mutante - lui la chiama così - e posso capirlo, non condividerlo integralmente. Cercava in me una partner di ideologia radicale, si era invaghito dell'unica mutante di classe cinque. Io, invece, Clint, cercavo solo il mio Romeo e lui proprio non lo era» lo fissò negli occhi con un'intensità da brivido, che scatenò nell'uomo un terremoto emotivo di una scala tellurica fuori controllo.

«Sei Julia, hai persino il destino nel nome, meriti un Romeo tutto per te» balbettò, turbato «nonostante le mie teorie sull'amore, ti auguro di trovarlo. Ho diritto a un altro panino o mi fai fare la dieta?» dando l'ultimo morso al sandwich, si informò se ve ne fossero altri.

«Certo, prego» gli porse direttamente la busta, senza bissare, concentrandosi sulla frase successiva, su cui aveva meditato. Non voleva apparire troppo audace, nemmeno non dirlo. Parlò a voce bassa, fissando i lacci delle scarpe di tela beige «Ti confesso che non credevo fosse tanto piacevole passare del tempo con una persona diversa da me, me ne sono stupita. Vorrei continuare a farlo, e che tu proseguissi anche con le lezioni, per prendere il diploma».

«Nemmeno io pensavo di divertirmi tanto, come avrai capito sono misantropo per eccellenza. Cercherò di venire, professoressa saggia, e di restare a pranzo per una chiacchierata. Ci alterneremo nella preparazione dei sandwich e, se il meteo lo permetterà, mangeremo all'aperto come oggi. Il direttore Fury non avrà problemi, sposterò l'allenamento al primo pomeriggio» non si trattava di cambiare turno: lui si addestrava in palestra, piuttosto che nelle armi o nel corpo a corpo tutto il giorno, ma si sarebbe trattenuto alla base fino a tarda sera per recuperare e avrebbe studiato di notte.

«Mi fai felice» il dolce sorriso di Julia suonò tutte le note del cuore dell'arciere, che non poté evitare di chiedersi dove lo avrebbe portato il rapporto appena instaurato con la sua amica mutante.

Clint si era recato a lezione ogni giorno della settimana, con sé due pranzi per lui e Julia, come promesso. Dopo le ore di lezione mangiavano assieme e chiacchieravano, raccontandosi episodi del loro passato, parlando del più e del meno, confrontandosi su Romeo e Giulietta, che l'arciere aveva terminato di leggere per mettersi in pari con la classe. Aveva visto anche il secondo tempo del film di Zeffirelli, purtroppo senza i sottotitoli dalla viva voce della mutante.

Il venerdì mattina le aveva inviato un messaggio al cellulare - di cui si erano scambiati i numeri - avvisandola di fare un'abbondante colazione perché aveva una sorpresa per lei. Al termine della lezione l'avrebbe portata in un posto, le aveva scritto, senza specificare quale, e a pranzo fuori. Alla domanda su cosa avrebbe dovuto indossare, le aveva risposto con l'emoticon di una faccina sorridente e due sole parole: il solito.

Fenice aveva aperto le ante dell'armadio, con la testa vuota. Dopo mezz'ora di ricerca, aveva scelto un paio di pantaloni di jeans stretch neri, una t-shirt grigia con il risvolto alle maniche, una camicia di jeans chiaro coi bottoncini in madreperla. Con un paio di All Star bianche basse ai piedi, una lunga collanina dorata con un ciondolo di forma longitudinale e un bauletto a mano firmato dallo stilista Louis Vuitton nella sua classica colorazione marrone con il fregio delle iniziali - regalo di Natale di Charles - terminò la lunga preparazione. Spruzzò la colonia al mughetto acquistata in erboristeria, guardando l'orologio. Era già in ritardo, rispetto al suo standard. Ripose pochi trucchi in una pochette, per sistemarsi più tardi se ne avesse avuto il tempo.

Clint era già arrivato in aula e si intratteneva con gli studenti. Dopo la performance del lunedì al suo fianco, la professoressa, d'accordo con lui, aveva spiegato alla platea che l'Avenger non era passato casualmente alla scuola, ma che ne era diventato un allievo a tutti gli effetti.

E gli studenti l'avevano lodato, per la sua umiltà e la voglia di rimettersi in gioco con lo studio, nonostante l'età anagrafica.

La posizione assunta, a gambe incrociate, seduto sopra un pouf turchese fra Kitty e Bobby, era stata mantenuta da Barton anche quel giorno.

«Battiamo la fiacca, professoressa Green?» proprio lui l'accolse con un battuta dal tono scherzoso.

«Fai poco lo spiritoso, Clint, il venerdì è giorno di verifiche, non so se i tuoi nuovi compari ti avevano avvertito. Anzi, cominciamo proprio da te, vieni alla cattedra» lo incalzò, non essendo riuscita a coglierlo in contropiede. I giovani mutanti gli avevano spifferato dell'abitudine di Julia di interrogare l'ultimo giorno della settimana e gli avevano anche passato una copia degli appunti delle lezioni che non aveva frequentato.

E lui li aveva riletti tante di quelle volte da averli imparati a memoria. Era preparatissimo, pareva un libro stampato.

Più Julia lo pressava, più riusciva a stupirla, rispondendo correttamente. Alla fine fu costretta a dargli il massimo della valutazione, una A sul registro di classe che teneva nel cassetto della scrivania a forma di fagiolo. Era stato il voto che aveva attribuito con più soddisfazione dall'inizio dell'anno scolastico, più di quelli dati a Kitty.

La letteratura era solo una delle materie che l'arciere avrebbe dovuto studiare per prendere il diploma. Lei aveva controllato alla sua vecchia scuola, scoprendo che gli mancava esclusivamente l'ultimo anno. Lo avrebbe aiutato a prepararsi in storia, scienze, matematica per affrontare un esame da privatista. Questo, almeno, era il suo piano, di cui aveva accennato a Barton, e di cui gli avrebbe dettagliato nel pomeriggio che li aspettava.

«Sono stato bravo?» un pizzico di boria lo faceva camminare sulle punte dei piedi, per il voto. In tanti anni di scuola non era mai andato tanto bene. L'impegno nello studio non gli pesava affatto, la lettura dell'opera era stata molto soddisfacente e lo aveva aiutato a distrarre la mente dalle attività lavorative. Non era stanco, era adrenalinico.

«Molto, ti stai appassionando, ti ho dato un voto meritatissimo» Fenice commentò, in auto, mentre si recavano nel posto misterioso su cui Clint non si era sbottonato.

«Sono diventato un romanticone, come mi hai detto tu. Fury è stato disponibile a concedermi la mattina libera per frequentare le lezioni. I colleghi, potrai figurartelo, hanno avuto le reazioni più diverse. Steve e Bruce si sono complimentati, Thor ha storto il naso all'idea che non avessi un istitutore personale».

«Ce l'hai, sono io. Meglio che su Asgard» la mutante conosceva gli Avengers dai racconti di Clint e anche gli aspetti della vita del principe, cresciuto sul suo pianeta in una reggia fra lussi, privilegi e tradizioni uniche.

«Giusto, la migliore. Concludendo, Tony non ha fatto che prendermi in giro. E Nat mi ha guardato in modo strano e ancora non smette di farlo» terminò l'elenco delle reazioni dei compagni.

«Julia, ti sono grato per l'aiuto che mi stai dando. Riflettendo, ho capito che il fallimento a scuola rappresentava uno scoglio, qualcosa che ho sempre cercato di buttarmi alle spalle, convincendomi che un diploma non servisse affatto o che non fossi portato per lo studio. Ho deciso che dovevo contraccambiare la tua gentilezza, nell'unico modo che conosco. Vedremo se la mia idea ti potrà piacere» svoltando in una strada laterale dalla statale che portava a nord di New York, le indicò una costruzione di forma ellittica «Ho investito con un amico nella gestione di un circuito, una pista per auto. Organizziamo gare sportive e privatamente corsi di guida sicura. Ti insegnerò a guidare, poi potrai prendere la patente» glielo aveva detto nel momento in cui aveva parcheggiato, sperando che non lo pregasse di tornare indietro, che non rifiutasse la sua proposta.

La vide stringere nervosamente l'elegante borsa di Vuitton tenuta sulla ginocchia, con le mani, le cui dita giocherellarono con la chiusura lampo dai dentini dorati. Gli occhi verdi scesero verso il basso, lei rimuginò davanti all'entrata dell'autodromo «Non lo so, Clint. Grazie mille per il pensiero, però ho paura di non farcela. Ho un blocco verso le macchine». Era scettica di riuscire, un timore atavico verso le auto le attanagliava le viscere.

La mano destra dell'arciere sfiorò la sua nuca, scendendo sulla guancia. Lei percepì lo spessore dei calli e la presa sulla punta del mento, che la obbligò a sollevare.

«Fenice che ha paura di qualcosa? Debbo vederlo per crederci» Clint puntò gli occhi nei suoi in un'opera di convincimento. Gli sembrò davvero la piccola spaurita che non sapeva controllare i poteri e che aveva malauguratamente spostato con la mente la berlina dei suoi genitori in un'altra corsia «Non sei responsabile della morte di tua madre, mettitelo bene in testa. E non sono qui per obbligarti ma per farti misurare con te stessa e le tue angosce e solo se accetterai, non forzandoti. Io ti ho concesso il beneficio del dubbio, ho partecipato a una tua lezione perché mi hai chiesto di tentare. Perché tu avevi ragione e io torto. Mi aspetto che provi. Se non riesci o sei troppo tesa, ci dedicheremo alla seconda parte del programma, quella mangereccia. Ci stai, Fenice?» le dita ancora a imprigionarle il mento, le fissò la bocca in attesa di un . Che sfarfallò dalle sue labbra morbide, cautamente.

«Brava, ragazza» l'Avenger scese per primo dalla jeep.

L'autodromo era chiuso al pubblico, sarebbero stati da soli a girare in pista, nel rispetto degli standard di sicurezza.

«Ci vieni spesso?».

«Sì, adoro la velocità e al mio amico e socio capitano delle vetture eccezionali. È un restauratore di auto d'epoca che vive nello stato di Washington. Le ripara per venderle e mi permette di farci un giro, di tanto in tanto, portandone alcune qui, casomai gli acquirenti fossero in zona. Mi aveva avvertito che gli era capitato sottomano un gioiellino per cui ho un debole e non ho resistito» la indirizzò in un corridoio che sbucava direttamente sulla pista.

Julia non era mai stata in posto simile e ne rimase impressionata. Il circuito d'asfalto scuro era un'immensa ellissi circondata da gradinate per il pubblico, coloratissime, con seggiolini di un divertente giallo canarino. Sul rettilineo del traguardo spiccava una fila di box per le squadre delle auto partecipanti alle varie manifestazioni.

Un uomo sulla quarantina, dalla carnagione scura e con una barba folta e compatta, occhiali da vista dalla montatura argentea che gli conferivano un'aria da studioso,  venne loro incontro con la mano tesa «Barton in compagnia di una ragazza e pure bellissima? Oggi nevicherà!» si presentò educatamente «Sono Poe Dameron, piacere, signorina».

Era una ragazza davvero molto attraente, fine, considerò Dameron. Clint Barton, al contrario, era un vero lupo solitario: non si era presentato mai con un amico o una donna. Gli piaceva, Clint. Non era invadente e si faceva i fatti suoi. Si erano conosciuti per caso, in occasione di una mostra di auto storiche. Il Falco era lì per ammirare le macchine, Poe per mostrare i suoi capolavori in cerca di compratori. Avevano iniziato a chiacchierare e non si erano più fermati. La condivisione della passione per le auto era diventata la base per l'unica amicizia che Clint aveva fuori dai colleghi Avengers e di un investimento che dava buoni frutti, a cui avevano destinato parte dei loro risparmi, con la collaborazione di uno staff che si interessava della gestione degli eventi e della struttura.

«Sono Julia, piacere mio» Green fu distratta dal riflesso del sole sulla carrozzeria verde brillante della macchina alle spalle di Dameron.

Barton emise un fischio d'ammirazione «Guarda che roba! Sei un talento». Aveva visto l'amico iniziare le riparazioni della vettura attraverso delle immagini che gli aveva inviato e ora si ritrovava innanzi la perfezione: una Ford Mustang coupé che sembrava uscita da una rivista patinata oltre che dalla fabbrica della casa costruttrice il giorno precedente.

«Pensavo che avrei guidato un'auto coi doppi comandi, o una berlina robusta» la mascherina col cavallo in corsa sulla griglia del muso confermò a Fenice che si trattasse di una vettura sportiva, col cambio manuale e di un certo valore «È molto antica?».

«Signorina Julia, è classe 1963, piuttosto rara. Non preoccuparti, se il Falco garantisce per te, puoi guidarla anche bendata» Poe la tranquillizzò e tolse il disturbo, strofinando fra le dita il ciondolo che portava al collo, una N di platino al cui centro era incastonato un luminoso brillante «Vado dentro, in ufficio».

«Sali dal lato passeggero, giriamo in pista e ripassiamo la teoria» Barton si mise al volante e Julia obbedì, posando la borsa sul sedile posteriore. Non era un ripasso, per lei, vera neofita. Aveva osservato guidare gli amici e l'autista di Charles, sempre col cambio automatico.

Clint le dette un'infarinatura di base dei gesti indispensabili per guidare, parlandole con calma e mostrandole più volte il funzionamento del cambio, delle marce e dei pedali, la posizione delle mani sul volante e i pochi strumenti che avrebbe dovuto usare. La Mustang non era certamente un'auto tecnologica, ma il cruscotto ben sagomato, la tappezzeria rinnovata in pelle nera e la forma sportiva la rendevano una vettura di gran lusso. Il fascino e la bellezza oggettiva completavano la perfezione di ogni dettaglio del restauro, minuziosamente curato da Poe.

L'arciere guidava con l'abituale scioltezza e percorse tre giri, rifermandosi all'altezza dei box, sulla pista, per scambiarsi di posto con lei «Gira la chiave di accensione, togli il freno a mano, metti in moto, premi la frizione e inserisci la prima marcia» ogni passaggio era scandito dalla voce di Barton, ma Julia non riuscì che a percorrere mezzo metro.

Il motore si spegneva perché non era in grado di staccare bene il pedale della frizione e di accelerare.

Riprovò una decina di volte, leccando il velo di sudore che le si era formato sull'arcata del labbro superiore «Non ce la faccio, sono un disastro». Con tanti pensieri nella testa, si sentiva una vera imbranata, avulsa dalla guida.

«Un pochettino. Proviamo con un metodo diverso: empirico. Scendi» lei lo guardò stranita e l'uomo insistette «Scendi, Fenice».

La mutante uscì dall'auto e Clint, tolte le sneakers, scivolò sul sedile di guida, spingendolo verso il posteriore e divaricando le cosce «Siediti qui, nel mezzo, faremo una vera e propria pratica».

Interdetta, Julia rientrò nell'abitacolo, facendo attenzione a non attaccarsi troppo all'arciere che, invece, stese le braccia sulle sue, prendendole le mani. Pose le loro sinistre sul volante e le destre sul cambio, piegò le gambe all'esterno su quelle della bruna e puntellò coi piedi il dorso dei suoi sopra le All Stars «Guideremo insieme, finché non avrai memorizzato i movimenti: rilassati, sgombra la mente e cerca di divertirti». Il corpo della giovane era caldo, leggermente sudato, profumato di buono e di mughetto. I capelli scuri solleticavano il viso di Barton, che si posizionò lateralmente affinché fossero guancia a guancia e lui stesso potesse guardare la pista. Allontanò il briciolo di pensiero carnale sulla creatura che teneva fra le braccia, concentrandosi esclusivamente sul suo ruolo di istruttore.

«Proviamo» incastrata fra le cosce muscolose strette nei jeans, fra i bicipiti dell'Avengers, col suo respiro cadenzato sull'orecchio sinistro e la pelle sbarbata all'aroma di dopobarba, Julia fissò davanti a sé, mentre il Falco girò la chiave di accensione, mise la marcia e alternò i pedali in un movimento deciso, dando gas: l'auto si mosse sul rettilineo, senza spegnersi. Continuò per un giro intero, e lei tentò di ricordare le azioni compiute in sincrono.

Non volarono parole, erano entrambi presi dall'esercizio, seri e compiti.

Dopo alcuni giri, effettuati nella stessa maniera, Fenice si ritrovò a cambiare marcia e ad accelerare. Solo in quel momento realizzò che la mano di Clint fosse sparita da sopra la sua. Un'occhiata al volante e una a sinistra le confermarono che stava guidando da sola e che Barton aveva il braccio piegato sul finestrino abbassato. Le gambe dell'arciere erano divaricate al massimo e i piedi posati ai due lati dello spazio sotto il volante.

«Sto guidando, Falco, sto guidando» strillò, felice.

«Vai come una scheggia e non te ne sei nemmeno accorta» l'Avenger aveva smesso di aiutarla nei movimenti da almeno un giro e mezzo, con ottimi risultati.

«Non posso crederci» alla guida aveva scordato il pensiero dell'incidente, le sue paure, l'imbarazzo e il turbamento della posizione in cui era incastrata con Clint. Aveva solo... guidato!

«Io sì, ci avrei scommesso il mio arco. Procedi finché non ti stanchi» non avevano fretta e la professoressa sembrava davvero portata per la guida, pertanto il Falco approfittò per farle percorrere più giri possibile.

E lei lo fece con entusiasmo. Guidò per una mezzoretta, alla fine arrestando la Mustang esattamente dove si era fermato in precedenza il suo maestro.

Senza riflettere sulle conseguenze e con spontaneità, si rigirò sul sedile, inserendo le ginocchia nell'incavo delle cosce dell'Avenger, abbracciandolo «Grazie, grazie». Aveva dovuto ammettere con se stessa che non avere la patente fosse comunque un limite, un'ulteriore anomalia per una ragazza del terzo millennio e pure che guidare fosse particolarmente divertente.

Stringendo l'uomo, data la differenza di altezza, non calcolò che la sua testa avrebbe coinciso col proprio seno. Il profilo maschile all'incrocio delle mammelle coperte dalla camicia jeans le provocò una scossa simile a una frustata. Una miccia si accese nel suo petto. L'espressione felice di Clint, il suo sorriso orgoglioso e soddisfatto del successo, il grigio delle iridi sfumato d'azzurro, sdoganarono qualsiasi inibizione. La timidezza dei primi approcci era diventata soltanto un ricordo.

Staccandogli il capo da sé, infilò le dita fra i capelli castani, e li tirò leggermente verso l'esterno per cercare i suoi occhi.

Erano languidi, pieni del desiderio tangibile che provava per lei. Le mani di Barton le avevano cinto i fianchi per sorreggerla e tenerla in equilibrio. Salirono fino allo stretto punto vita, poi la destra scivolò a metà della schiena della mutante, che ripeté il suo giubilo «È stato stupendo, grazie, grazie».

Tu sei stupenda, il Falco lo pensò senza esprimerlo. Erano vicinissimi, pochi centimetri separavano le loro bocche. E quella della mutante era perfetta, rossa di una visciola matura, a racchiudere il tesoro dei denti bianchissimi, semischiusa. 

Julia abbassò il volto, calamitata dall'arciere, colmandone la distanza. Non aveva razionalizzato il gesto in alcun modo né aveva scelto deliberatamente il genere di bacio che si stava approcciando a dare. Sfiorò timidamente l'arco irrigidito di Clint, che, al loro contatto, perse ogni inibizione, aprendo la bocca a un'esplorazione più profonda e intima.

Afferrò il viso di Julia, intanto che si alternavano, muovendo le teste da ambo i lati in un bacio via via sempre più appassionato. I piccoli boccioli del seno della mutante gli premevano sul torace, le palpebre si alzavano di tanto in tanto per controllare quelle dell'altra, abbassate nella voluttuosità del loro vincolo. Il cotone dei jeans che avvolgeva la sua rigidità stava diventando insopportabile.

Le lingue vorticavano in un mare di miele dal sapore dolcissimo, nella scoperta reciproca degli anfratti segreti, in un tripudio di sensi amplificati.

Erano avvinghiati sul sedile di un'auto d'epoca che sapeva di paradiso.

Il cuore di Fenice si era allargato, accogliendo una sacra promessa di un legame misterioso, nato già indissolubile; le ali invisibili del suo muscolo cardiaco stavano per dispiegarsi, per volare nelle distese del più puro dei sentimenti, per una volta scevre da limitanti paure.

Senza più battiti e senza più fiato, il Falco si staccò per un attimo. Il volto dalle guance arrossate di Julia, le sue labbra ancor più tumide per i baci ricevuti lo riportarono velocemente alla realtà. Ebbe quasi un mancamento, un momento di pensieri vuoti, colmato da tre successive e decise parole, non fraintendibili «Non posso, Julia».

La scansò, sollevandola verso il sedile del passeggero, certo di averla enormemente ferita, dall'espressione che le aveva trasformato il viso in una maschera grottesca.

La mutante acchiappò il bauletto dal sedile posteriore e scese dalla Mustang a testa bassa, camminando verso Poe, che era venuto a congratularsi con lei per l'eccellente risultato ottenuto e per informarli «Il pranzo è pronto! Lavatevi le mani!».

Clint, invece, aveva realizzato di essere pronto a tutto nella vita, tranne che a Fenice.

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