Capitolo 4 Di risvegli, di sensi ammaliati e di proposte
Dove sono? Si chiese Julia aprendo gli occhi nel monolocale di Barton. Si stiracchiò nel letto e si strofinò le palpebre con le dita, mettendo a fuoco di trovarsi a casa dell'Avenger, al centro di New York!
«Buongiorno, Fenice» l'arciere, in pigiama e coi calzini di spugna bianca ai piedi, la salutò, porgendole una tazza di infuso alla melissa e camomilla, che lei riconobbe dal tagliandino di carta appeso al filo della bustina «Ho chiesto al negozio di alimentari qui sotto e avevano la tisana che ti ho visto bere l'altro ieri, per cui me la sono fatta consegnare con il resto della colazione».
«Gra-grazie» balbettò, cercando di darsi un contegno, con la mano a sistemare i capelli arruffati «Sono crollata, scusa, non volevo disturbarti. Potevi chiamare Charles» la tisana era tiepida e leggermente zuccherata; la intenerì che il suo ospite ne avesse ricordato il gusto, l'avesse comprata e preparata per lei.
«L'ho fatto e abbiamo concordato che fosse meglio dormissi qui» l'uomo minimizzò, sedendosi al bordo del letto «Hai riposato bene?».
«Sì, dopo la lettura della tua mente ero molto stanca e ieri non avevo recuperato appieno le forze. Carino il pigiama, mio nonno ne aveva uno simile» il modello semplice, girocollo e tinta unita non era affatto giovanile.
«Non amo i fronzoli, sono un tipo essenziale» ribatté, piccato.
«Ti smentisco, le tue preparazioni culinarie erano curate anche dal punto di vista estetico. Il pigiama è orrendo, invece, e i calzini peggio dei miei» finendo di bere la tisana, lo puntellò col dito indice sul petto. Premette, percependo la muscolatura del torace «Sei molto allenato, caspita».
«Si fa quel che si può. Colazione?» si era avvantaggiato e si adoperò nel frattempo che Julia andava in bagno, per terminare di servirla. Fette di pane ai cereali abbrustolite e ricoperte di marmellata di fragola e di miele d'acacia, frittatine di solo albume d'uovo e una macedonia di frutta di stagione erano già pronti in tavola.
«Non dovevi, non so che dire» la bruna si sentì coccolata: Clint aveva cucinato e predisposto alimenti che lei poteva mangiare, carinamente.
Per sé Barton aveva una tazza di caffè, per Julia era disponibile altra tisana, ma avrebbero gustato le stesse pietanze. «Di solito mangio in modo diverso, ma può andare» inforcò l'omelette proteica, salandola ulteriormente.
«Non c'è una donna nella tua vita, non ho visto relazioni. Perché?» aveva percepito l'amicizia importante con Natasha Romanoff, qualche incontro sporadico per una bevuta e poche ore di sesso, non che avesse un'innamorata.
Il Falco sospirò «Vai giù pesante di primo mattino! Non posso permettermi emotivamente legami affettivi. Le fidanzate diventano ex, dopo averti spezzato il cuore. E il mio cuore si sta ancora rimarginando dai traumi del passato. Julia, se nemmeno i genitori amano i figli senza filtri, se li abbandonano a estranei, li picchiano fin quasi a morire, possono voler loro bene incondizionatamente degli estranei? Sono giunto alla conclusione che l'amore non esista, che sia una finzione, una grande bugia. Si sta insieme in una relazione monogama per procreare, per divertirsi, per non restare soli» il cinismo non gli mancava e fu schietto, rammaricandosi di averlo detto proprio a lei in modo tanto diretto.
La mora rifletté, sbocconcellando un triangolo di pane spalmato di miele. Nonostante l'abbandono di suo padre e la delusione della relazione con Erik, una fiammella in fondo all'anima era ancora accesa. Fenice aveva una speranza, per sè. «Invece credo che il grande amore esista, che non sia un'utopia. Se ne hanno scritto i più grandi autori, deve esistere! Purtroppo a me non è capitato, ma sono fiduciosa. Sei un romanticone dietro arco e frecce, Clint, ieri sera Romeo e Giulietta ha coinvolto pure te; sei del team di Romeo che prima di incontrare Giulietta si chiedeva: È cosa tenera l'amore? È duro, rozzo, villano, prepotente, capace di pungere come una spina ».
«Ammetto che muoio dalla voglia di sapere come finisca la storia, con i tuoi commenti al posto dei sottotitoli, però» aveva esitato a terminare la visione senza di lei e preferito restare sotto la coperta, fissando la sua sagoma per addormentarsi a propria volta dopo un'oretta.
«Davvero non sai come termina? Assurdo! Potrei tornare, un'altra volta, sì» si offrì, per un successivo appuntamento fra amici.
«Ti prenoto, professoressa famelica» il piatto di Green era vuoto, non era rimasta una briciola di nulla «in bagno troverai un accappatoio pulito e uno spazzolino da denti nuovo, nella doccia i prodotti che possono servire per lavarti. Vai prima tu». Era la prima volta che una donna dormiva a casa sua. Beh, non esattamente una donna.
«Sissignore» alzata, si mise sugli attenti e fuggì nella toilette con un bel sorriso.
Spogliatasi e infilatasi nel box doccia, decise di lavarsi anche i capelli, usando lo shampoo e il sapone segnalati dal Falco. Uomo interessante, pensò, dietro la scorza da duro e il musetto ingrugnito, una finzione di chiusura al mondo e alle persone che lei stessa ben conosceva e metteva in atto.
Il pino silvestre del bagnoschiuma la rinfrescò, rimase a lungo sotto l'acqua calda fino a che la chioma fu perfettamente pulita e sciacquata dello shampoo al sandalo. Indossò l'accappatoio e tirò il cappuccio sui capelli strizzati, mettendosi alla ricerca del phon. Aprì l'unica anta del mobiletto sopra il lavandino, senza fortuna.
Fu costretta ad aprire la porta e chiedere a Barton «Clint, devo asciugare i capelli. Mi daresti il phon?».
Uscì sulla punta dei piedi bagnati e ricevette una strana occhiata dall'arciere, che la esaminò dalle minuscole dita dei piedini all'attaccatura della fronte. Il corpo femminile avvolto nella spugna bianca che si incrociava sul petto in un effetto vedo-non vedo lo aveva lasciato senza fiato. Le gambe snelle sbucavano dall'apertura della parte inferiore dell'accappatoio, conferendole un'aria assai sensuale.
Il Falco deglutì, pensieroso «Lo uso poco, ho i capelli corti e li asciugo all'aria, più spesso in palestra al lavoro. Ah sì, qui» lo scovò nel fondo dell'armadio in corridoio, e glielo passò.
Il leggero imbarazzo creatosi fra loro portò Julia a sigillare i lembi della spugna già chiusi e a rientrare in bagno. Si appoggiò con la schiena alla porta, stringendo a sé il phon, le gambe in bilico prese da un tremore immediato. Le era piaciuto come Clint l'aveva guardata, aveva sentito una fiammella accendersi nel mezzo del petto, fra i seni. Il calore era sceso verso l'inguine e, parallelamente, salito sulle guance, come le rimandò lo specchio.
L'aveva fatta sentire femmina e desiderata, con una sola occhiata. Stai esagerando, te lo sei sognato, si disse, sciacquando il viso con l'acqua fredda del lavandino. Anche il turgore maschile intercettato sotto i pantaloni del pigiama era un'illusione ottica, il Falco non poteva essere attratto da lei. Si calmò, distraendosi con l'asciugatura dei capelli, si rivestì e uscì dal bagno pronta per andare.
L'arciere aspettava il suo turno con gli abiti sul braccio, cercando di scacciare dalla propria testa immagini peccaminose sulla ragazzina mutante davanti a sé. Il problema era che Julia non era affatto una ragazzina, era una donna, fisicamente e anagraficamente, e i pensieri che gli ispirava molto differenti da quelli per una semplice amica, come Natasha, l'unica amica che aveva, a rifletterci «Ci metterò poco».
«Fai con comodo, non ho fretta» era domenica, la giornata più pigra per gli studenti della scuola, in cui Charles li lasciava liberi di dormire fino a tardi, di giocare ai videogiochi, di uscire per una passeggiata o un cinema.
Julia approfittò della doccia di Clint per mandare un messaggio proprio a Xavier dal cellulare, preavvisandolo del suo ritorno e per rispondere a quelli di Ororo, che - grande appassionata di moda - era uscita per saccheggiare alcuni negozi che effettuavano vendite promozionali.
Avrebbe voluto almeno rifare il letto in cui aveva dormito, ma ci aveva già pensato il meticoloso arciere. Guardò lo scorrere dello scorso traffico domenicale, vagando a lungo coi pensieri. Si chiese cosa sarebbe accaduto se fosse venuta a vivere a New York, se avrebbe potuto gestirsi lontano dalla scuola, dal professore e da Erik, cercando una sua strada.
«Sei a posto?» il Falco, uscito dalla toilette, le si era posizionato alle spalle, notata una luce malinconica nel suo sguardo, rimandatagli dalla lastra della finestra.
«Sì, sai a volte percepisco maggiormente la distanza fra me e il resto del mondo in cui comunque vivo. Mi sento un pesce fuor d'acqua» si girò, quasi sbattendo contro l'Avenger.
Barton era alto una decina di centimetri più di lei, la fronte gli sfiorò il mento appena sbarbato. Incrociò i suoi occhi e tenne a precisare, per non offenderlo «Sono stata benissimo, non fraintendermi. È una sensazione generale».
«Ti capisco, Julia, anch'io mi sento a disagio in mezzo alla gente, non mi va mai a genio nessuno. Sono un brontolone, come mi ha chiamato il tuo amico Magneto» avrebbe potuto sfiorarle le labbra o stringerla a sé, nella sospensione di quello strano attimo che si era creato fra di loro, un altro, l'ennesimo. Non fece nulla di tutto questo, si limitò a voltarla verso il vetro che rifletteva le loro due sagome, prendendola dolcemente per le scapole «Vedo solo una ragazza in tuta grigia appassionata di romanzi e del proprio lavoro, che soffre di mal di pancia e beve tisane, nulla più, non c'è alcun mostro che mi guarda dal vetro. Sei una bellissima Fenice e non un pesciolino, rammentalo sempre».
La mutante rifletté, osservando le loro immagini sovrapposte, lui in una shirt bianca senza maniche a evidenziare le braccia muscolose e il tatuaggio del rapace sul bicipite, lei in felpa mélange «È un vetro magico, dunque, Falco. Lo hai portato con te dal circo?».
«Qualcosa del genere, mi piacerebbe pensarlo» il giubbotto e una felpa blu indosso e le chiavi dell'auto in mano, le fece strada nella discesa in garage.
Il tragitto fu costellato da un lungo silenzio, accompagnato da una playlist molto varia: rock, melodico, grandi successi piuttosto datati, un misto scelto da Clint in base ai propri gusti musicali.
Julia cercò di rilassarsi; il riflesso di sé, stavolta sul finestrino, la rimandava alle parole rassicuranti dell'arciere, in cui forse esisteva un fondo di verità.
Nemmeno si accorse di essere arrivata alla villa, fu Barton a destarla dalle sue elucubrazioni «Allora ciao, alla prossima».
«Non vuoi entrare un momento? Mi piacerebbe presentarti i miei amici, i miei studenti. Te la senti?» domandò, stringendo nervosamente il cellulare nella tasca, certa che avrebbe rifiutato.
«Ce ne sono molti con la coda e la pelle blu oltre a Kurt?» Clint sdrammatizzò, scendendo dalla jeep e aprendole lo sportello.
«Qualcuno».
«Mi toccherà vederlo, sono curioso» camminò dietro di lei, accondiscendendo alla proposta; e non perché non avesse programmi per la domenica, ma perché, di nuovo, il dolore di lasciarla e di rivederla chissà quando lo attanagliò «Caspita, detto fatto».
«Non offenderti, Hank, diamine, non è colpa mia se sei un genio nel tuo campo ma non sai riparare un vecchio macinino» Erik inseguiva una creatura in jeans e maglietta a manica corta beige dall'aspetto tutt'altro che umano. Massiccio e muscoloso, alto almeno due metri, aveva la pelle color turchese ricoperta da una vistosa peluria scura. I lineamenti del muso avevano trasfigurato il giovane dottor McCoy in un animale feroce, contraddistinto dagli occhiali rotondi dalla montatura di plastica posati sul naso.
«Disse Magneto che non sa piantare un chiodo o friggere un uovo al tegamino» la voce arrochita rimbrottò Lehnsherr, osservando Clint, che domandò «Dottor McCoy, è lei?».
«Sì, agente Barton, in carne, ossa e pelo» la creatura si fermò, abbozzando un sorriso «questo è il mio vero aspetto, lo tengo a bada con un siero di mia invenzione. Durante il nostro primo incontro avevo ritenuto opportuno celarlo, per mettere lei e i suoi colleghi più a vostro agio possibile» rispose con serenità, una chiave inglese nella mano destra.
«Lo chiamiamo Bestia» Julia lo specificò. Hank era tanto caro, un amico prezioso dotato di un'intelligenza e di una sensibilità fuori dal comune. Una perla rara, il cui legame sentimentale con Raven, solido e duraturo, gli aveva fornito un ulteriore equilibrio esistenziale. La massa di pelo era solo un corollario di un'essenza meravigliosa, a cui lei era così abituata da non farvi più caso. Era stato lo stesso per ogni mutante con cui si era interfacciata: pelle colorata, aculei, squame non la intimorivano. La spaventavano e scoraggiavano la cattiveria altrui, la discriminazione che aveva subito, i commenti spiacevoli degli umani.
Proprio Mystica li raggiunse in giardino, accompagnata da un paio di giovani, un maschio e una femmina «Avevo sentito il rumore di un motore. Bentornata, Julia. La mostra era particolarmente interessante, peccato tu non sia venuta, ti sarebbe piaciuta» lei e Hank avevano fatto da chaperon agli studenti, godendo di una splendida esposizione di quadri di pittori impressionisti francesi.
«Ci è mancata tanto, professoressa» la brunetta minuta dai capelli scuri e il viso da bambolina abbracciò Fenice. Indossava la stessa maglia del compagno, certamente acquistata all'esposizione e l'indicò: su uno sfondo rosso, era stampato un famoso paesaggio realizzato da Monet, un sentiero in un giardino «Gliene abbiamo presa una uguale, la troverà in camera».
«Grazie. Clint, lei è Kitty Pryde, la mia allieva più promettente. Lui è Bobby Drake» Green fece le presentazioni, introducendo l'arciere. Evitò di dire che Kitty era la sua allieva prediletta, quella in cui si rivedeva per la timidezza caratteriale e l'amore per gli studi umanistici.
«Lei è Occhio di Falco, l'Avenger arciere? Che fortuna avere un supereroe come lei nella nostra scuola» Bobby era al corrente della visita dei Vendicatori, che gli studenti non avevano potuto conoscere. Non poté nascondere la stima per Barton, che considerava un vero eroe e di cui aveva ammirato le gesta attraverso la rete e la tv.
«Diamoci del tu, non sono decrepito; sono Clint» il Falco avrebbe voluto informarsi sul genere di mutazione posseduta dai due, non visibile. Soprassedette, cercando un argomento di conversazione più neutro «Stavate riparando una macchina? Me ne intendo di motori, potrei aiutarvi». Erik aveva una macchia di grasso nero sulla punta del naso, e le mani ne erano ricoperte sui polpastrelli.
«Davvero? Magari voi altri riuscirete a far partire il macinino che vi siete messi in testa di aggiustare. Sì, Clint, vieni nel garage» Raven schernì il fidanzato e Lehnsherr, ondeggiando sui tacchi degli appariscenti stivali di pelle nera che arrivavano a metà coscia. Una minigonna rossa e una camicia attillata la rendevano particolarmente vistosa e volontariamente seducente.
«Non prenderci in giro: quando abbiamo deciso di provare a ripararla, eravate tutti d'accordo, poi siete spariti» Hank ricordò l'episodio.
«Io no, lo sapete che le auto non mi piacciono» dall'incidente stradale in cui sua mamma era morta, Julia aveva sviluppato un'idiosincrasia verso i veicoli, utilizzati il minimo indispensabile per i propri trasferimenti.
«Clint, abbiamo scorto il rottame di una macchina sul ciglio della strada a qualche miglio da qui. Era stata abbandonata dal proprietario, ipotizziamo, qui anziché allo sfasciacarrozze poiché era senza targa e il numero di immatricolazione sul motore è limato» Drake spiegò.
«E' un'auto rubata, i ladri l'hanno lasciata lì per quel motivo quando si è rotta» Barton represse una risata. I mutanti erano geni e speciali pure nell'ingenuità.
«Ah, come vi avevo detto» Erik si toccò il mento, lasciandoci un buffo alone di grasso. Lo aveva sospettato senza averne la certezza. L'entusiasmo degli altri lo aveva fuorviato da valutazioni razionali sulla provenienza della macchina, di cui non si era più preoccupato così come delle promesse ricerche amministrative per comprenderne l'effettiva storia. Si chiese come spiegarlo a Charles, rimandando la riflessione a un secondo momento.
«Comunque, ci piaceva l'idea di sistemarla, di farle vivere una seconda vita, di dare un'occasione a qualcosa che nessuno voleva più. Lo chiamiamo il riscatto morale della Dodge» Kitty sottolineò le motivazioni che li avevano condotti a imbarcarsi in un impegno gravoso e in una materia di cui erano praticamente ignari.
«Non è una semplice Dodge. È una Dodge Charger del 1966, non ci posso credere» all'interno del garage, posizionato nel retro della villa, un box enorme conteneva diverse auto. Clint contò una limousine sovradimensionata, presumibilmente usata per gli spostamenti del professore in sedia a rotelle, sette auto di lusso di cui alcune storiche, in condizioni perfette, un paio di furgoni, due berline, tre moto da cross. Un banco con alcune parti smontate, sormontato da una miriade di attrezzi da meccanico, appesi ai rispettivi ganci, era stato strutturato lateralmente in un angolo ove era presente persino un ponte per sollevare le macchine. Non aveva nulla da invidiare a un'officina vera e propria!
«Fenice, questo posto è un sogno, perché non mi hai detto prima della sua esistenza?» il Falco le si rivolse, con un sorriso sornione, togliendo il giubbotto di pelle e la felpa e passandoglieli, con confidenza.
Lei gli si mise vicino, mentre esaminava l'auto d'epoca.
La sua attenzione era tutta per il gioiellino che aveva per le mani «Signori, avete trovato un tesoro. È una muscle car, il genere sportivo e appariscente degli anni Sessanta, un tipo di auto caratterizzata da un motore anteriore longitudinale solitamente a trazione posteriore, e un'elevata cilindrata del propulsore. Possiede una linea molto squadrata, quasi brutale e ha un lungo cofano rispetto alla parte posteriore della macchina» accarezzò la fiancata laterale sinistra color champagne con la mano, col piacere che avrebbe messo in una coccola su una forma femminile. La Dodge era potente, aggressiva e veloce, in particolare in rettilineo, splendida da guidare «Sulla carrozzeria c'è qualche bozzetto, ma ancora non è comparsa la ruggine. Ho un amico specializzato in auto d'epoca che ci consiglierà per sistemarla al meglio, è un vero mago».
«Abbiamo provato a smontare la cinghia di distribuzione per cambiarla con una nuova, ma non siamo riusciti a reinserirla» Erik dovette ammetterlo, esibendo il pezzo all'arciere, apparso piuttosto competente.
«Mostratemi come avete fatto» Barton li incentivò, sicuro di aver capito l'errore in cui erano incappati.
Hank e Lehnsherr spingevano la stringa senza fortuna e con diverse imprecazioni.
«Va girato al contrario, avete sbagliato il verso. La parte sagomata deve essere inserita al lato interno» l'Avenger vagliò gli attrezzi appesi e afferrò un paio di chiavi inglesi, e una brugola, che inserì nella tasca posteriore dei pantaloni.
Controllò le pulegge della cinghia e la pompa dell'acqua per essere sicuro che non fosse necessaria qualche sostituzione, prima di montare il nuovo pezzo.
Lo serrò, ricordando le specifiche di coppia che conosceva a memoria senza bisogno del relativo manuale del motore, e prestando particolare attenzione al dado di fissaggio della puleggia dell'albero motore che, in genere, andava stretto a valori molto alti.
«Ecco, Bobby, prova a mettere in moto» esortò il giovane che si precipitò nell'abitacolo per girare la chiave.
Il ruggito del motore scatenò un coro di giubilo e un applauso a scena aperta che Clint accolse con un inchino e un doppio segno di vittoria con l'indice e il medio aperti.
Erik gli strinse la mano, notando fosse sporca di grasso come la sua «Non sappiamo come ringraziarti, ti va un caffè? Puoi lavarti le mani e magari Julia ti farà fare un giro turistico della scuola. L'altro ieri hai visto solo la sala riunioni annessa allo studio di Charles» constatati gli sguardi complici fra Fenice e Barton, aveva pensato di invitare quest'ultimo a trattenersi.
Non gli era parso affatto male e aveva risolto loro un problema non da poco. Quando Charles gli aveva prospettato l'alleanza con gli Avengers aveva storto il naso, con una dimostrazione manifesta della sua antipatia, anche nel corso del meeting. Il confronto con Xavier, a posteriori, sull'atteggiamento comunque costruttivo della squadra di Fury e su quanto accaduto fra Julia e il Falco non lo aveva convinto a dare ai Vendicatori una possibilità di conoscenza.
Tuttavia, Charles aveva sottolineato che, nel momento di connessione mentale fra Julia e Clint, lei lo aveva volutamente tenuto fuori; aveva aggiunto, altresì, che il direttore Fury, in separata sede, gli aveva accennato dell'incidente stradale che aveva causato la morte della mamma dell'arciere e delle sue complesse problematiche familiari.
Magneto, orfano di un'analoga vicenda altrettanto sconvolgente, aveva meditato a lungo sulla questione.
Pur non condividendo la scelta di Fenice, non aveva alcun diritto di interferire se lei voleva frequentare un amico non mutante. Dopo una vita intera di solitudine e sofferenza, forse, come sosteneva il suo vecchio amico Charles, l'agente Barton - complice un destino simile - avrebbe potuto rappresentare un confidente, ciò che lui non era riuscito a essere per lei? Non era certo che per Julia fosse stato un incontro positivo, ma non poteva mettere la mano sul fuoco per il contrario. Un po' di cortesia non avrebbe ucciso nessuno, ritenne.
«Certo. Almeno l'aula dove insegna la famigerata professoressa» il Falco riprese la giacca dalle mani della mutante, e indossò la felpa, strizzandole l'occhiolino.
I due giovani, ammirati della scioltezza nella riparazione della Dodge, gli si erano piazzati alle calcagna e lo avevano tempestato di domande sul tiro con l'arco e sulla battaglia coi Chitauri, nel vialetto che conduceva dal garage alla cucina della scuola.
«Puoi sciacquarti nel lavello, usando il sapone per i piatti come detergente» Fenice lo condusse davanti a uno dei lavandini della cucina professionale, grande come quella di un esercito di fanteria, dandogli della carta da un rotolo per asciugarsi.
«Portami nel tuo mondo, Fenice» a differenza della volta precedente, non era orario di lezione. Gli studenti camminavano per i corridoi da soli o in gruppetti. Alcuni erano presi dalla visione di un film in una sorta di sala cinema, la maggioranza delle aree adibite ad aule erano vuote.
Ed erano quasi tutte stanze, tranne i laboratori di scienze e di arte, dove erano presenti banchi per l'esecuzione delle attività. Le altre erano camere con alcuni accessori tipici delle scuole, come scrivanie per i docenti, lavagne di ardesia ed elettroniche; ma l'alternanza di seggiole normalissime, poltrone imbottite, cuscinoni multicolori e soffici tappeti di una nota ditta svedese rendeva l'ambiente informale.
L'aula di Julia non faceva eccezione. Aveva curato lei stessa l'allestimento e ne andava fiera «Prego, accomodati, è tutta opera mia». Era una rarità avere ospiti, si emozionò e si preoccupò che un estraneo alla scuola entrasse nel suo regno e si augurò che potesse apprezzarlo. Per lei era un estraneo importante che stava diventando qualcosa di più che un semplice conoscente.
Una scrivania antica a forma di fagiolo restaurata e laccata di bianco era l'appoggio per i propri oggetti personali da lavoro, la tappezzeria delle poltroncine e dei pouf riprendeva i toni caldi del bianco e del turchese. Cartine geografiche, poster di luoghi splendidi dei cinque continenti erano appese nei pochi spazi vuoti delle pareti in cui non erano presenti mensole con decine di libri allineati. La stoffa delle tendine alle finestre era ricamata da disegni di mongolfiere in rilievo. Un tavolino angolare posto in fondo all'aula era destinato a break o merende, con boiler, caffettiera, tazze personalizzate con i nomi degli studenti e una miriade di scatoline di cartone di infusi e tisane.
Parve a Clint un posto magico, simile all'insegnante il cui stile nell'arredo la rappresentava, in coerenza con la sua indole.
«Ti piace?» Barton era ammutolito e lo sollecitò.
«Avrei potuto terminare il liceo pure io, se avessi studiato qui» mormorò, confessando di non aver finito la scuola, le mani che si stringevano l'un altra, teso. Non aveva mai considerato la licenza superiore come un traguardo; purtuttavia, davanti a Julia, si sentì ugualmente molto ignorante.
«Clint» lei lo sussurrò, a voce bassa, affinché Bobby e Kitty non ascoltassero «è il più bel complimento che potessi farmi. Perché non vieni a seguire qualche mia lezione? Potresti riprendere a studiare. Col lavoro forse impiegheresti un pochino più degli altri a diplomarti, ma sono certa ci riusciresti, ti aiuterei io».
«Scherzi? Farei la figura del nonnetto fra i ragazzini, fu uno dei motivi per cui non ho mai ripreso» era stata molto carina a proporlo, ma era proprio impossibile, una trovata surreale.
«Vieni con me» colta da un impeto improvviso, lo trascinò per il polso fuori dall'aula, separandosi dai suoi studenti. Dal corridoio prese le scale, salendo fino al primo piano, destinato alle camere degli insegnanti e degli allievi dell'ultimo anno.
«Dove mi porti?».
«Nella mia stanza, non farti strane idee» era una battuta stupida e un palese doppio senso: la mutante si morse la lingua per non saper gestire certe situazioni con l'altro sesso.
«Che idee, scusa? A che ti riferisci?» Clint premette il dito nella piaga della battuta, avendola vista arrossire come una delle scolarette a cui insegnava.
«Nessuna, dai» sminuendo, aprì la porta e lo spronò ad accomodarsi.
Barton si pentì subito, perché l'effetto della presa in giro fu che anche lui divenne del colore dei pomodori maturi «Certo che fa un caldo qui, Xavier non risparmia sul riscaldamento».
La piccola camera era esattamente come l'arciere l'aveva immaginata. Restò in piedi, vicino al letto, in attesa di qualcosa che doveva succedere, osservando il poster con il paesaggio dei Tropici, la spiaggia bianca, l'amaca appesa fra due palme da dattero, il mare sullo sfondo con le onde dalla spuma bianca che pareva panna, certo che la giovane trascorresse molte ore sognando un viaggio meraviglioso all'altro capo del mondo, all'insegna della piena libertà mai posseduta, delle ali mai spiegate.
Fenice prese dal comodino un libro dalla copertina marrone molto rovinata e glielo porse.
Lui lesse il titolo: Romeo e Giulietta.
«È la copia su cui studiavo quando ero una semplice allieva e che mi ha accompagnato in questi anni. Tienila, leggila, e, se ti va, passa ad ascoltare una mia lezione, senza impegno» le era parso un buon modo per convincerlo «Sei brillante, intelligente, coraggioso, ammirato. È un vero peccato che tu non abbia il diploma».
«Non mi serve un pezzo di carta da appendere al muro per dimostrare ciò che valgo e che sono» con vergogna per l'insuccesso scolastico, si trincerò dietro poche certezze. Scorse appunti e foglietti gialli all'interno delle pagine usurate. Richiuse il testo, per restituirlo.
«Ovviamente no, sono la prima a condividere le tue parole. Si tratta di qualcosa che faresti solo per te stesso, per migliorarti, non certo per me o per dimostrare nulla a nessuno. Tieni il libro, mi ripeto. È un prestito. Se non verrai a lezione, me lo ridarai e saremo amici come prima. Si dice così?» non avrebbe potuto costringerlo. In caso contrario non avrebbe mai funzionato. Lo disse con sincerità, lasciandolo libero di scegliere.
«Julia, io e te non siamo mai stati amici, temo» fece una considerazione razionale. Lei
era così insistente e determinata mentre gesticolava accanto allo scrittoio, che il Falco cedette alla lusinga degli occhi verdi «D'accordo, il libro traslocherà per un po' nell'Upper West Side, almeno cambierà aria, lui sì che è decrepito» lo avrebbe portato via e riconsegnato qualche giorno dopo, e almeno Fenice non sarebbe rimasta del tutto delusa del suo rifiuto.
«A che ora si svolgono le tue lezioni?» le domandò con indifferenza, prima sentire dal corridoio il sibilo della sedia a rotelle del professor Xavier, che era passato a salutarlo.
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