Capitolo 22 Di momenti di passione e di un incontro angelico
«Se avessi posseduto il potere di Kate, mi sarei comportato come lei, non ho alcun dubbio. E non significa che la stia difendendo, non fraintendermi» Clint aveva tolto il pigiama ed era entrato nel box doccia dalle pareti di cristallo. Lo specchio rettangolare del guardaroba ad altezza d'uomo, dov'era andato a guardarsi, gli aveva rimandato il riflesso di sé in migliori condizioni che nell'ultimo periodo. Si sentiva nel pieno vigore delle forze, oltre che molto contento.
Il bagno era annesso alla camera padronale, di cui Fenice aveva lasciato la porta aperta. Si era addossata al legno dell'uscio, in mano una tazza da tisana di porcellana bianca e rosa, regalo del marito e personalizzata con la scritta Mai sottovalutare una mutante di nome Julia. La gastrite era passata, la passione per gli infusi era rimasta; quella mattina l'aveva colta un antipatico malessere alla pancia e il classico decotto di melissa e camomilla faceva al caso suo anche per l'effetto calmante, oltre che per il gusto.
La figlia si era seduta al bordo del letto sfatto, guardandosi le punte dei piedi nelle sneakers Chuck Taylor All Star Classic alte nere. Lucky era rimasto accanto alla finestra che affacciava sul fiume Hudson.
«Ti capisco, probabilmente ciascuno di noi sarebbe caduto facilmente in tentazione, vedendo soffrire una persona che ama» sua moglie manifestò la propria solidarietà, scrutando Kate «Tuttavia, nostra figlia aveva fornito verbalmente giuramenti di altri propositi. Quando sono andata a vivere nella villa di Charles, lui mi chiese di non utilizzare i poteri nella vita quotidiana, di non abusarne. Avrei potuto manipolare la mente del cassiere di una banca e farmi consegnare denaro in quantità per non lavorare un giorno della mia vita; invece ho scelto di insegnare per mantenermi. E' un esempio banale, ma realistico. Approfittare delle abilità non è mai un bene. E dietro la nostra richiesta di non manifestare un potere come il tuo, Kate, c'è altro, lo sai».
«Posso dire una cosa a mia discolpa?» non attese che la madre le desse il permesso, presa dalla sua irruenza «Che senso ha possedere il potere di guarire gli altri se non posso usarlo? Perché l'ho avuto?» se lo era sempre domandato, certa che il risultato della ripresa del golden retrivier si sarebbe ripetuto anche sulle persone.
«Non lo sappiamo, biscottina, ma la mamma ha ragione» con l'acqua al massimo del calore e lo shampoo schiumoso in testa, il Falco sostenne la moglie, aumentando il tono dell'ammonimento. Udiva la voce della figlia pure sotto il soffione dell'acqua corrente, da una stanza all'altra. Ed era una percezione meravigliosa «Gli effetti di un potere simile potrebbero essere disastrosi per parecchi motivi diversi, te lo spiegammo. Per piacere, non usarlo e non raccontare ad anima viva di averlo fatto con me. Più tardi, e verrai anche tu, incontreremo i colleghi alla X-Mansion e illustreremo il miracolo della mia guarigione, cercando una scusa plausibile per i mass media che già mi davano per spacciato. Come facemmo a suo tempo per Lucky». Mezzo mondo aveva visto in diretta Rogers che lo portava via dal Palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra con l'orecchio fuori uso.
«Piuttosto dovremo spiegare perché dimostri dieci anni di meno» Julia lo squadrò, dalla cima dei capelli sciacquati fino alle dita dei piedi, lentamente, soffermandosi sull'inguine.
La sola occhiata languida, di sommo apprezzamento della moglie, infiammò l'arciere, che riconobbe un'immediata rigidità nelle pelvi, svettante e sfrontata.
La bruna sbottò a ridere alla sua reazione e l'uomo si voltò verso il muro interno della doccia, ostentando le natiche.
Lei non riuscì a trattenersi e dovette lasciare la tazza sul comò, prima di farla cadere a terra.
«Perché ridi, mamma?».
«Kate, una volta, tanti anni fa, zia Raven affermò che papà non era niente male, che aveva un bel sedere. Oggi va oltre il dieci e lode, è da sturbo» Fenice rise più forte: c'era bisogno di allegria in casa, Occhio di Falco poteva sentire!
«Andiamo, Lucky, ho voglia di una passeggiata» capita l'antifona, con un sorriso che attraversava il bel viso da una parte all'altra, la ragazza si dileguò verso il corridoio, con il cane al seguito.
«Torna per pranzo e, ricordati: oggi pomeriggio, dopo la riunione, ti interrogherò per il tuo rientro di domani a scuola, Katherine Elizabeth, sono stato chiaro?» il Falco la avvisò. Teneva moltissimo che eccellesse anche negli studi; lei manteneva un'ottima media e non aveva mai avuto difficoltà.
«Sì, papà, chiarissimo. Ho ripassato, negli scorsi giorni, e fatto i compiti nuovi, la mamma mi ha visto, e l'ho pure aiutata in casa; non è che potremmo fare un salto alla base ad allenarci con l'arco, piuttosto?» lo provocò, certa che avrebbe acconsentito.
«Vedremo» borbottò Barton, uscendo dalla doccia.
Julia gli porse l'accappatoio, tenendolo aperto con le mani affinché lo indossasse. Con un telo di spugna gli tamponò i capelli, che rimasero umidi e disordinati sopra la testa.
L'Avenger la fissava, muto, le mani sui suoi fianchi morbidi, intorno al pigiama.
«Hai perso la parola, dato che hai recuperato l'udito? Legge del contrappasso?» lo sfottè.
«Sono più di dieci anni, Fenice, quelli che sento in meno, te ne darò dimostrazione immediata» piegò le gambe e l'afferrò con decisione per portarla in braccio sul letto.
«Mi hai rubato il cuore da più di un decennio, è sicuro, giovanotto».
«Mettiti in fila. Sei mia, Fenice».
Lei passò le dita sul torace maschile, spostando la spugna dell'accappatoio, che finì a terra. Si baloccò della pelle al gusto di pino silvestre, mentre il marito mangiava il suo collo «Divoro te prima del pranzo, ma accetto volentieri la proposta del pesce per dopo».
«Con una foga tanto giovanile, dovremo ordinare take away» la bocca di Clint era arrivata all'incavo dei suoi seni, sbottonato il pigiama di satin rosso dai rilievi neri, firmato Calvin Klein. Fece piano, per evitare segni rossi dovuti alla barba portata più lunga del solito a causa della trasandatezza degli ultimi giorni, che avrebbe rasato più tardi.
«Prima della cura di tua figlia, l'unica cura che posso accettare come tale, non ti soddisfacevo, mia Giulietta?». Julia non aveva ancora fatto la doccia, il che rendeva il suo sapore ancora più genuino e afrodisiaco. L'uomo non resistette dall'affrancarla dei pantaloni dalla gamba dritta e dalle mutandine dello stesso stilista americano, dall'iconica banda elastica. Coniugavano uno stile rétro e un colore moderno nel morbido cotone: Strawberry field, un campo di fragole mature, ispirazione di una nota canzone del gruppo dei Beatles.
Canticchiandone il ritornello, l'Avenger le lanciò in aria, e attese compiaciuto che sua moglie sussurrasse, con languore «Romeo, sei l'unico abbraccio che voglio addosso». Le loro labbra si fusero in un viluppo appassionato, i fianchi morbidi finalmente nudi della mutante si inclinarono per una carezza voluttuosa sulla virilità del compagno. Dispettosa, Julia si allontanò, dato che il suo amabile coniuge voleva giocare «Forse non potrò stare al tuo passo, giovanotto e dovrò lasciare la partita a qualcun'altra ».
«Non scherzare, professoressa. Sei sempre la signora Barton per l'ufficiale di stato civile di New York City, da diciassette anni, se ben ricordo» perentorio, l'arciere afferrò i glutei tondi della moglie, allenati dallo jogging che svolgevano assieme, e li strinse, possedendola con un gemito e una battuta che le strappò l'ennesima risata «La freccia di Occhio di Falco è solo per te, mia vetusta sposa».
«Ti amo, arciere» Julia tornò seria, lambendogli le guance.
Barton si soffermò con le labbra su capezzoli rosei, mordicchiandoli delicatamente e passando da uno all'altro, in un'alternanza perfetta; li suggette, come un piccino prendeva il latte dalla mamma che gli aveva dato la vita. Sentiva ardere la fiamma del gelsomino di Julia, le piccole sporgenze dei petali carnosi già umide di desiderio strusciarglisi addosso, lo strofinio dei corpi che erano diventati un unico essere. I movimenti compagni delle vibrazioni dei loro fisici si fecero sempre più carichi e decisi.
Nell'istante in cui Fenice rifletté che se avesse potuto descrivere la perfezione di un attimo avrebbe scelto quello che stava vivendo, una sferzata vigorosa la colpì, all'altezza del bacino; con facilità, indovinò nuovamente cosa stava per accadere, lasciando spazio all'uccello d'energia che li avvolse entrambi nelle sue ali ospitali e confortevoli.
Le piume aperte dal retro della sua schiena si erano allungate, attorcigliandosi attorno al dorso dell'arciere, quasi ripiegandosi su se stesse in un bozzolo di luce.
La mutante aveva desiderato che la fenice di fuoco si manifestasse, giusto per sbirciare un pochino nell'anima di suo marito, dopo le frasi dolorose che aveva ascoltato. Si rassicurò della propria inquietudine, e il Falco delle intenzioni muliebri di volerlo fuori dalla loro casa. Lei era stata forte, rassicurante tanto da spiazzarlo, pronta a dare tutto l'appoggio che un uomo poteva aspettarsi da una compagna in una fase delicata come quella della perdita dell'udito. Era stata la sua roccia, il suo sostegno, il supporto, nella settimana in cui la sua vita era andata in frantumi. Non ebbe il tempo di pentirsi di essersi comportato in modo sgarbato e aggressivo, che il suo sfogo fosse stato condito da parole amare.
Il piacere duplicato da quello della sua Fenice raddoppiò d'intensità, portandolo in un non luogo di calore, distante dalle dimensioni spazio temporali, nell'universo del loro amore, in un baleno che gli parve eterno, senza fine.
Solo lo scemare delle particelle cangianti, visibili a contrasto delle mura candide della stanza matrimoniale, gli dettero il senso del ritorno alla normalità.
«Hai bluffato, cattivella» ansante, non poteva smettere di sbaciucchiare Julia, dopo l'amore.
«Davvero pensavi che volessi lasciarti andare perché non sentivi? Sordo e pazzo visionario!» lei lo rimbrottò, pesantemente. Era sempre Clint, il suo amore scorbutico e col viso corrucciato, nonostante la cura della biscottina.
«Julia, io... vaneggiavo. Perdonami. Che faremo con Kate?».
Fenice salì sopra di lui, usandolo al posto del materasso «Hai visto nella mia mente quanto sia felice che tu stia bene e abbia riacquistato l'udito, se mai avessi avuto dubbi. Tuttavia, modificare l'ordine naturale delle cose come una divinità che compie miracoli, lasciando nelle persone che guarisce un briciolo di eternità in più, come fa nostra figlia, è pericoloso».
«Hank e Bruce furono esaustivi con le loro teorie. La Terra già sovrappopolata non sopravvivrebbe se non vi fosse un ricambio, in un giusto equilibrio numerico fra nascite e morti. Se Kate guarisse chi è malato e destinato a una prossima fine certa, avremmo una popolazione troppo longeva». Secondo i due scienziati la ragazza avrebbe potuto usare l'abilità a ripetizione, alterando il corso naturale dell'esistenza umana e mutante e un mondo già minato da problemi oggettivi.
«Per non parlare di chi potrebbe volere Kate al suo servizio. Dobbiamo proteggerla, fare in modo che il suo potere non venga mai reso noto ad altri all'infuori di noi e del nostro ristretto gruppo di amici fidati» l'Avenger concordò «Oggi, quando usciremo, guiderai tu. Teniamo il punto del mio infortunio. Per la pelle più liscia e i capelli meno imbiancati penseranno che stia attraversando la crisi di mezza età e che ho fatto punturine di filler e una tinta dal parrucchiere».
«Occhio di Falco vanitoso e forse con una giovane amante? Può reggere!» si strusciò al marito come una gattina «Tua figlia è scappata a gambe levate, abbiamo ancora un po' di tempo prima che torni. A meno che tu non sia già stanco».
«Non sfidarmi» Barton la rivoltò velocemente e impetuosamente sotto di sé, tirando il lenzuolo sopra le loro teste.
E Fenice aveva ragione. Kate, infatti, intuito il loro bisogno di restare soli, si era diretta verso Central Park, il polmone verde della città, dove era solita portare a spasso Lucky. Conosceva il parco a menadito: lì suo padre le aveva insegnato ad andare in bici e la mamma a pattinare. I suoi genitori vi si recavano per lo jogging e organizzavano divertenti picnic con lei e i loro amici quando il meteo lo permetteva.
L'aria era frizzante, il sole splendeva nella limpida mattinata invernale. E si sentiva finalmente serena. Il cappellino di lana nera a costine sulla testa, le mani nelle tasche dell'ampio e caldo cappotto di lana spigato, marciava spedita, col cane senza guinzaglio a pochi centimetri.
«Che c'è, bello?» il golden retrivier si era girato e aveva puntato le zampe. Ringhiava a un ragazzo biondo che procedeva dietro di loro. Kate afferrò il laccio di cuoio avvolto in tasca e lo agganciò all'anello metallico del collare «Cavolo, non fai mai così. Che ti prende?». Dovette tenerlo a forza mentre mostrava i canini al biondo, spostatosi coi piedi sul bordo di cemento che delimitava le aiuole del viale dove camminavano «Il tuo cane deve detestare il mio dopobarba nuovo all'assenzio». Il ragazzo fu simpatico e gentile; il dislivello del gradino lo aiutava a distanziare l'animale.
«Probabile. Attento, però!» Kate, preoccupata della reazione anomala e che potesse morderlo, rispose in modo stringato intanto che l'altro si inginocchiava ugualmente e tendeva la mano a Lucky per fare amicizia «Non staccarmi un dito, eh, bello!».
Stranamente, il cagnolone cambiò atteggiamento senza indugio, accucciandosi e stendendosi a terra a pancia all'aria, per avere una tripla razione di grattini offerti senza risparmio «Finalmente ci capiamo. Adoro gli animali. Complimenti, hai un cane splendido».
Il giovane uomo, molto curato, un po' più grande di Kate, sui vent'anni, aveva un look sportivo particolarmente ricercato. Portava un bomber imbottito verde militare sopra a una semplice felpa grigio mélange con il cappuccio e dei jeans neri tagliati sulle ginocchia. Ogni capo era firmato, comprese le sneakers, altrettanto scure.
Si sentì ragazzina e trasandata o almeno non chic al suo livello. Allo sguardo dal basso, dagli occhi azzurri penetranti e curiosi, tuttavia, si imbarazzò. Un alone di caldo rossore su diffuse sulle sue guance quando le si presentò con garbo «Sono Warren».
«Io Kate, lui è Lucky».
«Lucky, sei un cane bellissimo, davvero. Non dovresti essere a scuola, Kate? Hai bigiato?» le domandò, rialzandosi.
«No, ho avuto un problema familiare, poi si è risolto. Tu? Niente lavoro, università?» l'accento di Warren non aveva inflessioni riconoscibili, assomigliava a quello di un inglese. Indagò, corrispondendolo con la stessa domanda.
«Sono in vacanza, ho preso una pausa dallo studio» si era preparato e fornì una risposta adeguata al trovarsi al parco in quell'orario.
«Davvero? Che studi?».
«Matematica» le rivelò, in una maniera tanto sfuggente, manifestando fosse un argomento spinoso, e non si vi si soffermò. Sbuffò l'alito fra le mani, che divenne una nuvola bianca a causa della temperatura esterna. «Ti va qualcosa di caldo prima di diventare due ghiaccioli? Ho scordato pure guanti e cappello in albergo».
Erano arrivati al Loeb Boathouse; la struttura degli inizi del secolo scorso era composta da eleganti case galleggianti collegate tra loro da un porticato affacciato sul laghetto di Central Park. Gli interni ed esterni risultavano curati nei minimi particolari, le luci soffuse e il design classico si sposavano alla perfezione creando un luogo di altri tempi.
La giovane Barton si arrestò, contando mentalmente i soldi che aveva in tasca «Non saprei». Era un locale piuttosto costoso, economicamente sopra la media, dove aveva pranzato coi genitori, oppure consumato una bevanda al bar esterno nel periodo estivo, piuttosto che preso un caffè da asporto all'express bar aperto tutto l'anno.
«Offro io, ovviamente, signorina Kate. Degustare una colazione qui significa veramente mangiare a Central Park. Si vive appieno la magia del parco. L'ho letto sulla guida, per questo parlo come un libro stampato» Warren la rassicurò «Non sono un malvivente e tu hai una guardia del corpo coi fiocchi, anzi coi canini».
Sarebbero stati seduti a un tavolo in un luogo pubblico e c'era parecchio tempo fino all'ora di pranzo «Accettiamo, grazie». Non aveva nulla da temere e poteva difendersi benissimo anche da un'aggressione fisica perché suo padre, Natasha Romanoff e Steve Rogers le avevano insegnato il corpo a corpo. E i suoi poteri di telecinesi potevano sollevare da terra l'avversario come fosse una piuma su cui soffiare.
Aveva avuto una buona impressione del biondino, la confermarono i suoi gesti educati. Le aveva preso il cappotto, le aveva spostato la seggiola, aveva chiesto con gentilezza al cameriere se Lucky potesse entrare, ricevendo una risposta affermativa.
«Preferisci mangiare qualcosa?» al tavolo di fronte al vetro dei finestroni Warren Worthington III, studiava il menù, sfogliandolo attentamente. Era stato facile avvicinare la figlia dei Barton. Si era messo sulle sue tracce appena qualche giorno precedente, mandato dal suo capo Erik a seguito della disfatta del gruppo dei terroristi mutanti a Ginevra, per scoprire qualcosa in più sul privato sulla famiglia di Julia Green e dell'arciere umano, gravemente colpito in occasione dei disordini.
Magneto voleva la conferma che il Falco avesse perso definitivamente l'udito o peggio. Angelo sapeva che cercasse da tempo un modo per convincere Fenice a schierarsi dalla sua parte. Le aveva manifestato affetto e attenzione con dei regali per la bambina ma non c'erano state che brevi telefonate di ringraziamento durante le quali l'amica aveva gentilmente rifiutato inviti e proposte. Ora che il marito era diventato un disabile a tutti gli effetti, come riportavano i giornali e come appariva dai filmati televisivi, forse Julia sarebbe rinsavita e lo avrebbe lasciato. I rapporti dei precedenti pedinamenti alla coppia erano, tuttavia, univoci sulla saldezza del rapporto coniugale e familiare.
Worthington III si era offerto volontario per la missione. Julia Green, a suo tempo, gli aveva regalato la fiducia in se stesso e lui non l'aveva mai dimenticata. Sua figlia le somigliava nella dolcezza interiore e nei lineamenti del volto «Ho promesso ai miei che avremmo pranzato insieme, prendo soltanto un caffellatte con molta schiuma per non rovinarmi l'appetito».
«Due, allora, e una crêpe alla crema di marroni e cocco. Sono goloso di dolci, ne mangerei all'infinito».
Il cameriere prese l'ordinazione, tornando pochi minuti dopo. La conversazione si era dipanata in semplici domande e curiosità fra sconosciuti.
«Fai qualche sport particolare? Hai le mani stranamente callose, per una studentessa».
«Tiro con l'arco, lo sport più bello del mondo» Kate alzò entrambi i palmi nella sua direzione «come mio padre. E' Occhio di Falco, l'Avenger». Lo disse vantandosene, orgogliosa di Clint e l'altro la fissò, in apparenza meravigliato.
«Sul serio? Incredibile. Ho visto in televisione che si è infortunato. Sta meglio?» spostò il piatto della crêpe nel mezzo del tavolo, indicando le posate che la ragazza aveva sopra il tovagliolo di stoffa, per dividerla, certo che non avesse chiesto nulla da mangiare per educazione. Ciuffi di panna decoravano la frittatina, una grossa e golosa lacrima di crema di marroni usciva dal bordo destro, lo zucchero caramellato sulla parte superiore sprigionava un solleticante odorino misto al dolce del cocco rapè.
«Grazie» capendo di avere fame, ne staccò il primo pezzetto con la forchetta, indecisa su quanto potesse scoprirsi nel dialogo e su cosa i genitori avrebbero deciso per la versione da fornire ai media e ai conoscenti. Rimase sul vago, di proposito «E' a riposo, i medici stanno effettuando approfonditi accertamenti, ma siamo fiduciosi sul suo recupero. Papà è un tipo tosto». Accompagnò la frase con un sorriso abbozzato, da cui Angelo colse che Barton non fosse grave e che le fossette ai lati della bocca sporca di panna della ragazza rappresentassero un bel problema per il proseguo della sua attività investigativa. Erano le splendide infossature che alcune donne mantenevano tutta la vita, portandosele dietro dall'età infantile, da riempiere di baci.
Nell'incarico affidatogli da Lehnsherr poteva restare in una posizione neutra di osservatore esterno, ma l'insistenza di quest'ultimo a un contatto diretto con la giovane, anello più debole della catena, lo aveva portato a tentare l'aggancio del mattino. Un conto, però, era controllare i movimenti dei componenti di una famiglia a distanza, ben altro parlare e confrontarsi con un persona a un tavolino, soprattutto una persona tanto carina come Kate. Ovviamente la figlia di Fenice era la classica mela caduta ai piedi all'albero materno.
Si dispiacque pure per lo splendido cane: tramite l'utilizzo di un sofisticato strumento a ultrasuoni, tenuto in tasca e azionato nei momenti opportuni, prima lo aveva innervosito e poi quietato. Avrebbe giurato fosse lo stesso animale conosciuto nelle Terre Selvagge, dato anche il nome, ma il golden retrivier seduto sotto il tavolo aveva entrambi gli occhi sani.
«Sei legata ai tuoi, pure io alla mia famiglia» i genitori erano stati un punto fermo e un riferimento importante, soprattutto nell'ambientamento nella nuova realtà dell'Antartico. Era sempre un bambino di pochi anni snaturato dalla propria realtà sociale, la cui esistenza era stata cambiata nel giro di poche ore sufficienti per un volo aereo con un biglietto di sola andata. Avuto il permesso per recarsi negli Stati Uniti, si era interfacciato con una città metropolitana densamente popolata in cui ancora risiedevano mutanti e umani, non distinta in zone franche; l'impatto dei pochi giorni trascorsi lì era stato positivo, non certo la sciagura che ipotizzava prima di recarvisi.
«I miei sono fantastici. Di solito non si va d'accordo con i propri genitori, si invidiano quelli degli altri. Per me no, mia mamma e mio papà sono i mi-glio-ri» sbattendo le lunghe ciglia nere, Kate lo sillabò, con incisività.
Lucky abbaiò di rimando, facendosi notare con la lingua a penzoloni.
«Ha fame, poverino, posso dargli un pezzettino di crêpe?» Angelo si fece impietosire dagli occhioni acquosi e languidi del golden retrivier.
«È un attore drammatico da premio Oscar che elemosina bocconi prelibati. Però se proprio ci tieni, sì, un pezzetto piccolo perché i dolci gli fanno male» era stato molto gentile e glielo concesse.
«Vieni, bello» il ragazzo tenne un quadratino di frittatina fra le dita e il cane lo afferrò fra le fauci senza nemmeno toccare la pelle dell'altro «Troppo forte».
Era avanzato un unico morso di crêpe «Finiscila pure, Kate».
«Approfitto, ha un sapore buonissimo» la mangiò ripulendo il piatto con l'esterno della forchetta dalla crema di marroni «È tirato a lucido, Warren, ti faranno uno sconto perché con noi il lavaggio dei piatti è praticamente inutile». Avevano bevuto fino all'ultimo goccio di latte macchiato, schiuma compresa recuperata col cucchiaino.
«Chiedo il conto per accertarmi della veridicità della tua tesi, arciera» fece segno al cameriere.
«Mi piace che mi chiami così» a casa sua, nel suo mondo l'arciere era Occhio di Falco, non lei. Si sentì lusingata dalla definizione usata.
«Lo sei, arciera, no?» sbirciando il conto, che mise nella tasca dei jeans, pagò col la carta di credito sul pos «Ovviamente avevi ragione tu! Torneremo presto per lo sconto, è direttamente proporzionale all'appetito». Aiutandola con il cappotto, propose di scortarla a casa per continuare a chiacchierare. Kate era divertente, piena di vita e di argomenti. I pochi anni di differenza di età fra loro non si sentivano affatto, si erano trovati in perfetta sintonia di gusti e opinioni.
«Credevo fossi incentrata sul tiro con l'arco, invece mi hai stupito» parlava a macchinetta, rapidamente e con uniformità di tono, di moltissimi argomenti.
«Mia madre insegna letteratura e storia, vivo fra libri e riviste, e ho imparato ad apprezzare i film di contenuto più adulto. Ogni occasione, weekend lungo, o vacanza è buona per una mostra o meglio ancora, per visitare posti nuovi, viaggiamo spesso» Julia e Clint l'avevano portata con loro ovunque, fin da piccolissima nel marsupio, sia negli Stati Uniti sia nel resto del mondo. Le avevano dato ciò che era mancato loro oltre a un affetto e una presenza smisurati.
«Noi meno» nello stato delle Terre Selvagge l'idea di andare in altri paesi, relativamente aperti ai mutanti, non era ben vista, addirittura sconsigliata dal suo presidente.
«Oh, guarda» erano arrivati al limitare esterno del parco. Attraversando la strada al semaforo, Kate notò un minuscolo cinema d'essai che esponeva il poster d'epoca di un film a lei noto «È Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli, lo conosco a memoria».
Worthington III non lo aveva mai visto invece, nemmeno in tv. Dato l'entusiasmo innocente della ragazza, si sbilanciò con la scusa formale di proseguire il pedinamento richiesto da Erik «Io no. Ti andrebbe di vederlo con me, domani sera?». Il cartello della programmazione segnalava che ci sarebbe stata una sola proiezione per lo spettacolo del giorno successiva, a ridosso dell'ora di cena «Potremmo mangiare, prima o dopo».
L'arciera sgranò gli occhi, provando a dissimulare la propria sorpresa. Aveva percepito un feeling con Warren, ma non si aspettava un invito, meno che mai a vedere un film del genere! Era una proposta romantica, dedusse. Si era approcciata a qualche coetaneo, conosciuto a scuola o alle feste o uscite organizzate coi compagni, nulla di serio o particolarmente coinvolgente. Molte sedicenni avevano già una vita sentimentale intensa, lei era una tabula rasa per quell'aspetto. Rimuginò, finché Lucky dette uno strattone al guinzaglio. La pausa di fronte al cinema era durata troppo a lungo, per i suoi gusti, e richiamò l'attenzione della padroncina.
«Kate, scusa, ti ho messo in imbarazzo. Forse frequenti qualcuno o pensi che i tuoi non ti diano il permesso?» le informazioni che aveva su di lei non prevedevano la presenza di un fidanzatino. Ogni ipotesi per la sua reazione era plausibile, anche di non piacerle. Angelo provò a limitare la delusione del probabile rifiuto.
«No, accetto. Scusami tu, ero sovrappensiero». In effetti avrebbe dovuto raccontare ai suoi che aveva un appuntamento con un ragazzo più grande rimorchiato a Central Park. Camminando verso casa, con lui di fianco, si domandò se i mi-glio-ri sarebbero stati tanto moderni da permetterle di uscirci.
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