Capitolo 1 D'incontri e di scontri fra un Falco e una Fenice


Graymalkin Ln, Westchester County 1407 North Salem, NY 10560

Clint Barton aveva impostato l'indirizzo della Scuola Xavier per Giovani Dotati sul navigatore satellitare della sua jeep e arrivarci era stato più semplice e veloce del previsto; il traffico era stato scorrevole, le chiacchiere dei colleghi in auto con lui relativamente piacevoli.

Si era concentrato sul sottofondo musicale della sua playlist preferita, restando ai margini della conversazione di cui il direttore dello S.H.I.E.L.D., Nicholas Joseph Fury, aveva riempito l'abitacolo.

Almeno Fury era seduto sul sedile posteriore, assieme al Capitano Steve Rogers, che lo assecondava. Nella parte anteriore del veicolo, Natasha Romanoff era rimasta in silenzio, in scia all'introversione di Barton.

«Che ci dobbiamo aspettare? Omini blu con la coda?» l'arciere, agente di altissimo livello, soprannominato Occhio di Falco, o Falco, per l'incredibile mira, si era espresso in una sola domanda, all'entrata dell'elegante villa di proprietà del professor Charles Xavier, mutante dotato di poteri telepatici.

A parere di molti un benefattore dell'umanità, Xavier aveva messo a disposizione la propria magione, fondando una scuola privata per giovani provvisti di una particolare mutazione del dna spesso connessa a un potere. La villa, secondo voci correnti, fungeva anche da rifugio e abitazione per i mutanti, vittime dell'ostilità e della paura dei comuni esseri umani a causa delle proprie abilità e fattezze fuori dal comune.

«Mi sembra un preconcetto» Vedova Nera scese dall'auto, schivando per un pelo il muso della Audi R8 V10 arancione del collega Tony Stark, che aveva parcheggiato disinvoltamente accanto alla jeep. La donna scosse i capelli ramati, sistemandoli ai lati del viso e fissò la magione.

Già dal vialetto d'ingresso, attraversato un enorme cancello in ferro battuto, spiccava per la magnificenza; ma da vicino la grande villa neoclassica costruita dagli antenati del professor Xavier su un ampio terreno vicino al lago di Breakstone, appena fuori dal centro di Salem, a New York, era ancora più imponente. In una cartolina, non avrebbe sfigurato accanto a un castello delle rive della Loira, per l'architettura e la cura dei dettagli del giardino e degli esterni.

«Mi sono addormentato a starti dietro, guidi come una lumaca, Falco» vestendo la giacca dell'abito tartan, appesa con una gruccia al poggiatesta del sedile del passeggero, Stark canzonò Clint, notoriamente appassionato di velocità e di vetture sportive, che si era contenuto per la presenza del direttore. 

«Per conto mio, la prossima volta verrò in taxi» Thor, biondo principe asgardiano, era stato relegato nello spazio minimo dei sedili posteriori dell'auto superlusso, lasciando il posto accanto a Tony al compagno Bruce Banner. Con i suoi quasi due metri d'altezza e la muscolatura imponente, il viaggio si era rilevato assai scomodo.

«Non ci resta che scoprire se le teorie di Barton abbiano un reale fondamento o se sia solo prevenuto a nuove conoscenze» a falcate più lunghe delle sue gambe, Fury, dall'aria perennemente minacciosa per via della benda di pelle sull'occhio destro perso in battaglia, salì la decina di gradini che separavano il parcheggio dal portone ligneo della scuola. Le estremità dell'indistruttibile spolverino sbottonato, anch'esso realizzato in pelle nera, ondeggiarono lateralmente.

Il campanello riecheggiò in un rimbombo ovattato all'interno della struttura e, dopo qualche secondo, la porta si aprì.

Una zazzera di capelli scuri su un volto segnato da strani simboli sulla pelle blu e da orecchie a punta fece capolino «Buongiorno, sono Kurt Wagner, qui mi chiamano tutti Nightcrawler; seguitemi, vi accompagnerò dal professore». Kurt non si scompose degli occhi spalancati degli ospiti appena arrivati: era abituato alla curiosità altrui. Il suo aspetto peculiare, incrementato dalle iridi gialle ereditate dalla madre e dalle sembianze demoniache del padre mettevano in difficoltà le persone con cui si interfacciava. Umani, ovviamente. Le tre dita nelle mani e nei piedi, i canini aguzzi, l'accento tedesco non erano rassicuranti. Dette il meglio di sé, voltandosi. Una coda lunga almeno un metro, terminante con un inspessimento cartilagineo a forma di fogliolina, dell'identico blu del derma, usciva da sotto la felpa della tuta grigio mélange con cui era abbigliato.

«Grazie, ci accodiamo» Tony non resistette a esibirsi in una spiritosaggine, sgomitando il dottor Banner, interessato alla scoperta da un punto di vista meramente scientifico. 

Bruce era il primo a convivere con un mostro verde, Hulk, la creatura che albergava in lui, un alter ego gestito con parecchio sforzo. La condizione di una diversità tanto spiccata e perenne nel giovane mutante gli dette da pensare.

Kurt appariva educato e simpatico, aveva persino ridacchiato alla freddura di Stark. «Avevi ragione, Falco!» Romanoff rammentò mentalmente i fascicoli che Nick gli aveva fornito, brevi descrizioni dei mutanti che avrebbero incontrato, o almeno dei mutanti più potenti che vivevano nella scuola. Su indicazione - direttiva a sentire Fury, del Presidente degli Stati Uniti - la squadra degli Avengers avrebbe dovuto fraternizzare con il team di Xavier, in previsione dell'arrivo di complicazioni fuori dall'ordinario.

«Ho sempre ragione, Nat» soddisfatto della veridicità del proprio presentimento, Barton replicò, dedicandosi a un'attenta osservazione della villa. 

I corridoi erano sgombri di studenti, probabilmente impegnati con le lezioni. Appariva a metà tra una casa privata e una scuola. Non mancava la ricercatezza degli arredi, raffinati e di gusto classico. Legno scuro, librerie colme di tomi, divani di pelle, quadri di pregio si intravedevano dalle porte aperte sulle zone comuni. Un paio di bacheche di cristallo per ciascun passaggio o disimpegno contenevano, invece, gli avvisi tipici di attività didattiche e manifestazioni sportive e culturali.

«Ecco, prego» Wagner li introdusse in uno studio ammobiliato in linea al resto della magione; le ampie finestre decorate di tendaggi color crema aprivano la vista sul retro del giardino all'italiana, al cui centro, zampilli e giochi d'acqua di una fontana circolare animavano il paesaggio.

Un uomo calvo, vestito di un paio di calzoni grigi, un cardigan bordeaux e una camicia chiara accolse gli Avengers, dirigendo il suo mezzo di locomozione, elettrico e moderno, verso di loro. Il pomello sul bracciolo destro della sedia a rotelle permetteva a Xavier di essere autonomo. Indirizzò l'attenzione al direttore Fury, che aveva in precedenza sentito al telefono per accordarsi sull'appuntamento «Benvenuti, buongiorno». Charles disse il proprio nome, introducendo gli altri quattro mutanti coinvolti per la riunione, già seduti al tavolo da conferenza rettangolare, in stile impero, realizzato in legno massello: Ororo Munroe e Erik Lehnsherr, alla sua destra, Raven Darkhölme e Hank McCoy a sinistra.

Alle spalle del tavolo una credenza classica barocca di uno squisito lusso offriva un caldo benvenuto - insieme al camino acceso, dalla cornice in pietra lavorata - con vassoi di cornetti e ciambelle glassate, thermos di caffè e di acqua calda per infusi, succhi di frutta in brocche di cristallo «Servitevi pure, ho predisposto uno spuntino». Proporre una gustosa colazione poteva rappresentare un ulteriore modo di mettere a proprio agio gli ospiti e Xavier era apprezzato per le buone maniere e il garbo nell'approccio e nella cura dei rapporti interpersonali.

«La ringrazio, professore» Nick segnalò ai propri collaboratori di prendere posto, con la mano, presentandoli a sua volta.

Tutti gli Avengers ottemperarono al suggerimento, Bruce e Tony, dopo essersi versati una tazza di caffè e agguantato una ciambella per ciascuno.

«Possiamo darci del tu, forse sarebbe preferibile» Charles si dispose a capotavola, scuotendo la testa «Manca solo Julia, abbiate un attimo di pazienza». Il dito indice e medio uniti e piegati verso la fronte, richiamò all'ordine l'unica degli invitati che non si fosse ancora mostrata. Sempre se lei gli avesse permesso di entrare nella sua mente.

Julia Green, soprannominata Fenice, accontentò il suo mentore e amico, mostrandosi due minuti dopo.

«Eccomi, Charles». Una mutante bruna, dai lunghi capelli scuri e leggermente mossi, si presentò in sala, rivolgendosi esclusivamente al professore e non degnando di uno sguardo nessuno dei presenti, di cui lui fece i nomi per l'ennesima introduzione formale.

La giovane si diresse verso il buffet, preparandosi velocemente una tisana, con gesti precisi dovuti all'abitudinarietà. Versò l'acqua calda del thermos in una tazza di porcellana bianca dalla graziosa decorazione floreale. Conferiva una gioiosa nota primaverile al momento di relax legato alla somministrazione dell'infuso; scelse una bustina incartata di verde da una scatola di legno, divisa in sei scomparti, corrispondenti a tipi diversi di te' e tisane, che fungeva da espositore, con studiata ed esasperante lentezza.

L'unica sedia rimasta libera era quella accanto a Barton, dove prese posto, posando la tazza sul tavolo e inserendo la bustina nell'acqua calda.

Clint ne lesse il contenuto: melissa e camomilla, un genere di tisana calmante e ottima per la digestione. Forse era un tipo nervoso, ipotizzò, cercandone gli occhi verdi per darle una battuta sarcastica. Già era teso per l'incontro e non vedeva l'ora di arrivare al punto nodale del colloquio, ci mancava solo un ulteriore ritardo a iniziare causato da una persona dall'aria pretenziosa che sprecava il loro tempo. «Nemmeno una scusa per essere arrivata tardi?» che gran maleducata strafottente, pensò. Molto carina, ma villana. L'avrebbe rimessa al proprio posto, diamine, mutante o meno, viso d'angelo o meno.

«Non ho bisogno di scusarmi. Stavo lavorando, insegno» Julia lo rimbeccò, senza giustificarsi. Era un dato di fatto: gli Avengers si erano proposti per un appuntamento durante le ore di lezione, ed era un rendez-vous a cui lei non desiderava partecipare. Lo aveva chiarito a Charles più di una volta, ma lui non aveva voluto sentire ragioni, pregandola di essere presente.

«Davvero? Ginnastica?».

«Letteratura» fu laconica, non desiderando fornire ulteriori spiegazioni a un estraneo. Il cui atteggiamento del corpo denotava chiusura: il giubbotto di pelle ancora addosso, le braccia conserte al petto, il piglio burbero e le punte delle sneakers che molleggiavano le gambe sotto il tavolo erano elementi respingenti. Con la coda dell'occhio, Julia osservò il minuscolo apparecchio acustico infilato nell'orecchio sinistro dell'Avenger, una pallina color carne confondibile con la cute umana, indice che il suo proprietario aveva seri problemi di udito. Probabilmente era lo stesso motivo per cui fissava le labbra degli interlocutori in modo continuativo.

«La materia in cui andavo peggio e mi piaceva di meno» commentò Clint. Detestava la scuola e lo studio, e non aveva mai reso bene, complice l'indole ribelle di quando era ragazzo e forse l'incontro con professori non particolarmente motivati nell'insegnamento. La triste conclusione era stata l'abbandono del liceo al termine del quarto anno, in conseguenza della seconda bocciatura. Si era sentito già un veterano accanto alle reclute dei più giovani, e, di conseguenza, non aveva più avuto il coraggio di riscriversi per l'ennesima volta.

«Non avevo dubbi, c'era da aspettarselo» con una risata ironica, uscita dalle labbra carnose - su cui non era visibile neanche un filo di lucidalabbra come sul resto della pelle d'alabastro completamente struccata - Green lo prese in giro.

«Comunque non hai l'aspetto di un'insegnante, sembri una studentessa» squadrandola dall'alto in basso, il Falco si soffermò sullo scollo a barchetta del maglioncino verde oliva e sulle bretelline ricamata della canotta rosa che indossava sotto il pullover: audacemente senza reggiseno, a giudicare dalle tenere sporgenze dei boccioli attraverso la stoffa. I jeans di almeno due taglie più grandi della sua erano stretti in vita da una semplice cintura di cuoio marrone e tagliati al punto delle ginocchia, in maniera tanto ampia da mostrare più di qualche centimetro di pelle. Le scarpe da ginnastica Vans bianche e verdi su un paio di calzini, anch'essi rosa, con la stampa di fenicotteri neri, rendevano l'outfit particolarmente infantile.

«Chissà, magari è il motivo per cui i miei studenti mi amano tanto, perché mi vedono come loro. Nemmeno tu hai l'aspetto di un arciere, eppure lo sei, no? Dovrei dedurlo da cosa? Hai scordato l'arco e le frecce a casa?» ribatté, piccata. Quell'uomo, di razza inferiore, la stava innervosendo moltissimo. Era tanto che non le capitava, e cercò di calmarsi, bevendo la tisana a piccoli sorsi. Il solito dolore alla bocca dello stomaco, dovuto alla sua gastrite, le attanagliò le viscere in una sgradita morsa.

Clint si strofinò le mani una sull'altra, insistendo sui calli, prodotti dall'attrito della corda dell'arco sulla sua pelle in anni di allenamenti «Se lo dici tu che sai tutto, sarà così».

«Volete fare silenzio? Rimandate a dopo la conversazione!» Natasha, seduta di fronte, li rimproverò: parlavano a voce alta e lei non riusciva a seguire più le parole scambiate fra Fury e il professore. Aveva anche voluto interrompere il colloquio, perché il tono di voce del Falco era virato verso il picco di acidità di quando prendeva qualcuno in antipatia. E loro erano lì per familiarizzare, su suggerimento del Presidente degli Stati Uniti e su ordine del direttore, non per bisticciare con una mutante capricciosa.

«Concordo, non è il momento» Raven, una giovane dai capelli biondi, accomodata alla destra di Romanoff, l'appoggiò, ottenendo l'effetto sperato. Era una mutaforma col potere di alterare al solo pensiero la formazione delle sue cellule biologiche a volontà, per cambiare il suo vero aspetto, che non corrispondeva affatto a quello reso visibile agli Avengers. Era Mystica, di nome e di fatto.

Julia fece spallucce, e scoccò un'occhiata di complicità a Ororo, sua fedele amica del cuore, che la contraccambiò, giocherellando con la lunga collana metallica che indossava, una catena fashion con sfere sfaccettate grigie scure e un inquietante ciondolo a forma di teschio con due diamanti al posto degli occhi, completamento di un look legato a passioni musicali e modaiole miste fra rock e gotico.

«Si tratterebbe di unire le nostre forze, professore, per prepararci a combattere qualsiasi nemico. So che nel suo team ci sono mutanti con poteri incredibili, che possedete sofisticate apparecchiature e un jet, come noi. In fondo siamo molto simili» Nick sciorinò un elenco di parallelismi, ricordando i poteri del biondo dio norreno proveniente dal pianeta Asgard, che aveva garbatamente preso posto alla sua sinistra, la forza fisica dell'umanoide massiccio e muscoloso dalla pelle verde, il potenziamento di Steven Grant Rogers, Capitan America, iconico eroe nazionale.

«Senza dimenticare, me, modestia a parte» il geniale inventore miliardario, playboy e filantropo proprietario delle Stark Industries, dal pizzetto scuro curato e dagli occhi neri e vispi, preferì presentarsi da sé, interrompendo il suo capo, a cui, in teoria era venuto a far da spalla «Indosso l'armatura di Iron Man e non è poco. Anzi, io sono Iron Man». Non si dilungò in particolari: era l'uomo che aveva salvato l'isola di Manhattan e il mondo intero dall'invasione dei Chitauri.

La popolazione aliena e bellicosa era arrivata attraverso un portale spaziale generato dal Tesseract - cubo magico usato da Loki, fratello di Thor, per conquistare la Terra - che si era aperto in cielo. Iron Man aveva deviato il missile nucleare, indirizzato dal Governo per distruggere i nemici insieme alla popolazione residente, indirizzandolo verso il portale. Ma aveva fatto anche di più: lo aveva attraversato, colpendo la nave madre dei Chitauri e fortunatamente, spinto dall'onda d'urto della deflagrazione della bomba nucleare, era riuscito a tornare indenne indietro, venendo salvato da Hulk. Tutti i Chitauri sulla Terra erano morti in seguito all'esplosione della nave madre.

Cessata la minaccia, i componenti della squadra di Vendicatori messa su da Fury non avevano ripreso le rispettive strade, bensì avevano continuato ad allenarsi a New York, sotto la supervisione di quest'ultimo, pronti per la prossima minaccia all'umanità. E i loro volti, attraverso passaggi televisivi e in rete, erano diventati familiari e famosi per l'intera popolazione mondiale.

Erano amati, acclamati, stimati, nonostante le peculiari abilità, a differenza del preoccupante fenomeno dei mutanti, il cui numero era in crescita e il cui aspetto esteriore caratteristico spesso non risultava gradevole agli occhi. E, non ultimo, le cui gesta compiute in circostanze eccezionali di aiuto alla società, sollecitate dal governo, erano rimaste deliberatamente occultate.

«Ci avvaliamo, infine, della collaborazione degli agenti Barton e Romanoff, gli altri due componenti degli Avengers» Fury tenne a precisarlo, data l'importanza del loro operato.

«Non ci siamo, Stark: voi siete quattro un po' sopra la media, gli altri due sono umani e scarsi. Intendo l'affascinante ragno nero in calzamaglia attillata e l'arciere brontolone. Tendenzialmente siete voi ad aver bisogno di noi e non viceversa. E noi cinque siamo solo un assaggio di un esercito di mutanti dai poteri più svariati, la punta di un iceberg di un'armata senza fine» Erik Lehnsherr offese gli agenti in modo palese. La causa mutante, la loro supremazia sugli umani erano da sempre motivo di discussione con Charles e con chicchessia. Tirò su il collo alto del maglione di cachemire azzurro intenso, dell'identico colore dei suoi occhi, incantevoli come il suo nome di battaglia: Magneto.

Ororo, scuotendo i capelli candidi dal taglio sbarazzino, dette uno strategico quanto inefficace colpo di tosse, augurandosi che il compagno tacesse. Era Tempesta per tutti, visto il suo potere di controllare il clima e gli elementi; Erik, tuttavia, restava perennemente ingestibile.

«Erik, non ricominciamo... Scusate, dove eravamo rimasti?» Xavier cercò di schivare l'attacco verbale, senza riuscirci. L'amico bevve un sorso di tè dalla propria tazza, con indifferenza.

«Se pensi che non siamo all'altezza, andiamo via» Clint rimbeccò Lehnsherr, in una palese sfida.

«E' ovvio che non lo siate. Zero poteri, zero abilità. Sai cosa siamo in grado di fare noi?» Julia si allineò a Magneto, con una provocazione altrettanto manifesta.

«No, professoressa di letteratura con l'aria da diva; una cosa la so, però: non mi interessa rimanere dove non sono gradito e apprezzato» aveva esaminato la documentazione di Fury, in cui Julia Green era ritratta in una foto del periodo dell'adolescenza, con una lunga coda di cavallo legata da un elastico di morbido cotone rosa, evidentemente suo colore preferito. Era una telepate, leggeva la mente altrui. Barton si augurò non ci provasse con lui: sarebbe apparso alquanto maleducato ai suoi occhi, più di ciò che aveva espresso a parole dato l'astio che gli stava montando dentro.

Julia lo aveva già intuito, dal modo in cui Occhio di Falco non aveva smesso di guardarla da quando si erano incontrati e ne concretizzò la più grande paura: essere psicologicamente manipolato, com'era accaduto a causa della Gemma della Mente, incastonata nello scettro di Loki, da quest'ultimo utilizzata per controllare l'arciere e asservirlo ai propri malefici scopi in occasione del suo arrivo sulla Terra.

Fenice, presa dalla smania di dimostrare la sua ragione, si sfiorò la fronte con le dita nel momento stesso in cui Barton, compresolo, si alzò dalla seggiola per uscire dalla magione, costringendolo a indietreggiare.

Come fosse un bambolotto, Clint si piegò sulle gambe e fece una sgraziata e buffa capriola a terra, restando fermo in una posizione ridicola, alla stregua di una blatta a cui fosse stato spruzzato un potente insetticida.

«Siamo uguali, agente Barton?» la bruna lo aveva immobilizzato con la sola forza della mente e l'altrui espressione terrorizzata la infiammò. Non seppe mai il perché, sul momento, e se lo sarebbe chiesto innumerevoli volte negli anni a venire, ma il viso teso dell'arciere, gli occhi azzurri dalla sfumatura grigia, l'antipatia dichiaratale senza nemmeno prendersi la briga di conoscerla, la spinsero a un limite che evitava da sempre.

«No, Fenice, no» Charles lo gridò, non potendo fermare le intenzioni di un'allieva che lo aveva superato in abilità e che non poteva più controllare. Nessuno poteva controllarla!

Green si inginocchiò, perché lei e il Falco fossero più vicini fisicamente, e vagò, nella mente dell'uomo, cercando ogni più piccolo ricordo, sensazione, avvenimento, che potesse rappresentare un punto di vantaggio per schernirlo, per umiliarlo, esattamente come accadeva con un nemico. Andò avanti e indietro nel limbo di rammenti dell'arciere, inconsapevole dell'effetto che una simile e profonda lettura della mente avrebbe provocato in entrambi, nell'immediato futuro.

Una lieve scossa, simile a un evento tellurico di scarsa magnitudo, fece tremare le pareti della magione. I quadri oscillarono lateralmente, il lampadario posto sopra il tavolo dondolò, una sottile vibrazione delle porte e delle finestre si diffuse nell'atmosfera tesa dalla stanza.

Gli abitanti e studenti della scuola erano abituati a tali fenomeni: accadevano spesso, anche durante la notte, quando Julia dormiva, e nessuno di loro si allarmò o uscì dalla classe dove le lezioni continuarono regolarmente.

Con una smorfia dolorosa, Clint, un vistoso attacco di brividi, rivisse gli istanti nefasti della propria infanzia, costellati di abusi e di problemi familiari, la permanenza col fratello nel circo dove si era addestrato nel tiro con l'arco fino a eccellere, gli episodi malaugurati delle case famiglia presso cui aveva soggiornato, il carcere minorile, l'incidente in cui aveva perduto l'udito, le angherie di Loki. Tutto ciò che aveva tentato di chiudere dietro un bunker dell'anima e di non far riaffiorare a galla era emerso, come un tornado. Gli occhi umidi di rabbia, di rancore, di sofferenza, lì, steso su un tappeto persiano color rosso scuro, si posarono su quelli della sua aguzzina.

«Smettila, Julia, interrompi immediatamente, per l'amor di Dio» Xavier lo strillò ancora, a pieni polmoni, il respiro affannato dell'inquietudine di quanto accadeva, demoralizzato dal non essere in grado di intervenire su quello scempio.

Lehnsherr si era piazzato alle spalle della coppia, in attesa. Osservare Julia all'opera era sempre un'esperienza da ammirare, tuttavia stavolta l'amica sembrava particolarmente motivata e non poteva darle torto: l'agente Barton era un osso duro, e, umano e disabile per la sordità, rappresentava l'antitesi della perfezione della razza mutante, nonostante le lodi tessute a parole sul suo curriculum dal direttore Fury. Si trattava sempre di un tizio che tirava frecce con un arco, nulla più. Forse Charles e gli altri, a quella esibizione, avrebbero desistito a praticare qualsivoglia iniziativa di coesione con gli Avengers.

«Fate qualcosa, per favore, lo ucciderà» Natasha cercò un aiuto nei presenti, rimasti attoniti e in parte incuriositi da quanto accadeva.

«No, separarli a forza sarebbe peggio e nessuno fra noi è in grado di riuscirci» Hank suggerì di aspettare il decorso della lettura della mente. 

Perché il volto di Fenice era diventato assai pallido, e si era ritrovata allungata accanto al Falco con le mani sulle guance di quest'ultimo e gli occhi pieni di lacrime. Le ciglia sbattevano velocemente, un lieve tremore l'aveva colta... e un alone colorato e ondulato tridimensionalmente era comparso intorno alla sua testa e alle scapole, una forma cangiante giallo oro, sfumata sulle ali di rosso e blu, la sagoma dell'uccello leggendario presente in molti miti dei popoli antichi che, dopo la morte, risorgeva dalle proprie ceneri, la Fenice, al culmine della sublimazione degli immensi poteri posseduti, nella contingenza di un'interconnessione così intensa.

Analizzare la complessità delle mente di un altro essere vivente, mutante o umano, aveva un che di misterioso e inquietante; era una lettura anche dello spirito di quell'essere e, a priori, non era possibile conoscere cosa si sarebbe spiato.

E Julia Green, per rispetto e privacy, aveva imparato dal suo mentore Xavier a non abusare di un'abilità, il cui utilizzo alterava inevitabilmente i rapporti con gli altri e la percezione di loro, a suo favore. Era stato l'obiettivo delle prime lezioni di Charles e la piccola Julia si era attenuta alla regola formale e morale datale dal suo precettore. Le era capitato già di leggere la mente dei compagni, ma vi era stata autorizzata dagli interessati su esplicita e precedente domanda e con uno scopo ben preciso. Ed era sempre stata in grado di trattenersi.

Tranne in quella circostanza, in cui aveva avuto poco margine di spezzare la lettura dello spirito dell'Avenger. Più andava avanti e più voleva sapere, più era forte il dolore nel cuore del suo avversario e più voleva condividerlo anziché liberarsene, in una strana comunanza di avvenimenti in cui si era rivista, nonostante la presenza di innumerevoli differenze fra le loro esistenze. Un avvenimento, in particolar modo, in cui era incappata proprio all'inizio della lettura e che l'aveva spronata a continuare.

I piedi dei presenti, alzatisi per disporsi a semicerchio attorno a lei e all'arciere, le particelle di polvere in controluce ai raggi del sole che entravano dalle finestre, gli occhi spauriti di Clint furono le ultime cose che vide, prima di riuscire a sganciarsi dalla sua preda, con notevole sforzo.

Con fare convulso, nella calma tornata nella sala, sedette a terra e si sincerò delle condizioni dell'agente Barton «Stai bene?». Lo tirò a sé per i polsi, finché lui glielo permise.

Uscito dallo stato di torpore ipnotico, il Falco scattò, respingendola con il palmo della mano aperta e tutta la forza che possedeva. Non aveva mai alzato un dito su una donna in vita sua, ma esisteva una prima volta per ogni aspetto e quella davanti a lui non era esattamente una donna.

La mutante finì con la schiena contro la parte bassa della credenza, mortificata.

«Non siamo uguali, Fenice, concordo con la tua teoria. Sei un mostro, una strega! Che diavolo mi hai fatto, maledetta?» non volle dirlo, ma la consapevolezza che Julia Green conoscesse i particolari più intimi e tragici della sua vita privata, l'averla percepita navigare nei ricordi drammatici che si portava dietro, era sconvolgente al pari dei poteri dovuti alla mutazione che la splendida giovane aveva avuto in dono dalla natura.

Lei coprì gli occhi verdi con la mano destra, reggendosi la fronte, in un momento di disperazione assoluta e manifesta. Balzò in piedi, e svanì alla vista degli astanti con una corsa velocissima verso la porta, da cui si immise nel corridoio.

«Non ti ha nemmeno chiesto scusa! Come ti senti?» Natasha ripeté la domanda, mentre il dottor Hank McCoy aiutava Clint a risollevarsi dal pavimento, con una spiegazione sugli effetti collaterali della lettura della mente «Non è una pratica pericolosa dal punto di vista fisico per chi la riceve; a volte si rivela disastrosa, a livello psichico, perché fa riaffiorare ricordi dolorosi, dipende dal bagaglio di essi che ciascuno reca con sé. Potrebbe avere delle conseguenze per Julia, è un'attività molto stancante per lei. Agente Barton, non deve preoccuparsi. Comunque, se vuole, posso procedere a un controllo del suo stato di salute nel mio laboratorio». Mesto e intristito dalle frasi rivolte alla sua amica, cercò di comprendere anche lo stato d'animo dell'Avenger e di sostenere Charles, il cui volto tirato si contrapponeva al sorrisetto compiaciuto di Erik.

«Sto bene» il Falco lo tirò fuori dai denti, accettando il bicchiere d'acqua passatogli da Steve con premura «ma sono certo che mi scuserete, e capirete che non posso restare qui un minuto di più». Bevuta l'acqua in un unico sorso si volatilizzò, più rapido della mutante dai lunghi capelli scuri che lo aveva messo al tappeto come uno scarafaggio.

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