Prologo


Quello che Ryung aveva davanti agli occhi non era un incubo, uno di quelli che le graffiavano la mente ogni notte. Era vero, tutto vero.

Il collo di sua madre era stretto da una lunga seta bianca, appesa al tronco del grande salice che sorgeva nei giardini reali. La veste azzurra, accarezzata dal vento, si muoveva insieme alle maniche larghe che un tempo la donna aveva usato per allietare il padre con le danze delle sue terre. E danzavano ancora, le maniche, nonostante lei fosse morta. Il volto cinereo mostrava occhi chiusi, labbra prive del loro rossore, mentre i capelli neri scendevano lungo le guance che esibivano zigomi alti.

Così bella, anche nella morte.

Ryung soffocò un singhiozzo. Era ancora una bambina, non aveva neppure compiuto undici anni, ma già doveva dire addio ad una persona tanto cara. Suo padre, inginocchiato lì accanto, teneva una spada conficcata in grumi di erba umida, rugiada che si formava al primo mattino. I capelli ordinati in cima alla testa erano immobili, mentre alcune ciocche sfuggite all'acconciatura fremevano per uscire fuori, depositandosi sulla fronte sudata, su cui correvano strisce di sangue. Una freccia squarciava la veste da nobile, insozzata di pozze rosse, poco sopra la scapola.

«Hae!» gridò il nome di sua moglie, disperato, con il bel viso contratto da una smorfia. Le afferrò i piedi che calzavano scarpe di seta, illuminate dal sole freddo.

«Abeonim» mormorò Ryung, attaccandosi al suo braccio. Aveva paura, come ogni notte, quando gli incubi ricorrenti non le permettevano di dormire. Qualcosa le diceva che sua madre era morta a causa sua, solo perché lei era viva. «Dobbiamo andare, o ci uccideranno.»

«Tua figlia ha ragione, Chin. Se rimarremo ancora qui, ci prenderanno e ci attenderà un destino peggiore.»

La voce serafica del generale Lan esplose come un fiore al suo primo sboccio. L'armatura era coperta di sangue, una lancia aveva provato a farsi strada tra il petto e la spalla, il metallo si era appena incurvato, ma la lama non aveva oltrepassato la pelle. Il nemico aveva ceduto prima la presa, sotto uno scroscio rosso.

Ryung lo temeva. Era un uomo di Liaohua, lontano dal suo regno, capace di severità e freddezza, che si intonava perfettamente alla barba corta che decorava il mento. Il generale, il cui volto era rimasto impassibile, obbligò il padre a tornare in piedi. Lo afferrò per le guance e le strinse con le dita, come fosse stato un ragazzino da rimproverare.

«Ora basta piangere, Chin!» gli urlò addosso, con una tale forza che Ryung si spaventò e finì per indietreggiare.

Le lacrime si riversarono fino al collo, inumidendo il bordo delle tre vesti che la ricoprivano. Non aveva mai visto suo padre in quel modo, totalmente perso e svuotato, tremante di rabbia e dolore. Il cadavere penzolante di sua madre si mosse insieme ai rami flessuosi del salice, indicando la via delle grandi porte ad est del palazzo. Lì i soldati del generale avevano appena aperto una breccia, la sola che li avrebbe condotti in salvo.

«Ryung!» La bambina si voltò. Seon le si parò davanti, con una piccola coda che dondolava dietro la nuca. L'abito giallo e verde si distendeva su un corpo leggermente rotondo. Le labbra grandi, sul viso deciso del bambino, fremevano. «Non puoi andare via, tu sei la mia fidanzata!»

Il ragazzino le prese le mani e le strinse con forza, insistendo: «Dirò a mio fratello di smetterla. Ha sbagliato, non avrebbe dovuto fare del male a tua madre, ma se gli parlerò vi lascerà andare!»

Era davvero possibile? In quella voce così candida, rassicurante, Ryung trovava sempre cortesia e gentilezza. Soprattutto, amore. Lo stesso che aveva visto negli occhi dei suoi genitori, ormai sfumato via.

«Lascia stare mia figlia!»

Chin si avvicinò e - come una tigre in difesa del suo cucciolo - spintonò Seon a terra. Il ragazzino cadde tra gli steli di erba, con il sole che si infranse sulla fronte sudata. «Tuo fratello è un malanno! Guarda cosa ci ha fatto!» indicò la moglie che pendeva ancora dal ramo più grande del salice. «Lei non ti ha forse cresciuto come un figlio, Seon? Non ha voluto bene al re? E per cosa, per essere strangolata con un pezzo di stoffa?» Gli occhi di Chin divennero fuoco, e subito cenere. «La nostra stessa famiglia ci ha tradito, se rimarremo qui, quel folle ucciderà non solo me, ma anche Ryung!»

Seon premette le ginocchia a terra e unì i palmi in segno di preghiera. «Zio, ti prego, devi credermi! Io posso difenderla!»

Chin scoppiò a ridere. Gettò indietro la testa, mentre le labbra si tingevano di odio. Le lacrime sgorgarono di nuovo sulle guance, invadendole come un fiume che sovrasta le proprie sponde. La disperazione era così grande. «Sei solo un ragazzino, non riusciresti a difendere nemmeno te stesso» si chinò, afferrandolo per il bavero del jeogori. «Un giorno la follia di tuo fratello si abbatterà anche su di te. Ha tradito tutti noi, ha tradito suo zio, il suo più valente alleato, ma presto o tardi capiterà anche a te.»

Ryung strinse le gonne di fronte a quella scena, mentre il generale Lan si poneva davanti a lei, come a volerla proteggere. Le afferrò la mano destra, dove un calore innaturale pulsava fino a darle fastidio. Chi aveva ragione in tutta quella storia? Non lo capiva. Sapeva solo che non avrebbe più potuto abbracciare sua madre.

«Zio, mio fratello temeva solo che lo avresti tradito quando ti sei alleato con... con quell'uomo!» disse Seon, indicando il generale. Vi era coraggio nella sua piccola voce, ancora delicata, ma intensa.

«Il generale Lan desiderava servire Daeju, non andare contro il nostro regno» sputò Chin, con disprezzo, mentre si sollevava in piedi. «La mia parola ha valore, Seon, a dispetto di quella di tuo fratello. E ti prometto che un giorno la mia parola si abbatterà su di voi. Questo palazzo, e questo giardino, bruceranno davanti ai miei occhi.»

Ryung soffocò un nuovo singhiozzo. Una tale profezia non era immensamente crudele? Non poté ribattere, perché il padre la afferrò per una mano e la strattonò al suo fianco. Guardò Seon una sola volta, una e non di più. Il bambino con cui era cresciuta, a cui era stata legata da un fidanzamento, sarebbe diventato solo un ricordo doloroso. Gli voltò le spalle, come fece alla madre. Non vi era il tempo di recuperare il suo corpo, di portarla con loro. Sarebbe rimasta lì, appesa a quel ramo, insieme ai rami del salice, memore di un dolore devastante, inutile, che aveva soltanto lacerato i cuori.

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Abeonim: padre
Jeogori: parte superiore dell'abito tradizionale coreano


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