Capitolo 3
Ali di fiamme.
Fuoco che divampa nel palazzo.
Seta, dono celeste, che si attorciglia ad ogni colonna, e brucia.
La fenice che solca le nuvole cade nei giardini, il sangue dorato insozza ogni albero.
Il suono lontano di un'ocarina che spezza le nubi e smuove la terra.
Ryung si svegliò di soprassalto, con il fiato corto. Posò una mano sul petto, per frenare i respiri agitati. Tutto inutile, il sudore era già sceso sulla fronte e i tremori non la abbandonavano. Ancora lo stesso identico sogno che aveva da bambina. Ogni notte si ripresentava allo stesso modo, con lo stesso affanno, e non riusciva ad allontanarlo.
Gli incensieri che sbuffavano fumi calmanti non le davano nessun conforto, nemmeno le tisane e gli infusi che Hexin le portava ogni settimana. Non era il suo corpo, ma la sua mente a creare quel contrasto dentro di sé. O forse qualcosa che neppure dipendeva da lei, qualcosa di esterno, che bruciava fino a farle male, impedendole di dormire.
Corse a sfiorare la piccola ocarina che teneva nascosta sotto al cuscino, il solo oggetto che era riuscita a trafugare dal palazzo reale, appartenente a sua madre. Tenerlo fra le mani le permetteva di recuperare ogni respiro.
Poi, il buio.
Perché la stanza era buia?
Ryung si guardò attorno, ma non si vedeva niente. Quella notte la luna era stata oscurata dalle nubi e la luce non filtrava fra le finestre fasciate dalla carta di gelso. Le lucerne dovevano essersi consumate e le lanterne, al di fuori, spente a causa del forte vento.
«Xiăojiě?»
Qu, che dormiva nella stanza accanto come da lei richiesto, aprì di scatto le porte interne e corse fino al letto in uno svolazzare di veli bianchi.
«Perché è tutto così scuro? Vedo solo ombre!» si infastidì Ryung, con l'ocarina sempre più stretta fra le dita.
E queste ombre, come ogni volta, si infilavano tra le pareti formando animali mostruosi.
La piccola dama si prodigò subito ad accendere una lucerna e ad avvicinarla alla padrona. Si sedette sul bordo del letto rialzato e le strinse una mano.
«Avete avuto un altro incubo?»
Ryung annuì, socchiudendo le palpebre. Si sentiva così sciocca ad avere simili infantili paure. Era cresciuta per uccidere un re, ma non riusciva a chiudere gli occhi di notte. Si rannicchiò per scacciare via il freddo, mentre la fioca lucerna illuminava a stento il volto della ragazzina.
«Se è il buio a spaventarvi, perché non provate a dormire quando sorge il sole?»
«Perché non riuscirei a guardare il buio troppo a lungo.»
Qu sospirò, scuotendo la testa. «Deve esser stato anche quel giovane inconcludente che poco fa vi ha dato tanto disturbo.»
Ryung stritolò la seta che le copriva ancora le gambe e lanciò uno sguardo verso le finestre. Aveva riconosciuto subito gli occhi di Seon, così profondi e intensi, passionali. Tutto, fuorché quelli, era cambiato in lui. Così alto, slanciato, il viso maturo e le mani capaci di esprimere ancora la loro dolcezza. Per un attimo, Ryung si era persa in quei lineamenti. Il cuore era esploso in un moto di felicità implacabile, ma aveva dovuto ridimensionarlo, chiedergli di farsi da parte. Non importava cosa avesse spinto Seon a tornare, lei aveva una missione e questa comprendeva ferire i suoi sentimenti.
«Gli farò capire, con le buone o con le cattive, che deve lasciarmi in pace.»
Tuttavia, nel pronunciare quelle parole ebbe un fremito. In realtà, per un attimo, aveva sperato di ritrovarsi nella notte seguente e aspettare di vederlo scavalcare i tetti della sua dimora.
«Avreste potuto benissimo dissanguarlo con un colpo solo, xiăojiě, ma non lo avete fatto. Lo conoscete?»
Qu chinò appena il volto, sollevando la lucerna per poterla guardare meglio.
Ryung sbatté lentamente le palpebre e annuì. «Fa parte del mio passato, ma è un passato che devo distruggere.»
La ragazzina sorrise. «Vi piace molto parlare in questo modo brusco... mi chiedo solo se ne sarete capace.»
Era ancora debole, dunque. Ryung si inumidì le labbra e scese giù dal letto, camminando a piedi nudi verso le porte che si gettavano verso la veranda. Le aprì di scatto, e la luna in quel momento squarciò le nubi, mentre il vento invadeva la stanza con uno schiocco che fece sollevare le vesti.
«Devo farlo, Qu, se voglio davvero aiutare mio padre. Non posso permettere ad un mio nemico di premere così facilmente sui punti più fragili che possiedo.»
Sfilò dalla manica lo spillone di legno che non aveva gettato via. Seon le aveva sempre fatto così tanti doni, quando erano bambini. Non vi era giorno che non le dimostrasse il proprio affetto, ma lei aveva conservato soltanto quello. Uno spillone intagliato dalle sue stesse mani, che indicava il loro legame.
Sollevò il braccio per scagliarlo via, ma qualcosa la fermò. La mano stava tremando. In fondo, era solo un oggetto, perché dargli tanta importanza? Lo ripose nella manica e socchiuse gli occhi.
«Ginseng, dalle tue terre.»
Hexin fece dondolare davanti al viso di Ryung alcune radici di ginseng. Non era raro che andasse a farle visita con qualche scusa, soprattutto quando riusciva ad acquistare merce proveniente da Daeju.
Ryung sorrise dolcemente, mentre se ne stava in piedi sotto la veranda con le mani giunte. «Qu, prepara una tisana per entrambi, lo proveremo subito.»
La piccola dama, dietro di lei, fece un passo avanti e strappò malamente le radici dalle mani del ragazzo, che le lanciò uno sguardo confuso. Qu ridacchiò e corse via, lasciandoli soli.
«Vi prodigate sempre per me, gōngzǐ, finirete per viziarmi e questo non va bene.»
Ryung si era abituata, ormai, a rimproverarlo. Sentiva che in quel modo tra loro sarebbe rimasta una distanza. Hexin, però, non si arrendeva mai. Si accomodarono insieme davanti al tavolo del go, dove le pedine bianche e nere erano disposte ai lati della scacchiera.
«Non dovrei forse rendere felice la mia futura sposa? Inoltre, so che hai un legame molto forte con Wei Su, la cui famiglia ha una ampissima rete commerciale con Daeju. Chiedere loro qualche favore, di tanto in tanto, non mi costa niente.»
Il sorriso affabile la fece sospirare. Non le piaceva prendere in giro i sentimenti di Hexin. Solo pochi giorni prima si era ripromessa di provare, almeno, ad amarlo, ma da quando Seon era piombato da lei la notte precedente i suoi propositi erano sfumati. Ora provava quasi fastidio di fronte a quelle attenzioni. Come potevano essere tanto effimere le sue decisioni?
«Su ha buon gusto, ed è molto capace, avrà scelto il miglior ginseng a disposizione.»
Non appena Qu tornò con un vassoio stretto tra le mani lo depositò sul tavolo, versando le tisane nelle rispettive tazze di giada, passandole ad entrambi. Hexin fissò un istante di più la piccola dama, quando il vento le spostò una ciocca sulla fronte. Con un gesto spontaneo gliela nascose dietro l'orecchio.
Ryung strinse le mani attorno alla tazza bollente, mentre Qu arrossiva e si inchinava per poi inginocchiarsi subito dietro di lei. Di solito Hexin era sempre molto attento al suo modo di comportarsi, ma Ryung preferì non badarvi troppo. In fondo, Su le aveva detto che al Lago del Cielo teneva un comportamento perfetto, per nulla spregevole. Cosa aveva da temere?
«Hai preparato un dono per mia madre?»
A quella domanda Ryung tornò in sé, non avrebbe potuto dimenticarlo. «Certamente» gli sorrise, mentre Qu correva a recuperare un lungo foglio di gelso che le depose tra le mani. «Sala della Serenità e della Concordia» lesse ad alta voce ciò che aveva scritto sulla lunga striscia bianca. «Ricordo che in questo modo è nominata la sua dimora. Ho aggiunto una fragranza di zenzero, affinché emergano le sue proprietà benefiche.»
Hexin sgranò gli occhi, posò la tazza sul tavolino e sollevò la carta. Ad ogni angolo erano dipinte le piante che nella terra di Daeju auspicavano alla buona salute.
«Questa è una delle tue migliori creazioni, Ah-Ryung. Sono certo che sarà apprezzata.»
Nonostante ciò, lei non lo credeva del tutto possibile. La madre di Hexin era una donna difficile, e come ogni suocera le avrebbe dato problemi. Sperava solo che non fossero troppi.
«Verrò nel pomeriggio a portarle il dono.»
Nonostante Ryung si fosse ormai abituata a dormire molto poco durante la notte, il sonno la contrastava nei momenti peggiori, come quando doveva recarsi a far visita alla famiglia del promesso sposo. Non faceva che sbadigliare, mentre scostava la tenda del palanchino per guardare al di fuori di esso, ad ogni strada nuova che prendevano i servitori.
«Sembra che tu stia cercando qualcosa, o qualcuno.»
La voce del padre, improvvisamente imperiosa, la destò dai suoi pensieri.
Chin le era seduto davanti, con le mani ammorbidite sulle cosce fasciate da una lunga veste bianca e azzurra. Il naso dritto e leggermente appuntito evocava una bellezza ancora giovane, soprattutto per la mancanza di barba che gli uomini della sua età esibivano, a dimostrazione della loro maturità.
«Fatta eccezione per la famiglia Wei e Lan non ho altre conoscenze a Shilan, abeonim. Come mi hai sempre raccomandato, sono stata estremamente riservata» gli sorrise, posando una mano sulla sua. «Sono solo agitata.»
Il padre ridacchiò, scuotendo mollemente la testa e le accarezzò la punta delle dita. «La tua futura suocera ti causa problemi?»
Ryung si morse le labbra, provando il desiderio di metterlo a conoscenza dei suoi sentimenti, come di rado faceva. «Quando farò parte dei Lan, abeonim, non potrò tornare spesso a farvi visita. Non sta bene che una donna sposata lo faccia, e potremo vederci sempre meno. Questo mi preoccupa molto.»
Chin schiuse le labbra lasciando andare un sospiro, poi abbandonò la presa sulle sue mani. «Non dovresti, so cavarmela da solo. In tutti questi anni hai imparato ad amministrare la nostra dimora e saprai fare un ottimo lavoro in quella in cui ti trasferirai. Ora devi pensare alla vendetta, al futuro, non al passato.»
Che sciocca era stata, eppure sapeva a memoria le risposte di suo padre. Era così annebbiato dal desiderio di uccidere il re e prendersi il palazzo reale di Daeju, che non voleva piegare la testa, né si accorgeva di ciò che aveva attorno. Come la tristezza di Ryung: non era abbastanza importante quanto la loro ascesa.
«Troverò una scusa per farti mandare a casa, se ce ne sarà bisogno» la rincuorò Chin, accarezzandole la guancia.
Ryung si sforzò di sorridere e annuì, senza rispondere, poiché il palanchino si fermò improvvisamente davanti alla grande casa del generale Lan. Alcuni servi si prodigarono subito a farli scendere. Qu la raggiunse, aiutandola ad entrare dalle grandi porte rimaste aperte per il loro arrivo. Mentre suo padre fu scortato nella stanza privata del generale, lei dovette seguire alcune dame della dimora che la portarono fino ad una grande sala che si affacciava su un giardino pieno di fiori colorati.
«Qu, hai portato il dono?» le sussurrò, una volta raggiunta la soglia.
La ragazza annuì. «Ho preparato tutto, xiăojiě. Sarà un successo.»
Ryung lo sperò fermamente. Non appena varcarono le nuove porte, si ritrovò in una camera in penombra. A causa dell'ampia veranda, il sole filtrava poco al suo interno, e le lucerne erano già state accese, insieme ai candelabri disseminati lungo tutto il perimetro. Diverse sedie di legno formavano un corridoio che conduceva al piccolo scranno centrale, dove se ne stava comoda la futura suocera, che comandava sul quartiere femminile.
«Fūren» disse Ryung, inchinandosi, con il gentile aiuto di Qu che le sorresse il braccio destro.
La donna sospirò con pesantezza, i pendagli dorati tintinnarono allo spostarsi del capo. Il naso labiale acuiva lineamenti duri, che affondavano nella pelle, nonostante non avesse ancora traccia di capelli ingrigiti. Le altre donne presenti, accomodate ognuna sulla propria sedia, presero a borbottare, fissando la veste che Ryung aveva indossato. Ne aveva scelta una leggera, dalle maniche molto larghe, in memoria della madre.
«Mio figlio sposerà una danzatrice, forse?» la rimbeccò subito la padrona della dimora, inarcando un sopracciglio.
«Quando entrerà a far parte della nostra famiglia, fūren, potrete istruirla a dovere, soprattutto nel vestiario» commentò con un risolino una delle concubine, mentre si sventolava il viso con un ventaglio.
Tutte sembravano pronte ad assaporare i piaceri di uno spettacolo, mentre lei avrebbe subito solo il loro scherno.
«Se vi ho mancato di rispetto, fūren, vi domando scusa. Non credevo che questa veste fosse poco consona» disse Ryung. La presa di Qu sul suo braccio si fece evidente. Le aveva detto di non usare la sua lingua lunga in quella occasione, prima di arrivare lì e sperò davvero che non provasse a difenderla. «Se preferite, posso cambiarmi.»
«E attendere ancora a lungo?» gracchiò la suocera, con una smorfia. «Ormai il danno è fatto, ragazza, e non si può cancellare dalla memoria.»
Ryung si guardò attorno, ogni sedia era stata occupata, dunque sarebbe dovuta rimanere in piedi. E chissà per quanto.
«La mia padrona vi ha portato un dono, furen, sperando che sia di buon auspicio per l'unione delle famiglie.»
Qu corse a salvarla, tirando fuori dalla manica della veste una scatola piatta, incisa con bordature dorate. Si avvicinò, tenendo la testa bassa, e la lasciò alla dama personale della suocera, che la consegnò subito alla destinataria.
La donna, sprezzante, non osò nemmeno toccarla e fece segno ad una delle concubine di occuparsene. Quella che aveva riso di Ryung si sollevò e piegò le gambe in un inchino, per poi aprire subito la scatola. Quando il foglio di carta fuoriuscì, a Ryung si mozzò il fiato, e anche a Qu. La ragazza doveva aver scambiato il dono con altro. Quell'opera di calligrafia non era la stessa che Ryung aveva preparato per la suocera.
Giustizia e Costanza.
Così vi era dipinto sopra, insieme ad alcuni uccellini che si abbeveravano da pozze di acqua. Ryung si accorse di come Qu fosse sbiancata. Eppure, le aveva chiesto di fare attenzione.
La concubina sgranò gli occhi e voltò subito il foglio verso la matrona. «Furen, questo è un affronto!»
La suocera strinse le mani ai bordi della sedia, guardò gli ideogrammi solo per qualche istante. «Giustizia e Costanza. Vuoi forse sottintendere che non amministro la mia dimora in tal modo, che ci siano delle ingiustizie?»
«Fūren, posso spiegarvi!» Qu provò a gettarsi ai suoi piedi, ma Ryung la bloccò, tirandola lentamente dietro di sé. Se avesse detto di aver commesso un errore, sarebbe stata punita, e magari non le avrebbero permesso di entrare nella dimora. Non voleva perdere Qu, soprattutto in quel covo di serpi.
«Non ci sono buone spiegazioni» mormorò la concubina, che abbandonò il pezzo di carta a terra, passandoci sopra con un piede. «Il tuo pensiero è chiaro come la luce del sole. Così giovane, e già credi di poter venire qui a dettare legge sull'amministrazione della casa!»
«Fūren, dovreste punire una tale avventatezza!» esclamarono le altre donne, colme di indignazione.
Ryung strinse i pugni. Non poteva far altro che mostrarsi dispiaciuta.
«Tutto si basa sul tipo di interpretazione che si dà alle cose» osò dire, infine. Non voleva fare credere che fosse tanto facile schiacciarla, perché le intenzioni di quelle donne era stata tale sin dal principio. «Non è un augurio, il mio, ma una constatazione. La futura suocera è giusta con tutte ed è costante nei suoi doveri. Non è forse un dato di fatto? Chi oserebbe dire il contrario?»
La concubina strinse il ventaglio, ma non parlò. La suocera si limitò a sorridere furbescamente. «Non si può dire che tu non sappia come rialzarti dai tuoi errori. Ad ogni modo, dovresti fare ammenda. Una giornata intera nella sala degli antenati ti farà bene.»
«Fūren!» Qu provò a fermarla di nuovo quando si alzò per uscire, ma Ryung la chiamò.
«Qu, basta così.»
Avrebbe sopportato quella punizione a testa alta, senza bisogno di chiedere clemenza. Le concubine le scoccarono occhiate divertite, anche loro dovevano aver subito la stessa sorte, ma adesso era lei quella più debole.
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Fūren: signora
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