EPILOGO

L'uomo che mi guardava da dentro lo specchio non mi era familiare.

Intanto sembrava molto più vecchio, rispetto all'immagine che ricordavo di me. Poi era decisamente troppo elegante, con il completo nero, i polsini e la cravatta gialli, e il distintivo di sindaco.

Erano passati ormai quattro mesi dalla battaglia conclusiva.

Le Api avevano ubbidito alla regina e si erano ritirate.
I Governatori nominati da Winthrop erano stati deposti, le città liberate. L'Alveare si era scusato per quanto era successo, e si era fatto carico di buona parte sia della spesa che della manodopera necessarie a rimettere le cose a posto.
I responsabili della congiura erano stati arrestati e sottoposti a processo.

Alveare e Formicaio avevano stretto un accordo di collaborazione, per riconvertire i propri impianti e cominciare a produrre elettricità in modo sostenibile. L'orizzonte temporale era piuttosto lontano ma, su suggerimento della mia fidanzata, era stata inclusa una clausola secondo la quale le due tribù avrebbero condiviso le informazioni sulle piante da cui attingevano, per evitare che dallo stesso esemplare venissero estratti sia il nettare che la linfa.

La fotografia in cui l'amministratore delegato del Formicaio e la regina dell'Alveare si davano la mano era rimbalzata su ogni organo di informazione e, di fatto, era già entrata nella storia.

L'onda di rinnovamento iniziata con la costituzione dell'Esercito dei Popoli Liberi non si era esaurita, come molti avevano pronosticato. Sotto la spinta di Ashlie, ma anche di molti altri, avevamo fondato una nuova città, nel bel mezzo dell'Immensità: Insecta.

Un luogo dove tutte le etnie avrebbero potuto convivere, ma soprattutto dove chiunque avrebbe potuto decidere da solo quale via seguire, senza che nessuno glielo imponesse.

Il progetto aveva richiamato migliaia di giovani di ogni cultura, che collaboravano tra loro nella costruzione.

La città non sarebbe assomigliata a nessuna già costruita. Infatti, stavamo scavando le unità abitative direttamente negli steli d'erba, abbattendone il meno possibile. Per alcune costruzioni, purtroppo, quali il tempio e il municipio, non eravamo riusciti a evitarlo, ma ad ogni modo l'attenzione a queste tematiche era alta come non mai.

I Ragni erano stati felici di condividere con noi il segreto delle loro tele piezoelettriche, che avevamo teso tra un filo d'erba e l'altro; da quel momento, pareva che tutte le tribù avessero fatto a gara, pur di poter dire di aver partecipato a quel piano grandioso.

Sulle foglie più grandi avevamo installato i pannelli fotosintetizzanti delle Idrometre che, avvertite della soluzione del conflitto tramite gli Onischi, avevano fatto ritorno al loro vecchio villaggio.

Le Farfalle ci fornivano corde e cavi in seta di Bruco, che usavamo in mille maniere diverse. Avevamo preparato dei campi per i miceti, e già si parlava di cercare uno spazio per Afidi e Acari da carne, per puntare all'indipendenza alimentare oltre che energetica.

Avevamo deciso che la città sarebbe stata governata da un sindaco eletto dagli abitanti.

Le votazioni si erano svolte circa tre settimane prima, e il risultato era stato un vero e proprio plebiscito: oltre i tre quarti della popolazione aveva scritto il mio nome sulla scheda, nonostante io non mi fossi nemmeno candidato.

Di fronte a una tale attestazione di fiducia, avevo finito per accettare. Inutile dire che tutto ciò aveva contribuito a sollevare ulteriormente la mia autostima.

Quel giorno si sarebbe celebrato il mio matrimonio, e Ash aveva trasformato l'evento in un capolavoro di diplomazia: tutti i capi delle altre tribù erano stati invitati, e per la prima volta nella storia sarebbero stati presenti contemporaneamente.

Dire che ero teso era molto riduttivo: sarebbe bastata una mezza frase sbagliata, per trasformare quella circostanza straordinaria in un disastro.

La cerimonia avrebbe avuto luogo nel nostro neonato tempio del Polline, del quale al momento avevamo costruito solo l'altare e parte della scalinata. Per fortuna era previsto bel tempo.

In qualità di sindaco, avevo già eseguito una serie di nomine.

Ashlie e Takoda sarebbero stati i miei consiglieri principali, inoltre li avevo resi assessori rispettivamente per la cultura e le attività di integrazione e promozione dell'uguaglianza, e per i grandi progetti e le infrastrutture. Non riuscivo a immaginare delle persone più adatte per quei ruoli.

Avevo offerto a Lin-Yu il titolo di assessore per la pubblica sicurezza e la difesa, ma lei aveva preferito tornare ad occuparsi della propria città, e io ero stato lieto di affidare quel compito all'inossidabile Tossina. Dopo aver saputo dell'infatuazione di Gawayn nei suoi confronti, avevo insistito perché lo prendesse come assistente personale. Chissà come se la stavano passando. 

Il baffuto Felipe era stata la scelta più ovvia per i servizi di intelligence. Deluso dalla corruzione di Aracnia, egli aveva infatti deciso di trasferirsi a Insecta.

Anche Jacinta aveva seguito il suo esempio, insieme a sua figlia. Dopo essere stata informata della sua storia, la regina in persona aveva chiuso tutte le strutture gestite dalle Ancelle del Polline, sulle quali era stata aperta una inchiesta ufficiale. Da parte nostra, avevamo previsto la costruzione di luoghi adatti ad aiutare gli orfani, gli invalidi e gli indesiderabili in generale. Avevo proposto all'ex-prostituta di occuparsene, ma lei aveva preferito dedicarsi a fare la mamma.
Ashlie, tuttavia, era certa che avrebbe cambiato idea, e mi aveva pregato di concederle altro tempo.

Enola era tornata alla sua tribù, da sola. L'aereo che avevo visto esplodere era quello che condivideva con Niyol. Il meccanismo di espulsione del suo amato, purtroppo, si era inceppato, e solo lei era riuscita a mettersi in salvo. Era una persona distrutta, e non potevo fare a meno di sentirmi in colpa ogni volta che la vedevo. Pertanto, avevo provato un certo sollievo alla sua decisione di lasciarci, sentendomi in colpa anche per quello.

Molte figure dovevano ancora essere individuate.

Avevo chiesto anche al sergente O'Brian di unirsi a noi, ma lui si era rifiutato, sostenendo che all'Alveare c'era ancora molto da fare. Inoltre, aveva detto che "non poteva pensare di dover vedere la mia stupida faccia ogni giorno". Ma ormai non gli credevo più, e quando l'avevo rivisto, mi ero commosso e l'avevo abbracciato, ringraziandolo per tutto ciò che aveva fatto dietro le quinte.

Lui si era trincerato dietro i suoi occhialetti, dicendo che non sapeva di cosa stessi parlando.

Ashlie voleva fondare un'accademia del libero pensiero, che insegnasse ai giovani di ogni etnia la bellezza del nostro mondo, e li abituasse a guardarlo con occhi liberi dai pregiudizi; io le avevo chiesto di intitolarla a Hudson.

Mi mancava molto. Continuavo a ripetermi che se invece di lasciarlo su quel fiore, l'avessi portato con me, forse sarebbe stato ancora vivo. Un altro dei molti errori che non riuscivo a perdonarmi. 

Avevo fatto tutto il possibile per tenere fede anche alle promesse fatte a Elphitephoros, che aveva messo in gioco ogni cosa pur di appoggiarci, nonostante ogni statistica fosse a nostro svantaggio. Il mercante era diventato assessore al commercio e all'economia di Insecta, cosa che gli avrebbe permesso di favorire la sua industria, a patto che ciò non andasse a scapito della città.
Avevo dichiarato gli Immensi, la valuta da lui creata e ormai riconosciuta in tutto il continente, moneta ufficiale. Inoltre, avevamo sottoscritto un accordo in virtù del quale il municipio si impegnava a finanziare la sua città della scienza, purché lui ci riconoscesse un primato su tutte le nuove invenzioni.

Compreso che il suo desiderio di rientrare in patria era frenato non dai mezzi, ma dal prestigio con cui intendeva farlo, per facilitargli il compito lo insignii anche del titolo di "ambasciatore dell'Immensità presso Cetonia", col chiaro intento di stabilire proficui accordi commerciali con la fiorente comunità marittima.
Gli raccomandai di tornare a occuparsi anche degli altri suoi incarichi, ma non era necessario: la sfida di amministrare una intera città era per lui irresistibile.

Alf e gli altri Onischi avevano costruito un quartiere leggermente separato rispetto al resto, scavando le loro case nel terreno come erano soliti fare oltre la Foresta di Spine.

Mi avevano chiesto di poter erigere un santuario al dio Humus, la loro divinità guerriera, e io avevo accettato di buon grado, segnando un altro risultato storico: infatti era la prima volta che veniva venerata una religione diversa dal culto del Polline.
I guerrieri biondi erano gli unici a non essersi mescolati con gli altri, creando una sorta di ghetto, al centro del quale avevano predisposto una minuscola piazza.
Lì, stavano erigendo una statua in ricordo di Håvard, che gli aveva reso possibile vivere la vita ben oltre i limiti imposti dalla loro cultura di origine. Un team di scultori esperti era giunto da Spirotropoli, ma Alf non era mai soddisfatto, e continuava a chiedere modifiche ai bozzetti preparatori, aumentando le dimensioni della scure e cambiando la posa o l'espressione di quello che assomigliava sempre più al dio Humus in persona, piuttosto che al gigante che tutti avevamo conosciuto.

Erano Ragni, invece, i tecnici che stavano progettando un sistema di tubi e pompe per la fontana: infatti, dalle due estremità dell'ascia bipenne, avrebbe dovuto zampillare l'acqua.
Alf sosteneva che il getto avrebbe dovuto simboleggiare il sangue spillato ai nemici, ma io gli avevo consigliato di tenere per sé quella considerazione, per evitare che gli altri abitanti si spaventassaro troppo.

La presenza dei guerrieri d'oltrespine, in ogni caso, ci garantiva scambi commerciali e diplomatici anche con Città degli Onischi, e ci aveva permesso di consolidare la rete di contatti che il mercante cetoniano aveva già messo in moto nel corso degli anni.

Insomma, in pochi mesi, avevamo realizzato obiettivi che per centinaia di anni erano sembrati irraggiungibili.

***

Qualcuno bussò alla porta e, quando lo autorizzai a entrare, non mi stupii troppo nello scoprire che si trattava di Takoda. Anche lui era vestito in modo molto elegante, con un abito sui toni del blu, che poco aveva a che spartire con la sua chioma color carota, spettinata come sempre nonostante l'occasione formale.

«Allora, sommo leader, come va?» esordì.
Io sbuffai. «Non chiamarmi così.»
Ma come al solito, niente poteva scalfire il suo buonumore. «Sei pronto? Il parco intorno al tempio è gremito di gente.»

«Stai cercando di mettermi ansia?»

«No, figurati. Anche se...» si avvicinò, abbassando il tono. «Non ho mai visto una simile folla in tutta la mia vita!»
Rise, e io non potei evitare di farmi contagiare. «Solo perché non hai mai visto il pubblico che si radunava per assistere alle mie evoluzioni!» esclamai.

Quel siparietto mi fece tornare in mente le discussioni scherzose che avevo con Hudson e, senza volerlo, mi rabbuiai.

Lui se ne accorse. «Sei preoccupato?»
«Un po'.» ammisi. Non potevo fingere con lui, non dopo tutto quello che avevamo passato insieme. «Mi sento così inadeguato!»
«Per il tuo ruolo di sindaco, o per quello di sposo?»
«Entrambi.»
«Beh, per il primo, non saprei cosa consigliarti. Ma se hai bisogno di una mano per il secondo... chiamami, che ci penso io!»

Tentai di tirargli un pugno sul braccio, ma lui fu lesto a scansarsi. «Sbrigati, dài! Aspettiamo solo voi per cominciare!» concluse, lasciandomi solo e richiudendosi la porta alle spalle. Io ricominciai a dedicarmi alla mia immagine riflessa, cercando di trovare una soluzione che non mi scontentasse del tutto.

Takoda se ne era appena andato, che si sentì bussare di nuovo.

«Cosa ti sei scordato?» ridacchiai.

Ma non si trattava dello stesso visitatore.

«Non avrai pensato che sarei partita senza salutarti, vero?»
Mi voltai di scatto, nel riconoscere la voce. Capitan Velluto era splendida come al solito: il suo corpo da favola era fasciato in una tuta nera aderente, una sciarpa di seta bianca le pendeva mollemente ai lati del collo, i lunghi capelli castano chiaro sembravano mescolarsi ad essa.
E la bocca era atteggiata nel solito sorriso ironico e ammaliante.

«Cosa... che ci fai qui?» chiesi, vagamente a disagio.
«Te l'ho detto. Sono venuta a salutarti.» Mi si avvicinò, silenziosa e sinuosa come un predatore.
Senza volerlo, indietreggiai, fino a trovarmi letteralmente con le spalle al muro.
«E a riscuotere la mia ricompensa.» concluse.

Sgranai gli occhi. Cosa le era venuto in mente? Avevo fatto diversi tentativi di premiare i pirati per il loro contributo ma, purtroppo, nessuna delle mie offerte era stata presa in considerazione.

Avevo proposto diversi incarichi a Capitan Velluto e ai suoi più stretti collaboratori, avevo cercato di convincerli a cambiare vita, a ricominciare ad Insecta. Ma non ci ero riuscito.

«Non si può addomesticare una Scolopendra. Non si può mettere il guinzaglio a un animale selvaggio.» aveva detto il loro comandante e, forse, non aveva tutti i torti.

I pirati avevano pagato un prezzo molto alto: la battaglia aerea li aveva decimati.
Tra loro, aveva cominciato a serpeggiare l'idea che tutto fosse stato nient'altro che un'abile messinscena delle Api, per sconfiggerli una volta per tutte.
Non mi incolpavano di nulla: l'impressione che avevo fatto su di loro era tale, che nessuno se l'era sentita di mettere in dubbio la mia buonafede. Di conseguenza, si erano convinti che io fossi stato solo un manichino, un fantoccio mosso dai pezzi grossi dell'Alveare. Questo non mi faceva onore, ma niente di quello che avevo detto era riuscito a scalfire questa convinzione.
Anzi, le Vespe mi acclamavano come eroe, pensando che fossero state la mia integrità e la mia determinazione a vanificare il piano della regina per sterminarli.

Sta di fatto che i corsari non erano disposti a vivere in pace sotto lo stesso cielo delle Api.
Infine, avevano deciso di abbandonare Favo e di spostarsi verso Sud, in cerca di nuovi adepti. Avevano rifiutato perfino la mia proposta di una fornitura gratis di Zanzare, sostenendo che i loro veicoli, provenienti da una misteriosa località esotica, fossero migliori di ogni altro.
Quel viaggio sarebbe servito anche a procurarsene altri.

Provavo sensazioni contrastanti nei confronti di quei briganti, ma avevo imparato ad apprezzarli più di quanto avrei mai creduto possibile, e mi sentivo triste all'idea di vederli andare via.

Anche se, ovviamente, ciò avrebbe dato un ulteriore sviluppo al commercio, con la neonata Insecta avviata a diventare il principale crocevia dell'Immensità.

Aprii la bocca per rispondere in modo diplomatico che saremmo stati lieti di considerare qualsiasi sua richiesta ma, come spesso succedeva, lei mi colse alla sprovvista.

Mi inchiodò letteralmente alla parete e mi baciò sulle labbra.

Fu come se qualcuno avesse scollegato ciò che mette in comunicazione il cervello con il corpo, e per un attimo fui una creatura di puro istinto, preda di una malìa che mi aveva ottenebrato la mente.
I nostri corpi si avvinghiarono, assecondando il reciproco desiderio a lungo sopito: mentre col palmo della mano sinistra mi teneva spinto contro il muro, mi afferrò dietro la nuca con la destra, stringendo in modo possessivo; dal canto mio, le passai entrambe le braccia dietro la schiena e ricambiai il suo bacio con passione, lasciando che le nostre lingue si intrecciassero e i nostri respiri si fondessero in uno.

Chiusi gli occhi... e per un attimo il viso di Ash balenò davanti a me, come una visione.

L'effetto fu lo stesso di quando ci si sveglia di soprassalto da un sogno: mi resi improvvisamente conto di cosa stavo facendo e la respinsi, spintonandola con decisione, al punto che lei quasi perse l'equilibrio.

Ridacchiò, assumendo un'espressione innocente che mal si adattava a quel che era appena successo.

«Ma sei impazzita?» la redarguii. «Proprio il giorno del mio matrimonio, per di più!»
Lei mi fece l'occhiolino. «Tesoro, io sono un pirata: mi prendo quel che voglio, quando mi pare.»
«Però, io... cioè, tu...» balbettai, confuso.
«Almeno un assaggino me lo dovevi, prima di lasciarti mettere il guinzaglio.» mi canzonò lei, affatto pentita.
Feci per controbattere, ma non riuscii a dire nulla. Approfittando del silenzio, Capitan Velluto riguadagnò l'uscita. «Partiremo oggi stesso per il Sud: non c'è più posto per noi, qui.»
«Mi spiace sentirtelo dire.»
«Posso immaginarlo.»

«Stupida!» sbottai, offeso.

«Su, ora non fingere che ti sia dispiaciuto.»

Sbuffai. Non riuscivo mai ad avere l'ultima parola, con lei.

«Tieni!» esclamò la donna, gettandomi qualcosa che afferrai al volo. Lo riconobbi all'istante: era quel dispositivo simile a una bussola con cui già una volta l'avevo chiamata. La fissai con aria interrogativa.

«Tu non sei tipo da poter restare a terra.» spiegò. «Famiglia, politica... non sono cose che fanno per te. Ma devi capirlo da solo, con i tuoi tempi.»
«Non è vero!»

«Tu sei come il vento. Come me! Tra poco, questa vita ti sembrerà intollerabile, e ti verrà il desiderio di essere libero, di decidere da solo del tuo destino, di vivere di nuovo quel brivido che si può provare solo in volo.»

Avrei voluto dirle che si sbagliava, che non era così. Avrei voluto sbatterle in faccia la certezza delle scelte che avevo intrapreso. Invece non riuscii a far altro che fissarla come un ebete.

«Addio, Duncan l'Ape. Anzi, arrivederci.» senza ulteriori indugi, sparì, lasciandosi alle spalle l'uscio spalancato, una scia del suo profumo, e un inarrestabile batticuore.

***

Comportarsi come se nulla fosse successo sarebbe stato difficile.

Il senso di colpa mi rodeva, nonostante continuassi a ripetermi che si era trattato solo di un bacio, e che ero riuscito a fermarmi in tempo. Ma, proprio all'ultimo momento, ero preda dei dubbi: il fatto che all'inizio non fossi riuscito a resistere, significava qualcosa? Desiderio e sentimento potevano essere davvero così lontani, o non erano altro che due facce della stessa medaglia?

Ashlie si meritava di meglio. Lei che era sempre così pura, così onesta.
Si meritava di conoscere la verità!

O forse era meglio evitare? E poi Velluto sarebbe sparita, forse per sempre. Giusto?

Diedi un pugno al muro.

"Se rimango in questa camera ancora un minuto, dò di matto." pensai.

In ogni caso, c'era davvero troppo in gioco, per rischiare di compromettere tutto.

La nostra unione aveva un grande significato simbolico: non solo era il matrimonio di una coppia mista, ma per la prima volta un'Ape e una Formica, nemici giurati da secoli, proclamavano orgogliosamente e in pubblico il reciproco amore e la volontà di trascorrere il resto della vita insieme.

Quale che fosse il motivo, non potevo rischiare di annullare tutto.

Uscii dal municipio, che era ormai diventato la mia casa, e scesi l'ampia scalinata fino alla base, dove mi attendeva un veicolo terrestre di recente sviluppo, completamente elettrico. Avevo scoperto di essere piuttosto negato per la guida delle macchine che non volavano, quindi per non fare figuracce, in quell'occasione avevo il fido Takoda a farmi da autista.

Un attimo dopo, ero pronto a salire una seconda rampa di scale: quella del tempio del Polline.

L'Idrometra dai capelli rossi sarebbe stata il mio testimone di nozze, e mi accompagnò fino all'altare, dove la mia promessa sposa attendeva in piedi.

Quando la vidi, ogni dubbio svanì come nebbia portata dal vento: era lei che volevo, era per lei, e soltanto per lei, che ero stato capace di cambiare, di mettermi in discussione, di creare un esercito come l'Immensità non aveva mai visto. Di mettere da parte i miei pregiudizi e imparare a vedere il mondo, e le comunità che lo abitavano, con sguardo diverso.

Quando fummo all'incirca a metà della percorso, mi sorrise, illuminandosi tutta. Indossava una tunica cerimoniale rossa tipica del suo popolo, stretta in vita da una fusciacca gialla e nera, in mio onore.

Una spalla era scoperta, mentre sull'altra, la veste era fissata con un elaborato fiocco, la cui forma ricordava vagamente un fiore. La pelle nera spiccava in contrasto con l'altare, sapientemente intagliato nella pietra bianca dagli artigiani di Spirotropoli con bassorilievi che rappresentavano gli animali mitologici tipici di ogni cultura dell'Immensità. Ognuno di loro portava con sé un seme e si dirigeva verso il centro del grande affresco, dove era stato ritratto un prato fiorito che cresceva sotto un sole allo zenit.

L'opera, davvero magnifica anche agli occhi di un profano come me, rappresentava come tutte le tribù erano state in grado di contribuire alla creazione di qualcosa di stupendo: Insecta.

Ci posizionammo uno davanti all'altro, mani nelle mani, di profilo rispetto all'altare, con i testimoni alle nostre spalle. Alla fine, Ash aveva infranto la promessa fatta a una sua amica d'infanzia, e aveva scelto Lin-Yu per questo ruolo. Le due avevano legato molto, ma il motivo di quella decisione era politico: scegliendo il sacerdote tra i Ragni, eravamo riusciti ad aver rappresentati quasi tutti i popoli su quel palco, pur essendo soltanto in cinque persone.

Il cerimoniere ci fasciò le mani con un drappo di seta bianca, quindi pronunciò un discorso introduttivo sull'amore, su come esso sia più forte di ogni differenza, divisione o confine.
Talvolta, disse, perfino della guerra.

Infine officiò il rito: «Come il Polline, portato dal vento, infonde la vita ovunque, così il vostro amore sia latore di gioia, prosperità e dedizione al vostro popolo.» quindi, mentre svolgeva il panno dai nostri avambracci, concluse: «Siete giunti qui in due, ripartite come unica entità. Possa il Polline guidare i vostri passi verso un futuro luminoso!»

Tutti applaudirono, e solo in quel momento mi resi davvero conto di quanta gente fosse presente.

Il mio matrimonio era l'evento del secolo, in grado di surclassare perfino la stretta di mano tra i leader, a pace fatta: centinaia di migliaia di mani batterono le une contro le altre, generando un vero e proprio boato.

Ero commosso.

Presi il microfono dalle mani del prete, euforico, ignorando l'occhiataccia di Ashlie.

«Fratelli! Sì, oggi possiamo finalmente chiamarci così!» esordii, generando un vero e proprio terremoto di entusiasmo. Aspettai che si calmassero un po', prima di proseguire. «In questo poco tempo, abbiamo imparato che possiamo esserlo davvero. Anche se siamo nati in tribù differenti. Anche se la nostra pelle ha colori diversi. Anche se qualcuno ci ha sempre detto che dare confidenza a un Ragno è pericoloso! O che socializzare con una Formica è male!»

Grida e risate.
«Beh, io l'ho addirittura sposata, una Formica!» le risate si moltiplicarono.

Mossi un passo verso il bordo della scalinata, avvicinandomi alla folla per quanto potevo. Sentivo l'adrenalina scorrermi lungo la spina dorsale, ogni traccia della paura che avevo confessato al mio amico ormai svanita.
Mi adoravano, e io li adoravo per questo.
«Grazie per essere venuti al mio matrimonio, gente!» gridai, quindi attesi che l'ovazione successiva scemasse. «Ma voglio che vi ricordiate questo giorno. Ricordatevi del giorno in cui ci siamo riuniti in un tempio ancora da costruire, in una città appena nata. Ma quando ripensate a questo giorno, non pensate al rinfresco, al vestito della sposa o all'avvenenza dello sposo...» attesi le risa. Ormai avevo il polso della situazione, sentivo che pendevano dalle mie labbra.
«Quando racconterete ai vostri figli che voi c'eravate, oggi, ditegli che in questo giorno, per la prima volta nella storia dell'Immensità, c'erano proprio tutti: Api, Formiche, Idrometre, Ragni, Farfalle e Onischi. Ditegli che oggi hanno smesso di essere ciò che sono, e sono diventati cittadini di Insecta!»

La standing ovation sembrava non finire più. La folla gridava «Insecta! Insecta!» sollevando ritmicamente le braccia in aria.

«Sì! Insecta, dove tutti potranno essere ciò che vogliono! Dove nessuno vi dirà più come vivere la vostra vita! Dove...»

Takoda mi strappò di mano il microfono, spingendomi da parte in malo modo. «Ma insomma, che noia! Cos'è questo, un matrimonio o un comizio elettorale? Io voglio vedere un bacio, cribbio! E voi?»
Abilmente pilotata, la folla cominciò ad acclamare "bacio, bacio" battendo le mani.

Ashlie apparve tra le mie braccia, come evocata da un incantesimo. «Che diavolo ti è saltato in mente?» sibilò, a voce talmente bassa che a stento riuscii a udirla. «Volevi fomentare una rivolta?» proseguì, senza attendere una mia replica.

«Perchè dici così?» chiesi, sgranando gli occhi.

Lei mi rivolse un sorriso finto, a beneficio del pubblico, e passandomi le braccia dietro al collo, poggiò la fronte contro la mia. «Non possiamo bruciare le tappe. Se carichi il pubblico in questo modo, molti potrebbero cominciare a chiedersi perché mai dovrebbero continuare a vivere come prima, quando esiste una alternativa. E se lo pensano in troppi, potrebbero rovesciare il loro governo, anziché trasferirsi qui!»

Spalancai la bocca: non ci avevo pensato.

Sapevamo tutti di che tipo erano le amministrazioni che nascevano nella violenza.

«Dobbiamo essere il faro che illumina la via agli altri, non la scintilla che appicca il fuoco!» insistette. «Anche perché, se gli altri governanti dovessero percepirci come una minaccia, potrebbero anche decidere di sbarazzarsi di noi!»

Sgomento e mortificato, abbassai la testa. Lei me la sollevò per il mento con due dita, e mi baciò sulla bocca, in modo casto e rapido, suscitando un enorme applauso.

«Mi dispiace... io non mi ero reso conto... credevo...»

Lei mi zittì, posandomi l'indice sulle labbra. «Non fa niente, Takoda se l'è cavata alla grande. Però, finché non diventi più bravo, è meglio se i discorsi ufficiali li rivediamo insieme, ok?»
Ormai tranquillizzata, mi rivolse un sorriso meno tirato. «Niente improvvisazione.»

«Sicura?» le chiesi, con un ghigno. «Perché c'è qualcosa in cui sono bravo, che con l'improvvisazione ci va a braccetto!» e la baciai di nuovo, stavolta con un trasporto ben diverso.

Lei chiuse gli occhi e si abbandonò completamente. Nonostante il fragore degli applausi, per un attimo fu come se fossimo solo noi due.

Quando ci separammo, percorsi di nuovo il pubblico con lo sguardo. In prima fila c'era la regina delle Api, fianco a fianco con l'amministratore delegato del Formicaio. Tra facce conosciute e perfetti sconosciuti, facevano capolino altre figure di spicco e capi di stato.

Il capo villaggio delle Idrometre, su una portantina retta da cuccioli di grillo, sorrideva soddisfatto.

Ma tutto sommato non mi importava di loro.

Rivolsi di nuovo la mia attenzione a colei che era appena diventata mia moglie: finché potevamo stare assieme, tutto il resto non contava.

«Credo che questo sia stato il corteggiamento più difficile della storia.» Commentai.

Lei ridacchiò. «Ammetto che sei stato tenace.»

«Sai perché?»

«Perché eri consapevole di quale sarebbe stato il premio finale?» ammiccò lei.

Mi sorprese con quell'uscita, ma mi ripresi in fretta e, sorridendole dolcemente, confermai: «Anche. Ma soprattutto perché, dopo averti conosciuto, non avrei potuto immaginare nessun'altra al mio fianco.»

Lei sostenne il mio sguardo. «Anche per me è lo stesso.»

«Rinfresco? Ho sentito bene, ha detto "rinfresco?" » esclamò Takoda, e la sua voce venne amplificata dal microfono per l'intero spazio circostante.

«Forse avremo anche il matrimonio più costoso della storia.» considerò Ash.

Io mi strinsi nelle spalle. «Beh... magari riusciamo a farlo pagare a Elphitephoros. Che cavolo, in fondo l'ho nominato ambasciatore!»


FINE

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