9. Rivelazioni
DUNCAN
Il mattino dopo mi alzai di buon'ora, dopo una notte trascorsa più a rimuginare che a dormire. Una rapida occhiata allo specchio confermò la pessima immagine che supponevo di avere: mi ero coricato con ancora l'uniforme da parata addosso, che ora aveva lo stesso aspetto sgualcito della mia faccia.
Una doccia fredda mi restituì la voglia di vivere e lavò via parte dei miei pensieri.
Aprii il mio piccolo armadio per prendere una divisa pulita ma, all'idea di indossare ancora una volta le odiate spalline bianche, venni colto dalla nausea. Proprio come aveva previsto Hudson, la cerimonia di conferimento dei gradi era stata rinviata, e i miei sogni erano stati congelati per cause di forza maggiore. Seguendo l'impulso del momento strappai dall'attaccapanni la mia vecchia tuta da aviatore. Pur richiamando la bicromìa gialla e nera del nostro esercito, si trattava di un abito civile decisamente fuori ordinanza. Tutti gli impegni degli allievi erano stati annullati, tuttavia quella non sarebbe stata una giornata di licenza, almeno formalmente. Ad ogni modo, l'idea di accomunarmi ancora con dei cadetti alle prime armi mi era intollerabile; decisi che alla peggio mi sarei cambiato in seguito, aggiungendo un'ulteriore nota di biasimo al mio stato di servizio.
La sala mensa degli aspiranti piloti era già piena di gente nonostante l'ora: tutti volevano tenersi pronti per... Qualsiasi cosa stesse per succedere.
In molti mi rivolsero domande sulla mia prodezza del giorno precedente: a quanto pareva, era l'argomento del giorno. Senza che me ne rendessi conto, mentre mi riempivo la tazza di caffè bollente, intorno a me si era formato un capannello di ragazzi. Normalmente mi sarei pavoneggiato, alimentando la mia fama con tecnicismi, battute sferzanti, smargiassate sulla mia presunta capacità di prendere la decisione giusta nel volgere di un battito di ciglia. Quel giorno, però, avevo più dubbi che certezze e mi limitai a liquidare la faccenda con frasi lapidarie come "l'ho scampata bella" oppure "poteva finire male".
Vedendo che non avevo nessuna intenzione di lasciarmi trascinare in una conversazione, alla fine anche i più entusiasti si rassegnarono a lasciarmi perdere e l'auditorio cambiò argomento.
Tutti sembravano avere qualche indiscrezione sull'imminente scoppio della guerra, e pareva che facessero a gara a chi la sparava più grossa. L'eccitazione era palpabile e la maggior parte dei miei commilitoni non vedeva l'ora di impugnare la cloche ed avere la possibilità di distinguersi in azione. Pareva che nessuno si preoccupasse delle vite che quella situazione avrebbe messo in gioco, esattamente come me prima di parlare con Ashlie.
Come potevamo essere tutti così ciechi, così menefreghisti?
«Faremo vedere a quei bastardi cosa succede a chi osa provocarci!» Stava gridando un ragazzino che apparentemente non arrivava nemmeno ai sedici anni.
«Sì! Saremo proprio noi giovani a portare gloria all'Alveare!» Sbraitò un mio compagno di corso, sollevando verso l'alto un bicchiere ancora mezzo colmo di succo di frutta.
L'intero ambiente esplose in un'ovazione entusiastica.
***
Accolsi quasi con sollievo l'ora dell'appuntamento datomi da Hudson, che mi dava la scusa per allontanarmi. Attraversai mestamente il corridoio, animato da sentimenti contrastanti. Solo il giorno prima anch'io la pensavo come loro, e non vedevo l'ora di dare una lezione ai nostri nemici. Ma la mia percezione della realtà era cambiata così tanto, in una sola notte, che non ero più così sicuro nemmeno di chi realmente fossero, questi nemici. Mi vergognavo d'esser stato così ottuso e limitato, e al tempo stesso non riuscivo a capacitarmi di come anche tutti gli altri sembrassero avere una benda sugli occhi.
Nella mensa ufficiali regnava tutt'altro clima: a gruppi di due o tre persone, gli uomini discutevano pacatamente su quale fosse la miglior strategia da seguire per la guerra che s'apprestava, oppure cercavano di indovinare quale condotta avrebbe seguito il governo. Quelli abbastanza anziani da aver partecipato alla precedente guerra riesumavano aneddoti e ricordi, tentando di dimostrare ai più giovani come la situazione attuale fosse talmente a nostro vantaggio da non essere nemmeno paragonabile. Alcune di queste storie erano gonfiate a tal punto che probabilmente nemmeno i narratori ci credevano, eppure nessuno si permise di interromperli.
La composta tranquillità che regnava nella stanza, la metodica costruttività con cui lì si cercava di ipotizzare ogni scenario possibile e la conseguente soluzione, stridevano a tal punto con il caotico entusiasmo e il fanatismo dei cadetti, che arrossii mio malgrado.
Mi sentivo un bambino al cospetto di una tribù di giganti.
Ero entrato senza bussare né annunciarmi e, imbarazzato, ero rimasto sulla soglia, senza ben sapere cosa fare.
In quel momento, quasi mi avesse letto nel pensiero, un anziano maresciallo con dei folti baffi a manubrio mi apostrofò dicendo «Ti sei perso, bimbo? Vattene, non abbiamo biberon qui!»
Prima che potessi rispondere, Hudson mi venne incontro. «Eccoti qua!» esclamò, e mi introdusse, ponendomi le mani sulle spalle.
«Signori!» soggiunse, facendosi leggermente da parte affinché tutti potessero vedermi. «Vi presento il mio amico Duncan, il pilota di cui vi ho parlato.»
«L'autore della prodezza di ieri.» mormorò perplesso un militare, squadrandomi da capo a piedi come se fossi un capo di bestiame che intendeva acquistare.
«In persona.» confermai, cercando di non sembrare né troppo umile né troppo arrogante.
Ci fu un lungo silenzio, durante il quale potevo quasi sentire gli sguardi di tutti sulla mia pelle. Quindi, proprio come era successo poco prima, tutti mi si fecero intorno, ansiosi di conoscere i dettagli della mia bravata.
La parte della mensa ufficiali più lontana dall'ingresso era allestita come un salottino, e veniva sovente utilizzata per riunioni informali: panche e poltroncine formavano un perfetto ferro di cavallo, in mezzo al quale venni messo sotto interrogatorio.
Il mio momento di gloria, però, venne bruscamente interrotto da una voce che conoscevo bene.
«Se non abbiamo niente di meglio da fare che osannare un ragazzino incosciente, io me ne vado.» sbuffò astiosamente il sergente O'Brian, senza alzare lo sguardo dalla tazzina di caffé che stava centellinando.
A quanto pareva la sua opinione era tenuta parecchio in considerazione: tutti tornarono immediatamente ai propri posti e, dopo avermi indicato dove potevo sedermi, Hudson guadagnò il centro della sala e prese la parola.
«Duncan, ti ho invitato qui perché speriamo tu possa essere dei nostri nella guerra che sta per esplodere.» proclamò senza preamboli con la sua voce baritonale.
«Non sappiamo se esploderà davvero...» replicai, cauto.
«Fidati... lo sappiamo, invece.» c'era qualcosa, nel sorrisetto saputo del mio amico, che mi fece gelare il sangue. Avevano forse informazioni segrete?
La mia espressione sbigottita scatenò qualche risatina.
«Ditegli come stanno le cose, tenente!» disse qualcuno.
«Prima ho bisogno della sua risposta.» ribatté Hudson, seccato.
«A quale domanda?» chiesi.
«Sarai dei nostri?»
«Che significa?!? Sono un'Ape, e un pilota, per di più! La mia fedeltà non è in discussione.» Nel momento stesso in cui lo dissi, mi chiesi se fosse davvero così. Mi sentivo così confuso, dopo la chiacchierata della sera prima!
«Era questo che volevo sentire!» esclamò il mio amico. «Abbiamo bisogno di piloti come te!»
«Ma certo!» bofonchiò O'Brian «chi non vorrebbe un imbecille per compagno di squadra!»
Mi morsi la lingua per non rispondere al mio superiore con una battutaccia acida. Per quanto lo stimassi come pilota e come uomo, odiavo il fatto che mi punzecchiasse in continuazione.
«Come fate ad essere così sicuri che la guerra ci sarà?» chiesi, per riportare il discorso sull'argomento principale.
Hudson sfoggiò un sorriso sornione. «Perché siamo stati noi a farla iniziare.»
SPAZIO AUTORE
Eccoci qui, amici!
Aggiorno con un capitolo un po' più breve degli altri.
Gli altarini cominciano lentamente a scoprirsi... tra poco entreremo nel vivo. Restate sintonizzati!
Che ne dite, vi disturba il fatto che anche in questo incontro i militari non usino il cognome e Duncan venga presentato per nome? Ho pensato fosse più facile ricordare un solo nome per ogni personaggio.
E poi, in fondo era un incontro informale. Giusto? O magari questi micro-uomini semplicemente hanno un solo nome. Potrebbe essere. :p
Se ne avete voglia, fatemi conoscere i vostri pensieri! ;)
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