8. Incontro clandestino
Ashlie si guardò intorno, nervosa. Il minimo fruscìo le faceva sobbalzare il cuore nel petto, sia per la speranza che si trattasse del suo amato, sia per la paura che potesse invece essere qualcos'altro. Il limitare della foresta non era posto da frequentarsi dopo il tramonto, e le nuvole che velavano la luce della luna, rendendo ancora più buio il mondo che la circondava, non contribuivano a rassicurarla.
Chissà se il suo ragazzo sarebbe riuscito a sgattaiolare fuori per raggiungerla, nonostante tutto quello che era successo quel giorno? La giovane prese a scavare un buco nel terreno con il piede, mentre verificava sul suo dispositivo personale che tutto fosse in ordine. Aveva chiamato per avvertire che non sarebbe rientrata, ma se la comunicazione non fosse stata registrata, le guardie avrebbero potuto segnarla come assente ingiustificata all'appello serale, facendole passare altri guai.
L'unico modo che Ashlie aveva per passare la notte fuori casa senza infrangere la legge era soggiornare dallo zio, un Onisco che aveva sposato la sorella di sua madre. Dopo una vita dedicata all'allevamento degli afidi - tanto importanti per la Colonia - egli avrebbe ben meritato il sussidio di mantenimento; eppure non ne aveva diritto in quanto straniero. Alla morte della moglie, ormai quasi completamente cieco, l'uomo era stato costretto ad abbandonare l'attività e si limitava ora a coltivare il minimo indispensabile per tirare avanti. Data la sua condizione, l'aiuto della nipote gli era prezioso, e gli Amministratori erano ben felici di incoraggiare la giovane a offrire quel servizio, per salvare almeno le apparenze nei confronti di ciò che restava di quella coppia mista, condannata all'esilio.
La ragazza si chiedeva spesso se fosse quello il futuro che la aspettava. Lo zio era probabilmente la persona che più di tutti avrebbe potuto capirla, eppure paradossalmente lei non gli aveva mai confessato nulla del proprio amore clandestino, per paura che egli potesse ostacolarli, mosso dal desiderio di proteggerla da un destino provato sulla propria pelle.
Il tempo che trascorreva con il parente rappresentava una boccata d'ossigeno per Ashlie, alla quale ella ricorreva ogni volta che le regole del Formicaio le andavano troppo strette. Cioè piuttosto di frequente, a dire il vero.
All'inizio si era considerata una privilegiata ad avere la possibilità di sfuggire momentaneamente a quel mondo di regole; crescendo tuttavia si era resa conto che nessuno dei suoi coetanei condivideva quella necessità, tanto erano parte di quell'ingranaggio perfetto che era la sua comunità.
Un varco tra le nuvole lasciò filtrare la luce della luna; i raggi investirono Ashlie come il faro di un riflettore, disegnando meravigliosi riflessi sulla sua pelle, dello stesso colore del cioccolato fondente e liscia come una bottiglia di vetro. Solida, formosa, alta più della maggior parte dei ragazzi del Formicaio, aveva la corporatura delle guerriere degli antichi racconti. Pur non condividendo le curve sensuali e le gambe longilinee delle sue coetanee più popolari, era proporzionata nelle forme e molto femminile nelle movenze. Le labbra piene e morbide erano spesso atteggiate al sorriso, il naso importante non ne sbilanciava il viso, forse anche grazie all'imponente massa di riccioli che le incorniciava il volto, tanto scuri che al sole producevano inusuali sfumature bluastre. Neri erano anche gli occhi, pozzi di oscurità in cui perdersi.
La giovane inspirò l'aria fresca e sorrise: quanto amava la quiete di quel fazzoletto di terra, strappato alla giungla dai suoi zii con fatica e sacrificio!
Eppure, non avrebbe mai immaginato di poter incontrare l'amore proprio in quel luogo. Del resto, non avrebbe mai pensato nemmeno che esso potesse giungere dall'esterno del Formicaio.
Ricordava il loro primo incontro come se fosse appena accaduto: anche quella volta lei si stava godendo il fresco al limitare della foresta. Lui era sbucato dal nulla, spaventandola, e le aveva chiesto...
«Aspetti qualcuno?»
La voce la fece trasalire, strappandola ai ricordi e riportandola bruscamente nel presente.
«Eccoti!» mormorò. Gli si fece incontro, azzerando di corsa la distanza che li separava. Il nuovo arrivato prese le mani della giovane tra le sue, e i due ristettero per un po' a guardarsi negli occhi, senza proferire verbo. Potevano forse far sorridere a guardarli: Ashlie era più alta di lui di quattro granelli(*) abbondanti, ed era costretta a guardarlo dall'alto in basso.
Duncan discendeva da un'antica famiglia di aviatori: ai tempi in cui gli unici mezzi volanti di cui disponevano le Api erano alianti senza alcun tipo di propulsione, la bassa statura era stata una qualità molto ricercata nei piloti, perché occupavano meno spazio e appesantivano meno il velivolo. Ma ancora in quei giorni, con ormai l'intera flotta motorizzata, i piloti bassi erano considerati i più diretti discendenti dei pionieri dell'aria. Ad ogni modo, Duncan compensava con la prestanza ciò di cui difettava in altezza: aveva la struttura fisica di un paracarro. Spalle squadrate, collo taurino, braccia e gambe come tronchi. La luce della luna faceva spiccare la sua carnagione chiara, al punto che i due, così vicini, sembravano il negativo l'una dell'altro. I capelli castano chiaro costantemente spettinati incorniciavano un volto pieno, dai lineamenti dolci, da cui facevano capolino due meravigliosi occhi verdi che, in accoppiata con l'ironica ed onnipresente smorfia da briccone, erano in grado di mietere molte vittime tra le giovani Api in cerca di avventure.
«Temevo che non saresti riuscito a venire.»
«Niente e nessuno può tenermi lontano da te!» proclamò spavaldamente il ragazzo, stringendola tra le braccia. Lei gli si abbandonò completamente, e i due si scambiarono un bacio appassionato.
«Ero così in pensiero! Non sapevo se l'aereo precipitato fosse il tuo oppure no... Poi ci sono state le esplosioni, e...»
«Aspetta un attimo!» la interruppe il pilota, gli occhi che brillavano per l'emozione «hai assistito allo spettacolo?»
Ashlie si limitò ad annuire, sorridendo.
«Ma è fantastico!» esclamò l'altro, ormai incapace di trattenere l'entusiasmo «io ero il solista, mi avrai notato sicuramente! Hai visto quando mi sono staccato dal gruppo, e...» prese a raccontare, euforico, mimando le manovre con le mani, diventate aeroplani per l'occasione.
Passeggiarono a lungo per la proprietà, chiacchierando, aggiornandosi reciprocamente sugli ultimi avvenimenti, ridendo spesso. L'atmosfera era distesa e leggera, ben diversa da quella del loro ultimo incontro, e Duncan se ne compiacque.
Quando era ormai certo che tutto si fosse risolto, però, Ashlie diventò improvvisamente seria, come se qualcuno avesse fatto scattare un interruttore nel suo cervello.
«Amore... Cosa succederà, adesso?»
L'altro aggrottò la fronte, colto alla sprovvista. «In che senso?»
La ragazza distolse lo sguardo, puntandolo verso l'oscurità. «Se scoppia la guerra, che ne sarà di noi?»
Lui rifletté per un attimo. «Dovrai restare al sicuro per un poco... Forse potrebbe andare bene perfino qui, da tuo zio. Ma non sarà per molto, vedrai: siamo in grado di risolvere la situazione in poco tempo. Dopo, troveremo insieme...»
«Risolvere?! Stai parlando di sterminare il mio popolo! Ne sei consapevole, almeno?»
La giovane si scostò bruscamente da lui camminando all'indietro, il labbro inferiore che tremava di furore represso.
Il pilota si agitò, a disagio: per quanto si sforzasse di stare attento alle parole, riusciva sempre a dire qualcosa che lei reputava inopportuno. «Non abbiamo voluto noi questa guerra» borbottò a mò di scusa, stringendosi nelle spalle.
«E credi che qualcuno al Formicaio la desideri?» scattò lei. «Escluso qualche tronfio pallone gonfiato dell'esercito, gli altri pensano solo a vivere la propria vita meglio che possono!»
Duncan sussultò come se avesse ricevuto un pizzicotto, all'accenno ai militari. «Ma hai visto tu stessa che...»
«E tu, cosa hai visto, eh?» lo interruppe Ashley. «Hai riconosciuto le macchine della Colonia tra l'erba?»
«No, ma...»
«Sei riuscito a distinguere delle Formiche, mentre svolazzavi allegramente a centinaia di steli(*) dal suolo?»
«Certo che no!»
«E allora come puoi sostenere che l'attacco provenga dai miei compatrioti?»
«Ma chi altro potrebbe essere stato?!»
«Il fatto che tu non conosca la risposta a questa domanda non può essere un motivo sufficiente a condannare decine di migliaia di persone a morte... O almeno, non dovrebbe. »
«Non ho detto questo... Però devi capire che...»
«Duncan... Accetteresti che qualcuno decida al posto tuo chi devi amare?»
«Certo che no! Cosa ti viene in mente?» replicò il pilota, stizzito. «Mi pare che il nostro rapporto sia una dimostrazione del contrario!»
«E allora perché lasci che qualcuno pensi al posto tuo?»
«Ma che dici!»
«Spesso parli con parole che non ti appartengono. Non è tutta colpa tua: anni di propaganda inculcata fin da quando eri bambino si fanno sentire. Ma non puoi permettere che sia qualcun altro a dirti cosa è giusto e cosa è sbagliato!»
Il giovane sbuffò, disorientato da quella predica accorata. «Ma... Io sono un soldato! Devo obbedire agli ordini!»
«No! Sono le macchine che eseguono ciecamente i comandi! Un uomo ha il diritto e il dovere di lottare per ciò che reputa giusto.»
Rimasero per un lungo momento in silenzio, seguendo ciascuno il flusso dei propri pensieri. Quindi Ashlie concluse: «il mondo ci sta cambiando intorno, Duncan... più velocemente di quanto ci piace ammettere. Sarà la nostra generazione a porre le basi del nuovo corso della Storia. Pensa a questo: faresti nascere tua figlia in un luogo in cui un sospetto equivale a una condanna a morte?»
Il ragazzo sobbalzò: un figlio! Non ci aveva mai pensato. Per il momento non c'era nessun rischio che la fidanzata fosse incinta di lui, eppure, aveva ragione: se i suoi bambini fossero vissuti nel Formicaio, avrebbe fatto di tutto per evitare una guerra.
«Io le insegnerò che siamo tutti uguali: Formiche, Api, Onischi, Farfalle...» riprese Ashlie. «Ognuno con i propri colori e le proprie usanze, siamo tutti esseri umani! L'educherò al rispetto e alla tolleranza... Ma non servirà a niente se saremo gli unici a pensarla così!» Con un sorriso materno, Ashlie gli passò una mano sulla guancia. «Il cambiamento inizia da noi, tesoro... Dobbiamo essere l'esempio da seguire. Quando anche gli altri vedranno le cose come noi, allora potremo ottenere qualcosa.» Chiudendo gli occhi, gli si accoccolò contro.
«Perché pensi sarà femmina?»
Lei si scostò, guardandolo di sbieco.
«Hai parlato di una figlia...» Spiegò l'Ape, sorridendo.
La ragazza si strinse nelle spalle. «Non saprei. È uscito così.»
«Non sempre riesco a capire tutto quello che dici...» Mormorò Duncan, giocherellando con la folta chioma della ragazza «ma sento che è giusto. Quando siamo insieme... Riesco davvero a credere che il posto in cui viviamo possa diventare un paradiso.»
«Forse no... ma di certo possiamo provare a renderlo migliore.»
Duncan si sentiva dominato da emozioni che non comprendeva appieno. Fino a poco prima si era sentito euforico all'idea di andare in battaglia, ora invece si vergognava di quel pensiero. Scosso, confuso, decise infine di ricavarsi del tempo per sé stesso. Sentiva il bisogno di stare da solo e riflettere nel silenzio. «Devo andare.» concluse. Con un leggero bacio sulla fronte, si accomiatò dalla fidanzata e s'allontanò senza voltarsi.
Ashley avrebbe voluto dirgli di rimanere, ma quando aprì la bocca per farlo, non ne uscì alcun suono. Sentiva qualcosa di terribile aleggiare tra lei e l'amato, e non aveva nessuna certezza in più sulla loro relazione, rispetto alla sera precedente. Lo scoppio della guerra avrebbe segnato una spaccatura tra loro, avrebbe aperto un solco incolmabile. Ne era certa.
Lui non era come gli altri. Ma sarebbe stato davvero disposto a cambiare?
Gli stava chiedendo di rinunciare a tutto: alla carriera, al volo, alla sua stessa essenza di Ape, guerriera e dominatrice. Non era forse un atto di egoismo? Amare non significa accettare l'altro per ciò che è?
Lei sarebbe stata capace di fare altrettanto, per lui?
Ma soprattutto, sarebbe stata capace di continuare ad amarlo in ogni caso?
Ogni domanda ne portava altre con sé. Ashlie sentì gli occhi riempirsi di lacrime senza essere nemmeno certa del motivo.
«Promettimi che non parteciperai a questa guerra.» Gli urlò dietro, mentre lui recuperava l'Airboard dal cespuglio in cui l'aveva nascosto.
«Non posso farlo.»
«Promettimi almeno che non ucciderai la mia gente!» Strillò ancora, con tono quasi supplichevole. Non avrebbe più potuto guardarlo con gli stessi occhi, se lui avesse rivolto le armi verso i suoi amici, verso la sua famiglia.
«Non posso! Sono un soldato.»
La Formica distolse lo sguardo, mordendosi nervosamente il labbro.
«Però posso prometterti questo.» le disse, fluttuando con la tavola fino a lei. «Penserò seriamente a quello che mi hai detto.»
«Oggi mi basta» concesse lei, sforzandosi di sorridere senza riuscirci «ma non so per quanto potrà essere così».
Si lasciarono in silenzio. Duncan scivolò via nella notte sfrecciando sul suo mezzo, ed Ashlie s'intrufolò silenziosamente in casa, sforzandosi di non svegliare lo zio.
Sopra di loro, un macigno galleggiava nell'aria, pronto a infrangere il loro rapporto.
(*) Unità di misura da insetti. Uno stelo corrisponde all'altezza media di un micro-uomo (circa 2.5cm); un granello a circa un mignolo di un micro-uomo . Per maggiori informazioni, è possibile consultare il capitolo "il sistema metrico atropodiale" in questo stesso libro.
SPAZIO AUTORE
Cari lettori,
come state? Mentre si respira odore di ripartenza e di speranza, spero troviate lo stesso qualche ritaglio di tempo per leggere la mia storia!
Ecco finalmente svelato il motivo per cui non c'erano ancora state le descrizioni dei due protagonisti: avevo pensato fin dall'inizio di renderle in questo capitolo "di coppia". La narrazione in prima persona non è adatta, perché nessuno, a meno che sia un inguaribile narcisista, si guarda allo specchio descrivendosi minuziosamente. Per esempio, Duncan lo fa per guardare come sta, e ci descrive la sua uniforme da parata. Ma non si sofferma troppo sul proprio aspetto. Inoltre, nessuno di noi può essere davvero onesto a questo riguardo :p (siamo i peggiori giudici di noi stessi, come si suol dire). Avrebbe potuto essere diverso nel caso ognuno avesse descritto il proprio partner, pensando a lui/lei: ma anche in questo caso, l'amore avrebbe distorto l'obiettività! :p
Ho pensato, quindi, che sarebbe stato divertente rimandare la descrizione al capitolo in cui loro, per la prima volta dall'inizio della storia, si incontrano. E a questo punto, visto che sono presenti entrambi contemporaneamente, mi sono detto: "perché non spezzare il susseguirsi di Duncan/Ashlie con un capitolo in terza persona?"
A proposito, come è stato passare improvvisamente alla lettura in terza persona, dopo sette capitoli di prima persona alternata? Vi ha destabilizzato o vi è piaciuto? :)
Ho pensato anche che potesse essere un gioco divertente lasciare immaginare ad ognuno di voi i personaggi come gli pareva, per poi confrontarli con quelli che sono nella mia testa. Un po' come quando scelgono un certo attore per interpretare l'eroe di qualche romanzo che amiamo, e siamo subito tutti a discutere se sia adatto o meno, e su come ce lo eravamo invece figurato. :)
Ultima cosa: ebbene sì, sottotraccia vorrei mettere anche il razzismo, anche se in maniera marginale e mai troppo pesante. Le Formiche sono nere, anche di pelle, e così le altre tribù che si succederanno nel corso della storia avranno caratteristiche particolari. Alcune Api vivono nella convinzione di essere migliori degli altri popoli, e questa sarà una delle cause scatenanti della guerra, come vedremo più oltre. Lo stesso Duncan dovrà lottare contro i pregiudizi e le idee che gli sono state inculcate fin da quando era un bambino.
Grazie per continuare a seguirmi. Alla prossima!
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