DUNCAN
Il sibilo dell'ascensore mi fece trasalire. Chi lo aveva rimesso in funzione?
Mi sentivo svuotato di ogni energia fisica e mentale: se dalla cabina fossero usciti altri nemici, mi sarei arreso e basta.
Per fortuna, però, si trattava di alleati: Takoda irruppe nella sala comandi con un balzo, una cerbottana per mano. Le spianò davanti a sé e gridò: «Che nessuno si muova!»
Poi analizzò la situazione e, realizzato che ero l'unica persona ancora in piedi, rinfoderò le armi e mi corse incontro.
«Duncan! Sei ferito?» s'informò.
Avevo intenzione di minimizzare come fanno i veri eroi, dicendo qualche frase epica del tipo "non è niente, ci vuole ben altro per stendermi!" ma purtroppo, proprio in quel momento, le gambe mi tradirono, e sarei crollato lungo disteso per terra se il mio amico non mi avesse sorretto.
«Sei ridotto male!» osservò.
Non seppi cosa rispondere. Mi girava la testa, e anche la sua voce mi giungeva leggermente ovattata, distante.
L'Idrometra mi fece sedere con la schiena appoggiata a una consolle, quindi si occupò delle mie ferite.
Mi strappò di dosso la mia adorata giacca da aviatore, ormai tutta sbrindellata e inzuppata di sangue; con uno dei suoi coltelli mi liberò anche della maglietta, e la usò per fare dei tamponi che premette sui tagli, appallottolandoli e fermando l'emorragia. Quindi usò la sua per fare delle fasciature strette a sufficienza per tenere in posizione quelle medicazioni improvvisate.
«Tieni duro. Dobbiamo portarti prima possibile da un medico vero, altrimenti per te è il capolinea.»
Non aveva ancora finito di dirlo, che una spia cominciò a lampeggiare proprio sul pannello di controllo a cui ero appoggiato, accompagnata da un insistente segnale acustico.
«Comunicazione prioritaria in arrivo dall'Alveare.» mi informò l'artigliere, consultando la strumentazione.
«Deve essere quella che aspettavamo: la squadra di Ash ce l'ha fatta. Accettala e trasmettila a tutti!»
Il giovane armeggiò per un po' con i comandi, e il viso della regina apparve sullo schermo.
Il suo messaggio sarebbe stato redistribuito in tutto il Calabrone, e ad ogni Fuco in volo.
Ci eravamo persi l'introduzione, ma per fortuna la parte che tutti udirono era chiara:
«...per questi motivi, miei adorati sudditi, sono costretta a chiedervi di fidarvi di me ancora una volta, quando vi dico che siete stati ingannati. Nessun popolo ci ha minacciati né tantomeno attaccati: è stata tutta una messinscena, orchestrata dal Generale Supremo Winthrop, che mira a sottomettere e controllare tutte le altre tribù. La sua propaganda cerca di convincervi che porterà vantaggi all'Alveare. Che sotto un unico dominio, risolveremo tutti i nostri problemi energetici. Che tutti ci rispetteranno.
Ma non illudetevi: questo non porterà grandezza, prosperità e potere al popolo delle Api. Al contrario, ci renderà ancora più detestabili, soli e isolati.»
La sovrana si interruppe per prendere qualcuno per mano. Riconobbi la pelle color cioccolato prima ancora che Ash entrasse nell'inquadratura. «Questa giovane ci ha dimostrato che la convivenza è possibile. Insieme al comandante Duncan, dell'Alveare, ella ha riunito esponenti di ogni tribù per far fronte al pericolo: in questa comunità, ognuno è considerato al pari degli altri, e le singole diversità sono viste come una ricchezza, una risorsa.»
La Formica prese la parola. Alle sue spalle, si intravedevano Ragni e Farfalle. «Noi non desideriamo la guerra. Abbiamo combattuto per difenderci, per proclamare il nostro diritto a vivere liberi nella patria dei nostri antenati. Ma siamo ancora in tempo per fermarci, tutti quanti. Deponiamo le armi, e cogliamo l'opportunità che questa terribile situazione ci fornisce: un mondo nuovo, in cui tutti possano convivere in pace!»
«Il nostro stesso stile di vita va riformulato.» riprese la sovrana. «Non possiamo pensare di schiavizzare gli altri popoli solo per produrre più energia: se non cambiamo rotta, presto ci troveremo circondati da un deserto.»
«Ma le alternative esistono!» intervenne Ashlie. «Collaboriamo tutti insieme per renderle operative! Forse dovremo fare qualche piccolo sacrificio, ma potremo produrre energia senza distruggere la foresta, che fornisce l'aria che tutti respiriamo. Tutti, a prescindere dal luogo di origine.»
«Forse non vorrete ubbidire agli ordini di una sovrana che si è voltata dall'altra parte, fingendo di non vedere l'orrore che si era scatenato.» osservò ancora la regina. «Per questo non vi impongo, ma vi imploro di interrompere ogni ostilità e di deporre le armi. I vostri oppositori faranno ovunque lo stesso, i capi della Resistenza ce l'hanno garantito. Fermate questo insensato massacro, e costruiamo tutti insieme un futuro migliore per le nuove generazioni. Non c'è potere più grande di questo. Vi prego.»
Lo schermo ridivenne nero: la trasmissione era terminata.
«Hai sentito?» domandai, sorridendo.
Takoda annuì. «Un bel discorso.» convenne.
«Sì, meraviglioso. Ma... hai sentito?»
«Ho ascoltato tutto. Ti riferisci a un passaggio in particolare?»
«La regina mi ha chiamato "comandante Duncan" !»
L'Idrometra scoppiò a ridere. «Sei sempre il solito!»
Ridacchiai, ma così facendo feci vibrare troppo il fianco, riaccendendo dolorose fitte che mi strapparono una smorfia. Takoda si accucciò su di me con premura, ma io lo allontanai con un gesto.
«Dammi il microfono, per favore.»
Ero ancora seduto a terra. Il mio compagno mi diede quanto avevo chiesto, facendomi intendere che era già acceso; la radio era ancora sintonizzata sugli altoparlanti interni del velivolo, e su tutti gli aerei in azione in quel momento.
«È il comandante Duncan che vi parla.» proclamai in tono pomposo, sforzandomi di non scoppiare a ridere per l'espressione di Takoda, che mi prendeva in giro. «Il Generale Supremo è morto. Ripeto: ho ucciso Winthrop.» Esitai un attimo. Mi sentivo male, e faticavo a mantenere il filo dei miei pensieri.
«Avete udito tutti le parole della nostra Regina. Il Calabrone è ormai compromesso: vi intimo di abbandonarlo immediatamente, tutti, usando i paracadute. Ai piloti, invece, chiedo di cessare immediatamente ogni ostilità e ritirarsi.»
Posai il microfono e sbirciai oltre le immense vetrate che circondavano il ponte di comando: a breve, i Fuchi da guerra cominciarono ad eseguire i miei ordini.
«Su questo schermo viene segnalato che i portelli laterali sono stati tutti aperti.» mi informò il mio amico.
«Benissimo.» commentai. «Ora aiutami a rialzarmi: dobbiamo raggiungere i posti di pilotaggio.»
***
«Marshall, non hai sentito? Hanno detto di usare i paracadute per abbandonare l'aereo!»
«I paracadute sono ammassati sui portelli laterali! Nell'hangar principale non ne troveremo!»
«Me ne frego.» sentenziò l'uomo grande e grosso che precedeva un gruppetto di sette compagni, che chiaramente gli riconoscevano una qualche autorità. «Non ho nessuna intenzione di ubbidire agli ordini di un traditore!»
«A quanto pare, non era lui il traditore...»
«In ogni caso, non mi butterò giù da questa altezza con un fazzoletto sopra la testa. Non quando posso usare un vero aereo, per mettermi in salvo.»
«Ma i caccia sono tutti fuori!»
«Ah, davvero?» sbraitò il soldato. «E quelli cosa sono, allora?»
Anche gli altri lo raggiunsero nel vano di carico, e seguirono la linea immaginaria che, dall'indice del loro capo, giungeva ai due velivoli spenti.
«Non sono dei nostri.» osservò qualcuno.
«Poco importa, scommetto che Liam e Johnson riusciranno a pilotarli lo stesso. Voi quattro prendete questo, mentre noi useremo la Vespa.»
Mentre il primo gruppo saliva a bordo della Zanzara, il secondo si diresse di gran carriera verso l'apparecchio pirata.
Erano ormai a pochi passi quando Capitan Velluto gli si parò davanti, spada e pugnale già in pugno.
«Non pensate nemmeno a posare le vostre sudicie zampacce sul mio aereo!» li apostrofò. «Sparite da qui, se volete vivere!»
Le Api indietreggiarono, ma Marshall sogghignò. «Cosa pensi di fare, donna? Sei sola contro quattro.»
«Credimi, rimarresti sorpreso da quello che potrei fare, in una simile situazione.»
Il soldato non colse il sottinteso. «Uccidetela.» sibilò, rivolto ai suoi.
I tre giovani sguainarono le armi e si gettarono in avanti.
Ma la corsara non era una sprovveduta. Intercettò tutti i colpi e, piroettando come una ballerina, dispensò fendenti e stoccate.
In un attimo, tutti gli avversari erano feriti, chi a una spalla, chi a un braccio, chi a una gamba.
Nell'euforia dello scontro, però, si era scordata di Marshall. Costui era scivolato di soppiatto dietro di lei: con una mossa rapidissima, le bloccò le braccia, torcendogliele dolorosamente dietro la schiena. Mentre lei si dibatteva come una belva, ringhiando e scalciando, le strinse il polso che reggeva il coltello fino quasi a spezzarlo e, appena lei fu costretta a lasciarlo andare con un gemito, lo recuperò al volo e lo affondò tra le sue spalle.
La giovane cadde a terra con un grido.
«Presto, tutti a bordo!» esclamò allegramente il vincitore di quello scontro, salendo la scaletta che portava alla cabina di pilotaggio.
Posato il piede sull'ultimo gradino, però, si irrigidì, inarcò la schiena e precipitò come un sacco di miceti.
Capitan Velluto aveva estratto la sua balestra nascosta e, stesa supina, gli aveva piantato un dardo alla base del collo, appena sotto la nuca.
«Chi è il prossimo?» chiese, tirandosi su mentre puntava l'arma verso le altre Api.
Queste ultime esitarono, guardandosi l'un l'altra.
«Venite, presto!» gridò uno dei loro compagni dall'altro aereo, che stava già rullando lungo la pista, le ali tese e vibranti.
Stipata con ben sette passeggeri spalla contro spalla, la Zanzara percorse l'ultimo tratto della rampa e scomparve oltre il bordo del vano di carico.
«Idioti.» mormorò il pirata, appoggiandosi a una ruota del proprio velivolo mentre cercava di riprendere fiato. «Così carico, quel caccia cadrà come un sasso. Avrebbero dovuto prendere i paracadute.»
***
Ci sedemmo uno accanto all'altro, proprio come avevamo fatto poco tempo prima, a bordo del Coleottero.
«Com'era?» mi provocò Takoda. «Se ha le ali, posso distruggerlo?»
Ridacchiai. «In realtà, stavolta lo scopo è proprio quello.» la sua sorpresa mi divertì. «Non possiamo permettere che un'arma simile rimanga in circolazione.»
«Parli dell'aereo, o della bomba che trasporta?»
«Di entrambi, in effetti. Ora dai tutta forza alle macchine, avanti!»
Gli otto motori erano talmente potenti, che l'intera fusoliera venne scossa da quello che sembrava un terremoto, quando l'Idrometra li spinse al massimo.
Disinserii il pilota automatico, che per fortuna chi mi aveva preceduto aveva attivato, consentendoci di non precipitare mentre duellavo con Winthrop, e imposi al velivolo un angolo di risalita dolce.
Quando valutai che l'altezza raggiunta era sufficiente, feci un'ampia virata ad angolo retto, lasciandomi il Formicaio alle spalle. Terminata anche quella manovra, abbassai leggermente il muso, puntando verso le onde che, oltre le alte chiome della foresta, scintillavano in lontananza. Quindi ricollegai l'autopilota.
«Così dovrebbe andare bene.» commentai.
«Cosa hai in mente?»
«Il Calabrone proseguirà la sua corsa fino al Mar Pozzanghera, dove si schianterà e finirà per affondare. Nessuno potrà mai più raggiungerlo, nelle profondità marine.»
Il mio compagno annuì, pensoso. Quindi si alzò. «Allora, direi che è il momento buono per togliere le tende.»
Con Takoda che mi sorreggeva, raggiunsi l'ascensore.
Mentre le porte si aprivano, gettai un'occhiata ai corpi stesi a terra.
«Che ne facciamo di loro?» chiesi, a nessuno in particolare.
«Non possiamo far altro che lasciarli qui. Non c'è il tempo per portarli via, e non abbiamo nemmeno un antidoto per la tossina dei Ragni. E in ogni caso, il nostro aereo non potrebbe mai trasportare tanta gente.»
«Forse potremmo legargli addosso dei paracadute, e dopo...»
«Ti ricordo che ce ne sono altri ancora, nel corridoio. Anche ammesso che la tua idea funzionasse, siamo solo in due, e tu ti reggi in piedi a stento. Ci spiaccicheremmo in mare ben prima di averli portati tutti in salvo.»
«Ma sono ancora vivi! Non possiamo lasciarli qui!»
«Mi dispiace. Non abbiamo scelta.»
«E se facessi girare il Calabrone in tondo, fino a quando...»
«Duncan.» mi poggiò una mano sulla spalla, puntandomi gli occhi addosso, con uno strano sorriso a mezza bocca che mi riempì di tristezza. «Hai visto anche tu gli indicatori del carburante: quell'accelerata ha prosciugato i serbatoi. Non siamo nemmeno sicuri che arriverà fino al mare.»
In preda allo sconforto, mi lasciai condurre dentro la cabina.
"Siamo degli assassini." pensai, ma non dissi nulla ad alta voce: non c'era ragione di far star male anche il mio compagno.
Quando le porte si aprirono sul corridoio al piano inferiore, mi sentii anche peggio. Il pavimento era disseminato di corpi inerti. Non tutti erano cadaveri, in quel momento; ma ora guardavo anche i vivi con una diversa consapevolezza.
Takoda mi aveva informato che il nostro compagno non ce l'aveva fatta ma, in cuor mio, speravo che si fosse sbagliato, e che l'avrei trovato ad attenderci.
Circondato dai nemici, immerso in una pozza di sangue, Håvard sembrava effettivamente essersi seduto a riposare mentre ci aspettava. Purtroppo, non si sarebbe mai più rialzato.
Poco distante, giaceva a terra la sua enorme ascia bipenne. Liberatomi dalla stretta di Takoda, mi inginocchiai accanto al mastodontico Onisco e recuperai la sua arma. Estrassi dal manico tre di quei cilindretti che usavano per lasciare messaggi: uno per me, uno per Takoda e uno per Ash. Ovviamente ne ignoravo il significato, ma era tutto ciò che potevo permettermi di portare via, in quelle condizioni.
Almeno avremmo conservato un ricordo di lui.
Appoggiai la scure in grembo al guerriero e gli strinsi le dita, che già cominciavano a rattrappirsi, intorno al manico. Avevo imparato abbastanza della sua cultura per capire quanto fosse importante per lui quel gesto.
«Ora vai pure a banchettare alla corte del dio Humus.» gli sussurrai, poggiando la mia mano sulla sua.
Nel frattempo, Takoda aveva distrutto il pannello di controllo dell'ascensore, in modo che nessuno potesse accedere alla sala comandi.
Percorremmo in silenzio la strada fino all'hangar, ognuno immerso nei propri pensieri.
Håvard era stato di parola: mi aveva donato la sua vita, per ripagare il debito contratto quando lo avevo salvato dai Balaustius. Eppure, la consapevolezza che fosse morto a causa mia mi distruggeva.
Le mie mani grondavano sangue: in capo a pochi giorni, mi ero macchiato del più atroce dei delitti, e non solo una volta! Le mie decisioni avevano causato la morte di molte persone.
Come avrei mai potuto convivere con un simile peso?
Pregai silenziosamente il Polline di aver pietà di me, e di concedermi un modo per fare ammenda, un giorno.
***
La scoperta che la Zanzara era sparita ci allarmò, e ancor più il cadavere che giaceva ai piedi della Vespa.
Per fortuna, Capitan Velluto sembrava in forma, nonostante una macchia di sangue rappreso sulla schiena.
«Tutto a posto?» s'informò Takoda.
«Solo un graffio.» replicò lei, stringendosi nelle spalle. «Ci vuole ben altro, per mettermi fuori combattimento!»
Mi aveva rubato la battuta.
Per fortuna, il meccanismo di estrazione del suo pugnale nascosto aveva assorbito gran parte dell'urto, facendo sì che la coltellata che avrebbe dovuto ucciderla si era risolta in una ferita superficiale.
Salimmo tutti a bordo dell'aereo, e il pirata ci condusse di nuovo in cielo, oltre la paratia divelta del vano di carico.
I combattimenti erano terminati: i Fuchi si erano ritirati, e solo i bucanieri continuavano a volare intorno al Calabrone, in attesa del ritorno della loro comandante.
«Vi sono mancata, mandria di incapaci?» ridacchiò quest'ultima, nella radio.
Quindi diede disposizione di atterrare di nuovo nello spazio antistante al Formicaio, dove saremmo stati riforniti di carburante e chi ne aveva bisogno avrebbe potuto beneficiare di cure mediche, incluso io stesso.
«E adesso?» mi chiese Takoda, mentre Velluto iniziava i preparativi per la discesa.
«Adesso,» replicai «inizia il bello.»
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