66. La Regina

ASHLIE

Il pretoriape mi ascoltò con molta attenzione, mentre gli spiegavo la situazione e cercavo di convincerlo che il cattivo era Winthrop, non noi.

«Se siete in buona fede, dimostratelo deponendo le armi.» dispose infine.

Sentivo già alle mie spalle un certo fermento, quindi, senza perdere un istante, parlai con voce squillante e sicura, o almeno così speravo.
«Ci siamo introdotti nell'Alveare nel bel mezzo di un'invasione. Eravamo tutti ben consapevoli dei rischi, ma non posso chiedere ai miei compagni di rinunciare a difendersi.»

Non ebbi il coraggio di voltarmi per verificare se le mie parole li avessero tranquillizzati almeno un pochino. «Per quanto mi riguarda, però, sono senz'altro disposta a ottemperare alla tua richiesta.» Conclusi, poggiando a terra la spada che mi aveva dato Lin-Yu e muovendo un paio di passi verso il nemico, con le mani sollevate.

«Fermati, è una pazzia!» gridò la Farfalla.

Le rivolsi uno sguardo rassicurante. «Tutto il piano lo è! Quel che conta è riuscire a parlare alla regina e, se esiste un modo per farlo che non implichi ulteriore spargimento di sangue, di certo è quello che sceglierò.»

La guardia si portò alle mie spalle, rinfoderò l'arma ed estrasse da un secondo fodero un pugnale, che mi puntò alla schiena, sfiorandola con la punta.

«Se tentate qualche scherzo, lei sarà la prima a lasciarci le penne!» minacciò, quindi soggiunse, a voce più bassa in modo che solo io potessi udirlo: «Dammi un motivo per pensare che vuoi far del male a sua maestà, e ti ammazzerò all'istante. Chiaro?»

Quando annuii, mi indicò con un cenno del capo i pesanti battenti di legno.

Col cuore che pompava a mille, ne aprii uno e mi infilai negli appartamenti della regina.

Mi aveva un po' sorpreso che fossimo entrati senza farci annunciare, ma ne compresi subito il motivo: il locale a cui avevamo avuto accesso era soltanto un'anticamera, con comode sedie imbottite disposte lungo le pareti, e un armadio a muro con l'anta scorrevole socchiusa. Dal lato opposto all'ingresso c'era un'altra porta, più semplice e modesta di quella che avevamo appena varcato.

«Io sono Ash, comunque. Piacere di conoscerti.»

Il militare mi squadrò dall'alto in basso, inarcando un sopracciglio. Quindi si lasciò andare ad un risolino divertito. «Sei proprio un bel tipo, eh! Io mi chiamo Brendan.»

Superandomi, bussò alla porta e, quando una voce dall'interno rispose, comunicò che un ambasciatore era giunto dal Formicaio.

«Che entri!» giunse il suono da oltre l'uscio, dopo un silenzio che mi parve interminabile.

«Quando sarai al cospetto della regina ti inginocchierai. Aspetterai il suo permesso per parlare, e ti rivolgerai a lei dandole del voi e chiamandola "Vostra Maestà". »
Mi diede istruzioni il mio accompagnatore, aprendo al contempo la porta. Avevo già ricevuto simili indicazioni da Duncan, ma lo ringraziai ugualmente.

«E non ti scordare che io sarò sempre a un passo da te!» concluse, agitandomi il coltello davanti alla faccia.

Mi limitai ad annuire, ed entrai.

L'anticamera dava accesso a un salotto grande quanto tutto l'appartamento di mia madre.

C'era una gran quantità di poltrone, assembrate a gruppi di tre o quattro intorno a dei bassi tavolini di legno lucido. A quanto pareva, la regina soleva tenere là ricevimenti e incontri informali.

Da un lato della sala trovavano posto un divano circolare, uno scrittoio, un mobiletto su cui faceva bella mostra di sé un campionario di bottiglie e bottigliette di vetro delle più svariate forme e dimensioni, e addirittura un piccolo pianoforte.

Le pareti erano dipinte a strisce gialle e nere, i colori dell'Alveare, e zeppe di ritratti e fotografie di personaggi che, dall'abbigliamento, ipotizzai essere sovrani del passato.
Ai due lati della porta che conduceva alle stanze private della regnante, di forma esagonale come quasi tutte in quel luogo, stavano in piedi due paggi, anch'essi in livrea gialla e nera, pronti a soddisfare qualsiasi richiesta della donna.

La massima autorità dell'Alveare ci attendeva seduta sul sofà, con le mani giunte in grembo. Indossava un semplice vestito verde senza fronzoli, impreziosito solo da alcuni delicati ricami dorati sugli orli. Gli unici gioielli che aveva addosso erano l'anello simbolo del suo potere, un semplice pendente attaccato a una collanina sottile, e un diadema con perle d'ambra, in sostituzione della grossa corona che veniva tramandata di generazione in generazione, e di certo doveva essere troppo pesante per il suo collo affaticato dagli anni.

A prima vista sembrava una qualsiasi nonnina, ma l'intensità dello sguardo che mi puntò addosso mentre mi genuflettevo dinanzi a lei, mi diede l'impressione che in quel corpo anziano albergasse una mente ancora giovane e vivace.

«Una ambasciatrice, eh?» esordì con voce melodiosa e vagamente stridula, invitandomi al contempo a rialzarmi, con un elegante gesto della mano.
«Non sei vestita come un dirigente del Formicaio.» notò poi.

«Non lo sono, infatti. Vostra Maestà, sono qui in rappresentanza dell'Esercito dei Popoli Liberi.»

«Capisco. Ad ogni modo, se sei qui per trattare, temo che ti stia rivolgendo alla persona sbagliata.»

C'era una nota di rassegnata amarezza, nella sua voce.

«Non ho intenzione di arrendermi!» ritorsi, piccata. Cominciai a pensare che forse la regina non era la persona che credeva Duncan. Che i recenti avvenimenti l'avessero fiaccata? Che si fosse ormai data per vinta?

Le spiegai chi eravamo, cosa avevamo fatto fino a quel momento, e qual era il nostro piano.

«Ammiro la tua passione, ma non credo di poter fare granché per aiutarti: come vedi, sono confinata qui.»

«Il nostro capo, Duncan l'Ape, è convinto che la congiura coinvolga solo un ristretto numero di militari. La maggior parte dei suoi sudditi le è ancora fedele, ed è convinta che le Formiche abbiano iniziato questa guerra, obbligandoli a difendersi. Ma se sarete voi a spiegare come stanno in realtà le cose, vi crederanno.»

«Aspetta... Il comandante della resistenza contro l'Alveare... È un'Ape?»
«Sì, Vostra Maestà. Forse lo ricorderete: è stato arrestato il giorno della vostra deposizione.»

La donna aggrottò per un attimo le sopracciglia, quindi annuì con convinzione. «Lo ricordo.» confermò.

«E si dà il caso che sia anche il mio fidanzato.» rincarai, giocandomi la carta della coppia mista, che spesso causava scalpore.

Se la regina ne fu sorpresa, però, non lo diede affatto a vedere. «Capisco.» si limitò a commentare.

«Il mondo sta cambiando!» insistetti, vedendo che la conversazione non proseguiva. «Da questi avvenimenti terribili può scaturire qualcosa di meraviglioso: una nuova società, equa e paritaria, dove tutti avranno gli stessi diritti, a prescindere dal sesso, dal ceto sociale, perfino dalla tribù di origine!»
Sperando di colpirla, mi inginocchiai di nuovo. «Vi imploro, vostra maestà. Non lasciate che questa occasione vada sprecata! È nostro dovere mettercela tutta per cercare di porre fine a questi massacri, e gettare le basi per un diverso futuro!»

L'anziana rimase a lungo in silenzio, guardando un punto oltre me, pensosa.

Le lasciai il tempo necessario ad elaborare la risposta, senza forzarla, nonostante fossi terrorizzata all'idea che altri nemici potessero sorprendere i miei compagni, là fuori.

«Mi ricordi molto me stessa da giovane.» disse infine la donna, senza però rivolgermi ancora la propria attenzione. «Sono stata incoronata che avevo all'incirca la tua età. All'epoca, coltivavo il sogno di una società diversa, come hai detto tu.
Con uno dei miei primi decreti, spostai le fabbriche al livello del terreno e creai interi quartieri per i lavoratori. Aprii questa nuova area a chiunque, di qualunque etnia.»

All'improvviso voltò la testa e mi fissò. Io feci di sì con la testa, per farle capire che la stavo ascoltando e invogliarla così a proseguire.

«Il fallimento di quel progetto è sotto gli occhi di tutti. Le uniche cose che sono riuscita a costruire sono povertà, sfruttamento, prostituzione. I quartieri operai sono stati ribattezzati "quartieri poveri", e chi ci vive è considerato appena meglio di un animale.»

Presi fiato per ribattere, ma Brendan mi diede un colpetto con il gomito: la regina non aveva ancora finito.

«Ascoltando te, adesso, credo di aver capito perché quell'iniziativa sia naufragata miseramente: si tratta di un vizio di forma, una questione di mentalità. Pur nelle mie buone intenzioni, nemmeno io sono riuscita a prescindere da quel senso di superiorità che ci viene inculcato fin da piccoli. Il mio scopo era condividere anche con gli altri popoli i nostri valori, la nostra tecnologia, la nostra cultura. Ma di fatto, gli abbiamo imposto tutte queste cose. Non abbiamo saputo accogliere le loro diversità.»

Ad un suo cenno, entrambi i paggi si precipitarono al suo fianco: mentre uno le porgeva il braccio, per aiutarla ad alzarsi, l'altro le portò il bastone.

La donna barcollò per un attimo, il polso stretto intorno al manico di legno che tremava vistosamente, quindi trovò l'equilibrio e, fatti un paio di passi, mi posò una mano sulla spalla e mi invitò a rialzarmi.

«Io credo che tu possa realizzare quanto dici, perché nella tua mente tutti sono davvero uguali. E perché, di fatto, ci sei già riuscita, da quel che racconti. Dunque, dimmi che cosa ti aspetti da me e, se è in mio potere, te lo concederò senz'altro.»

Ero così felice da essere commossa e, senza riuscire a controllarmi, abbracciai quella nonnina dal lungo passato, che ancora non aveva rinunciato ai suoi sogni.

«Hey!» esclamò il pretoriape, afferrandomi rudemente il gomito. Ma, superata l'iniziale sorpresa, la sovrana minimizzò con un gesto e ricambiò la mia stretta.

«Invidio un po' la tua passione... e la tua giovinezza.» ridacchiò, strizzandomi l'occhio mentre ci separavamo.

«Vostra Maestà... serve un vostro comunicato. La vostra voce, il vostro viso, dovranno raggiungere tutti i vostri sudditi, mentre spiegate loro che la guerra è stata provocata dalla sete di potere di un ristretto gruppo, e niente di ciò di cui sono accusate le Formiche risponde a verità; così come non è vero che gli altri popoli le abbiano appoggiate. Noi speriamo che, quando capiranno la situazione, i vostri compatrioti faranno marcia indietro.»

«Va bene. Proviamoci.» La regina si raddrizzò, e improvvisamente mi sembrò ringiovanita. «Maggiore Brendan, crede di potermi assicurare il trasferimento in sicurezza fino alla sala stampa, a questo stesso piano?»

Il pretoriape si mise sull'attenti, portandosi al contempo il pugno al petto. «Vostra Maestà, la mia vita vi appartiene. Mi avevano detto che eravate indisposta, e di non permettere a nessuno di disturbarvi. Se solo avessi immaginato...»

Lei lo interruppe. «Non c'era ragione di mettervi in pericolo, fino ad ora.»

Senza dire altro, uscimmo.

I paggi si strinsero intorno alla sovrana: anche se non erano armati, le avrebbero fatto scudo con il proprio corpo, in caso di attacco. I pretoriapi aprirono la strada, e il nostro gruppo chiuse la processione.

Percorremmo in silenzio i corridoi ma, proprio davanti alla nostra meta (identificata in modo inequivocabile da un cartello con un'immagine e una scritta, in pieno stile Alveare) venimmo intercettati da un nutrito gruppo di soldati. A guidarli c'era un vecchio generale, con folti baffi a manubrio.

«Vostra Maestà, devo chiedervi di fare immediatamente ritorno ai vostri appartamenti. C'è un'invasione, è pericoloso.» esordì quello.
Alle sue spalle, i militari avevano già le spade sguainate.

«Non corro alcun pericolo: come vedete, mi sono procurata una bella scorta.» ribatté la regina.
«Ciò che chiamate "scorta" , in realtà non è altro che una compagnia di nemici della Corona. Ne siete consapevole?»
«Ciononostante, non sono loro a puntarmi le armi contro.» osservò la donna.
«Vostra Maestà, non sapete più discernere tra la realtà e la fantasia. Devo chiedervi di accettare di farvi riaccompagnare nei vostri appartamenti, senza opporre resistenza.»

«Come osi dare ordini alla nostra Regina!» sbottò Brendan.

«Questa ragazza mi ha svegliato dal torpore in cui ero caduta.» intervenne la governante, indicandomi con il braccio.
«Ho finalmente deciso di reagire e fare la mia parte. Ora, levatevi di mezzo, tutti quanti!» concluse, alzando il tono. La sua voce squillante vibrò, saturando l'ambiente. Era quella di chi è abituato a comandare, e i nostri oppositori arretrarono, leggermente a disagio, abbassando le armi.

«Non ascoltate, uomini! Anzi, arrestate la regina: è stata plagiata dal nemico!»

Nessuno si mosse per attaccarci; addirittura, i sottoposti si ammassarono lungo le pareti, gettandosi sguardi smarriti l'uno con l'altro.

«Che cosa state aspettando? Ubbidite!» berciò l'anziano ufficiale.

Brendan sfoderò la sua gigantesca scimitarra e fece un passo avanti . «La regina ti ha appena dato un ordine. Fatti da parte, inginocchiati ed implora la sua clemenza per il modo in cui ti sei rivolto a lei. In caso contrario, ti giustizierò personalmente come traditore.»

«Giustiziarmi?» s'inalberò il generale. «Bada a come parli! Io ti sono superiore in grado, e tu mi devi rispetto e obbedienza!»

«La mia obbedienza è solo per la Regina, e i pretoriapi non fanno parte della normale gerarchia militare. Ora fai la tua scelta, vecchio: non te lo ripeterò.»

Per una manciata di secondi, i due guerrieri si guardarono in cagnesco, nel silenzio più assoluto.

Quindi, il generale sguainò la spada e, sotto il mio sguardo esterrefatto, attaccò Brendan.

Non so cosa pensasse di fare. Era un uomo anziano, che probabilmente non impugnava un'arma né tantomeno si allenava da anni, contrapposto a un giovane nel massimo del suo vigore, rappresentante dell'élite militare dell'Alveare.

Fu uno scontro molto breve. Le lame si scontrarono per due volte, quindi ci fu un urlo terribile e lo sconfitto si scostò, portandosi la mano al moncherino sanguinante: un terribile fendente del pretoriape gli aveva reciso di netto il braccio destro, poco sotto il gomito.

«Non ucciderlo!» ordinò la regina, bloccando la sua guardia del corpo con l'enorme scimitarra già sollevata dietro la testa. «Dovrà essere giudicato per i suoi crimini.»
Quindi si rivolse agli altri soldati. «Due di voi lo portino in ospedale. Il Generale Sullivan è destituito da ogni incarico, e privato del suo grado con effetto immediato. Ciò significa che ogni suo ordine non ha più alcun valore. È chiaro?»
Non attese conferme, prima di dare ulteriori disposizioni: «Tutti gli altri, state fermi qui e impedite a chiunque di disturbarci.»

«Sì, Vostra Maestà!» risposero in coro i soldati.

Mentre entravamo nella sala comunicazioni insieme alla Regina, gettai una fugace occhiata al ferito, che veniva trascinato via a forza di braccia, piagnucolante come un bambino.

Nonostante tutto, non potei fare a meno di provare una gran pena per lui.

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