61. Il volo del Calabrone
DUNCAN
Anziché puntare sul nemico, ci dirigemmo nella direzione opposta, salendo al contempo di quota il più in fretta possibile. Da sempre, la tecnica d'attacco delle Vespe consisteva nel celarsi alla vista volando ad altitudini elevate, per poi piombare di sorpresa sulle prede ignare, cogliendole alla sprovvista. Superare certe quote è pericoloso, perché i venti sono più forti e possono far perdere facilmente il controllo del mezzo; ma si sa, i pirati fanno del rischio il proprio vanto, e per fortuna quella mattina c'era solo una lieve brezza.
Fui proprio io a fare da aereo-spia, ponendomi un po' più in basso dei miei commilitoni, in modo da individuare il bersaglio.
Di lassù, qualsiasi aeroplano avrebbe dovuto apparirmi come un minuscolo puntino scuro. Invece, l'arma finale dell'Alveare era grande quasi quanto il mio piede.
«Ci siamo!» Esclamai, rompendo per la prima volta il silenzio radio e comunicando agli altri le coordinate dell'obiettivo che avevo calcolato.
«È proprio sotto di noi, meno di venti rami più avanti.»
«Ricevuto.» rispose subito la voce cristallina di Capitan Velluto. «Prepararsi alla manovra d'attacco! Tutti insieme!»
Anche se non potevo vederli, immaginai sopra di me gli aerei che cabravano, pronti a tuffarsi quasi in verticale a una velocità vertiginosa. Io non potevo prendere parte a quella picchiata, non avendo il tempo di salire a sufficienza. Anzi, per non rischiare di essere d'intralcio, fui costretto a rallentare, e cominciai la discesa che mi avrebbe consentito di partecipare alla seconda fase della battaglia.
La cosa positiva era che avevo un punto di osservazione unico su quanto stava per accadere.
«Non si vedono Fuchi di scorta... Ma tenete gli occhi aperti.» consigliai.
«È una mia impressione, o quel coso è maledettamente più grande di quanto ci aspettavamo?» Intervenne Takoda, escludendo la radio, rivolto a noi soli. «Tipo molto, molto, molto, molto...»
«Finiscila. Non sei di aiuto.» tentò di zittirlo Håvard.
«...molto più grande?» concluse lui, imperterrito.
«Calmati. Magari è grosso e fesso.» intervenni.
«Grosso e fesso: parla di te, pelle-di-latte.»
«Attento a quel che dici!» lo avvertì il gigante.
«Ma che c'entro io? L'ha detto lui!» si giustificò l'Idrometra.
«Ape, digli che non stavi parlando di me.»
«Dicevo del Calabrone.» confermai.
Per un brevissimo istante, calò il silenzio. Ma con Takoda, non poteva durare a lungo.
«Ops! Se sentite puzza... Beh, potrebbe essermene scappata una.»
«Spero per te che tu stia scherzando, testa rossa!» tuonò l'Onisco, facendo vibrare l'intera cabina col suo vocione. «Altrimenti, per tapparmi il naso userò le tue viscere!»
«Beh, non mi sembra un grande affare: considerando che è proprio da lì che arriva il gas, dubito siano profumate.»
Ridacchiai. Tutto sommato, anche Takoda aveva la stoffa del pirata.
Che equipaggio saremmo stati!
Vespe e Zanzare tagliarono il cielo davanti a noi. Erano talmente rapide da sembrare solo delle strisce scure. Gli equipaggi non provenienti da Favo, non avvezzi a quelle evoluzioni pericolose, si erano separati dal gruppo e mi si accodarono.
I bucanieri non disponevano di missili, e i tecnici delle Bugs' Industries non possedevano la tecnologia per fabbricarli; tuttavia, erano comunque riusciti ad assemblare delle bombe di forma ovoidale che, sebbene prive di propulsione, ben si prestavano ad essere sganciate da un aereo in corsa, ed erano progettate per esplodere all'impatto.
Tutti i velivoli si liberarono di tale carico, allargandosi poi a raggiera intorno all'obiettivo.
La fortezza volante venne avvolta dalle fiamme, le esplosioni sembravano fiori di fuoco, che sbocciavano e appassivano in pochi istanti.
«Sì! Beccati questo!» gioì Takoda.
Ma c'era poco di cui esultare. Il mostro metallico emerse indenne da quell'inferno, volute di fumo scuro spiravano intorno alle immense ali.
«Non è possibile!»
Anche io mi sporsi a guardare meglio. Per quanto sembrasse incredibile, né la carlinga né le ali avevano riportato danni. Poi, dei portelli vennero aperti lungo tutta la superficie del velivolo nemico, e da essi fuoriuscirono delle mitragliatrici pesanti.
Mi pareva che avessero qualcosa di familiare, così mi avvicinai, aguzzando la vista, e riconobbi non solo le armi, ma anche il supporto giroscopico su cui erano montate: si trattava dei mitragliatori a tiro rapido dei Ragni, che avevo visto in azione contro i Fuchi, ad Aràcnia.
A quanto pareva, dopo aver conquistato la città, Winthrop se ne era impadronito, e aveva pensato bene di montarle sul suo giocattolo nuovo.
«Fate attenzione!» gridai nel microfono. «Hanno delle armi con cadenza di tiro...» ma non riuscii a completare la frase. Un torrente di proiettili si riversò dal Calabrone in ogni direzione, e tutti fummo costretti a mettere in atto manovre evasive, allontanandoci in fretta. Quattro dei nostri furono colpiti già in quella prima controffensiva.
Un velivolo esplose lì dove era stato colto dal fuoco nemico, mentre gli altri precipitarono.
Poi, il vano di carico posteriore venne spalancato, e i Fuchi vennero sganciati, uno alla volta. Uscivano con i motori accesi e le ali già tese, in modo da poter prendere subito il volo.
«Dividiamoci come previsto!» sbraitò Capitan Velluto, adattandosi alla situazione. «Chi ha scelto di fare il cacciatore di Fuchi non è più disoccupato. Tutti gli altri, tentiamo di concentrarci sulle ali. Forza!»
Da parte mia, ordinai ai due che mi seguivano di starmi dietro, e mi gettai a mia volta nella mischia.
Le Zanzare erano equipaggiate con due mitragliatrici: oltre alla torretta in cui si trovava Takoda, c'era anche un'altra coppia di bocche da fuoco, che spuntavano dal muso del velivolo e potevano essere attivate direttamente dal pilota.
«Tenterò un passaggio sulle ali avvicinandomi dal fianco: tu coprici le spalle!»
«Ricevuto!» mi rassicurò Takoda.
Mi avvicinai a gran velocità, cercando di seguire traiettorie imprevedibili per non essere preso di mira dal nemico. Il mio artigliere si comportava da professionista consumato, sparando solo quando era necessario, per risparmiare munizioni.
Quando giunsi nei pressi del mio obiettivo, presi quota, inclinai il muso, e innaffiai di proiettili l'ala sinistra del Calabrone.
Nemmeno un colpo sembrò andare a segno, nonostante io fossi certo di aver mirato bene.
Mi disimpegnai, cercando di evitare il fuoco delle torrette giroscopiche, e osservai una Vespa imitare il mio tentativo, con lo stesso esito.
A quel punto, capii. «Le ali sono così grosse che la turbolenza creata dal loro movimento crea una sorta di muro d'aria impenetrabile!» spiegai. «È come se fossero circondate da uno scudo invisibile, generato dall'alternarsi delle zone di depressione!»
«Ok, genio!» replicò subito Capitan Velluto «e quindi, come lo spegniamo?»
«Vediamo se resiste anche all'artiglieria pesante!» propose Takoda.
«Buona idea.» concordai: noi non avevamo ancora sganciato la nostra bomba, eravamo tra i pochi velivoli ad averla ancora a disposizione.
«Nel frattempo, lasciate perdere le ali e concentratevi su quelle maledette bocche da fuoco a tiro rapido: cercate di metterne a tacere qualcuna!»
Premetti il pulsante che rilasciava i getti per l'accelerazione rapida, e mi lanciai in una salita a candela, lasciandomi alle spalle il combattimento, fino al momento di invertire la rotta.
Durante la picchiata, nonostante il rombo del motore, riuscii a distinguere lo scricchiolare del sedile dietro al mio, quando Håvard si puntellò con mani e piedi, urlando terrorizzato. Mi ritrovai a sperare che la mia guardia del corpo non spezzasse l'aereo in due con la sua forza erculea.
«Tieni chiusa la bocca, altrimenti rischi di morderti la lingua!»
Per una volta, Takoda non era ironico, e quel consiglio riuscì a far tornare in sé il nostro compagno. Sganciai la bomba al momento e nel punto perfetti, e fui sopraffatto dalla piacevole sensazione che mi coglieva quando riuscivo a fare qualcosa meglio degli altri.
Raddrizzai l'aereo e mi allontanai, mentre la granata proseguiva la sua discesa e impattava con violenza proprio al centro dell'ala.
«Che il dio Humus faccia vagare per l'eternità nelle Paludi dell'Oblio chi ha creato questa macchina infernale!» inveì Håvard, mentre recuperavo l'assetto e volavo intorno alla fortezza volante.
«Non vorrai dirmi che un ragazzone grande e grosso come te ha paura della velocità!»
«Riportami a terra, e vedremo quanto veloce sei capace di scappare!»
Stavolta non riuscii a ridere dei loro battibecchi. «Guardate... Non gli ha fatto nemmeno un graffio!»
Un silenzio carico di amarezza scese nella cabina, man mano che il fumo dell'esplosione si diradava e rivelava l'ala perfettamente integra.
«Comandante Duncan...» la voce del capo dei pirati gracchiò, resa metallica dalle cuffie. «Stiamo perdendo aerei a un ritmo allarmante, senza infliggere perdite degne di nota al nemico.
Se questa fosse un'operazione delle Vespe, avrei già ordinato la ritirata.»
Capii immediatamente il sottinteso: se non trovavo il modo di ribaltare la situazione, i miei alleati mi avrebbero abbandonato.
Mi guardai intorno: aveva ragione. Un paio di Fuchi perdevano fumo da danni di poco conto, mentre i nostri effettivi erano almeno dimezzati. Proprio in quel momento, una Zanzara precipitò.
Avevo lavorato con i tecnici di Elphitephoros per replicare il dispositivo di salvataggio del sergente O'Brian. Per l'alloggiamento dell'artigliere, dato che era orientato verso il basso, avevamo pensato di far espellere l'intera "bolla" che lo conteneva, e successivamente farla aprire e spiegare il paracadute. Per la prima volta, osservai questo meccanismo in azione, mentre il servente alle armi veniva sbalzato via.
Con il fiato sospeso, continuai a guardare l'aereo perdere quota ed avvitarsi su sé stesso.
"Lànciati, che aspetti!" pensai. Ma il velivolo esplose in una palla di fuoco, senza che il pilota fosse riuscito a mettersi in salvo. Distolsi lo sguardo, travolto dal senso di colpa.
«Duncan? Mi ricevi?» insistette la mia interlocutrice.
I pirati andavano forte negli attacchi lampo, ma erano soliti ritirarsi quando le cose volgevano al peggio.
Ripensai all'azione contro i Coleotteri: anche lì, dopo il mio intervento... all'improvviso, rievocando nella mia mente quel ricordo, ebbi un'idea.
«A tutti i velivoli: allontanatevi dal Calabrone, attirate i Fuchi dietro di voi e cercate di impegnarli!» ordinai. Quindi aggiunsi: «Velluto, mi ricevi?»
«Ti sento, parla!»
«Pensi di poter aprire quel portello, come hai fatto con il Coleottero?»
«Ci possiamo provare. Ma che hai in mente?»
«Non c'è tempo per spiegartelo. Procedi, ti copro io!»
Facemmo un largo giro, per dare la possibilità ai nostri compagni di eseguire i miei comandi. Poi puntammo con decisione verso la coda dell'arma finale.
«Ho notato che la parte centrale è scoperta. Cerca di mantenerti a quel livello!» consigliai all'avventuriera. Infatti, i mitragliatori giroscopici erano montati solo sulla parte superiore e inferiore del velivolo.
«Abbiamo compagnia!» m'informò Takoda.
Il trucco aveva funzionato solo in modo parziale: alcuni Fuchi erano rimasti a guardia del Calabrone.
«Non fermarti!» sbraitai alla corsara, quindi rallentai, in modo che il nemico potesse raggiungermi.
Quando lo ritenni abbastanza vicino, mi produssi in una manovra evasiva.
Convinto che stessi tentando la fuga, l'avversario mi ignorò, puntando sulla Vespa.
Fu un errore. Armeggiando con i comandi, sollevai il muso e mandai l'aereo in stallo, quindi lo mantenni fermo a mezz'aria. Al mio artigliere non serviva altro: il Fuco venne letteralmente sommerso da un torrente di proiettili. Il pilota avversario perse il controllo e precipitò.
Capitan Velluto aveva preferito restare fedele al proprio aeroplano, anziché passare al nuovo modello, e in quel momento gliene fui grato. Mentre si avvicinava alla sezione di coda del Calabrone, sulla pancia del suo velivolo si aprì un portello, da cui fuoriuscì la pinza a tre becchi che già avevo visto in azione.
Un altro Fuco la vide e cercò di fermarla, ma io mi interposi fra loro e puntai su di lui a tutta velocità, in linea retta.
«Che stai facendo? Così gli finiamo addosso!» si allarmò Takoda.
Per tutta risposta, aprii il fuoco e, quasi nello stesso istante, l'avversario fece altrettanto. Una grandinata di colpi si abbatté sulle paratie corazzate della Zanzara. Sentii un pannello accartocciarsi e poi staccarsi dal corpo principale, sbalzato via dal vento. Un paio di colpi perforarono il cristallo, per fortuna senza farlo scoppiare né ferire nessuno. Sapevo che anche il nemico era nelle stesse condizioni, e la distanza tra noi si assottigliava sempre di più: eravamo in piena rotta di collisione.
«Duncan!» implorò ancora il mio artigliere.
«Tieniti pronto!» replicai.
Tutte le Api credevano che i pirati fossero sanguinari, folli e disposti a tutto pur di vincere: ero certo che, a meno che avesse tendenze suicide, il pilota del Fuco avrebbe deviato per primo; e infatti un istante dopo egli smise di sparare ed effettuò una brusca virata.
«Ora!» Gridai.
Gli apparecchi nemici erano armi formidabili, ma potevano sparare solo davanti a sé; non così il nostro mezzo, che disponeva di una torretta indipendente.
Mi inclinai in modo da dare a Takoda il miglior angolo possibile, e lui fece cantare le proprie mitragliatrici.
Crivellato di colpi, il velivolo nemico prese fuoco e precipitò, avvolto in una nube di denso fumo nero. Guardandolo, venni colto da un crescente senso di ansia, e mi ritrovai a sperare che alla guida non ci fosse nessuno che conoscessi.
Nel frattempo, Capitan Velluto era riuscita ad agganciare il portello del vano di carico e, sotto i miei occhi, svolse completamente il cavo volando in semicerchio, quindi si tuffò in picchiata a tutta velocità. Raggiunta la sua massima estensione, il cavo si tese. L'acciaio rinforzato offrì resistenza per una frazione di secondo, poi si accartocciò e venne scardinato con violenza.
La via era sgombra, era il momento di mettere in atto il mio piano.
«Cercate di tenervi alla larga dal Calabrone, ma continuate a impegnare i Fuchi. Dategli un motivo per non rientrare!» diedi disposizioni via radio, mentre mi allineavo col pavimento del vano di carico e rallentavo progressivamente.
Non avevo potuto impratichirmi troppo negli atterraggi con il nuovo velivolo, tuttavia riuscii a completarlo piuttosto bene, con soltanto qualche sobbalzo. Condussi poi la Zanzara a passo d'uomo, fino ad essere certo che le ruote combaciavano bene con gli appositi alloggiamenti a rulli, quindi spensi il motore.
Eravamo dentro.
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