60. Il diversivo
ASHLIE
Quando ebbi finito di alzarmi, rinfrescarmi, usufruire della latrina e fare colazione, scoprii che le nostre Farfalle erano al lavoro già da un po', per terminare e mettere in sicurezza la via ferrata.
Lin-Yu aveva svegliato i suoi uomini appena la pioggia aveva cominciato a calare di intensità, in modo che fossero pronti ad agire nel momento stesso in cui fosse cessata.
Appena ebbero terminato, fecero un segnale, e gli ingegneri dei Ragni cominciarono a inerpicarsi a loro volta su per l'erta, con sulle spalle zaini carichi di componenti meccanici.
Una volta raggiunta la sommità della parete rocciosa, li misero insieme, montando e fissando saldamente al suolo un grosso argano. Quindi calarono un gancio, attaccato all'estremità di un filo di seta intrecciato, cui collegammo i Macaoni, smontati e compattati per agevolarne il trasporto. Gli alianti erano l'ideale per avvicinarci di soppiatto all'obiettivo: non solo erano facili da trasportare, ma, essendo senza motore, sarebbero stati quasi impossibili da rilevare, dall'Alveare.
Giunse infine il momento delle separazioni.
L'audace piano di Duncan le prevedeva fin dall'inizio, ma io avrei preferito rimanere con i miei amici. Tutti però si aspettavano che fossi io a condurre la parte più avventata della spedizione, e soprattutto a parlare alla regina.
Abbracciai forte Tossina. Non c'erano stati dubbi nell'affidare a lui il comando del contingente più grosso, quello che avrebbe dovuto fungere da diversivo.
«Mi dispiace di non poterti proteggere il fianco.» osservai, sincera.
L'altro si strinse nelle spalle. «Ho già trovato un rimpiazzo.» spiegò, indicando col pollice Gawayn che, due passi dietro di lui, aspettava di potermi salutare a sua volta.
«In confronto a te, è un vero incapace.» soggiunse, sporgendosi in avanti e facendosi schermo con la mano, in modo da non essere udito. «Ma forse posso usarlo come scudo umano!»
Ridacchiai coprendomi la bocca, grata per quell'allentamento di tensione.
Mi accomiatai allo stesso modo anche dall'amico d'infanzia, anche se noi rimanemmo più a lungo l'uno fra le braccia dell'altra.
«Fai attenzione, là fuori. Non essere imprudente.» Mi raccomandai, sforzandomi di trattenere le lacrime. Non riuscivo proprio a vederlo nei panni del soldato, ma non avevo diritto di oppormi, se voleva fare la propria parte.
Lui sorrise. «Questa è la mia battuta. Mi hai mai visto commettere imprudenze?»
«Solo quando io ti ho spinto a farlo.» Ammisi.
«Non preoccuparti: con Tossina accanto a me, non può accadermi niente di male. Tu, piuttosto, guardati le spalle.»
A dire la verità, era proprio la vicinanza del comandante di cui si era invaghito, a preoccuparmi: temevo che, pur di mettersi in mostra, potesse fare qualche sciocchezza. Ma non era il caso di approfondire l'argomento in quel frangente, così gli augurai buona fortuna e feci per andarmene.
Con mia sorpresa, anche il comandante degli Onischi, un sottoposto di Håvard di nome Alf, venne a rendermi omaggio.
«Insisto che fareste bene a portarvi qualcuno dei miei uomini.» tuonò col suo vocione roboante.
«I Macaoni possono trasportare soltanto due persone leggere e di corporatura minuta; nessuno dei suoi corrisponde a questa descrizione.» ridacchiai.
Vedendolo accigliarsi, aggiunsi sorridendo: «E poi, non voglio frammentare la vostra unità, che può fare la differenza tra successo e sconfitta qui, a terra.»
Quell'ultima osservazione sembrò rabbonirlo.
L'omone, di poco più basso del suo superiore, ma decisamente meno massiccio, mi porse la mano. «Spero di non dovermi pentire di essermi fatto convincere.» osservò.
«Non si preoccupi. Stasera festeggeremo insieme.» gli assicurai.
***
Quando, dall'inizio del percorso che dovevo affrontare, mi sporsi a guardare verso l'alto, pensai che, se fossi riuscita a sopravvivere a quell'insieme di cavi, ganci e moschettoni, niente avrebbe più potuto nuocermi.
«Metti un piede dietro l'altro, non guardare mai giù, e andrà tutto bene.» Mi assicurò Lin Yu, posandomi una mano sulla spalla. Annuii e mi sforzai di deglutire, ma avevo la bocca secca.
La donna prese l'estremità di un cavo, e lo agganciò a un occhiello posto sull'imbragatura che avevo appena finito di indossare. «Fai quel che faccio io, non avere fretta, e soprattutto ricorda: devi sempre avere almeno un moschettone agganciato al cavo di sicurezza.»
Fu impegnativo, anche se per certi versi meno spaventoso rispetto alla scalata del girasole.
Quante cose erano successe da allora!
Quei giorni sereni, in cui mi mettevo in pericolo soltanto a causa della mia stupidità, sembravano lontani anni interi.
Lin-Yu era una presenza rassicurante: sempre calma e misurata, mi dava consigli con pazienza, e mi faceva parlare per aiutarmi a non cadere preda del panico.
«È la prima volta che ti arrampichi?»
«Non proprio... Una volta sono salita in cima a un girasole, senza corde né ganci.»
«E ti preoccupi di questo? In confronto, sarà una passeggiata, per te!»
«Se lo dici tu...»
«Andiamo! Così legata, non riuscirei a farti cadere nemmeno impegnandomi!»
«Questo dovrebbe rassicurarmi?»
«Mi dispiace solo che, con tutta quest'acqua, tu non possa ammirare il paesaggio. Sono certa che la vista deve essere magnifica, da qui.»
«Ma se è ancora buio!»
«Beh, almeno potresti ammirare le stelle.»
Raggiunsi la sommità quasi senza accorgermene, esausta ma soddisfatta.
Strisciai sul ventre finché mi fui allontanata a sufficienza dal bordo del precipizio, quindi mi stesi sulla schiena a quattro di bastoni, sforzandomi di regolarizzare il respiro.
«Non è stato così terribile, in fondo. Vero?» rise la Farfalla.
Mancava poco all'alba, il cielo cominciava a rischiararsi e, in effetti, il panorama era mozzafiato, e sarebbe stato ancora più bello durante il giorno. Al momento, distinguevo a malapena il profilo della foresta e , in lontananza, il lieve scintillio del Mar Pozzanghera, oltre il banco di nebbia perenne e la massa di spuma bianca che, sotto di noi, sembrava un cuscino soffice. Già così, era incredibile: non ero mai stata così in alto in tutta la mia vita.
Al contrario di me, le altre Farfalle non avevano bisogno di riprendere fiato: canticchiando un motivetto in coro, avevano già cominciato ad assemblare gli alianti ultraleggeri.
Questo tipo di velivolo era stato progettato appositamente per questo scopo, di modo che, se non c'era abbastanza vento per decollare, ce lo si poteva caricare in spalla.
Gli uomini erano addestrati in quella mansione; in capo a pochi minuti tutto era pronto per il decollo.
Disponevamo di dodici Macaoni: con le navi, non era stato possibile trasportarne di più. Ognuno avrebbe portato due persone; la nostra spedizione ne contava, dunque, ventiquattro.
Ventiquattro pazzi che pensavano di poter cambiare le carte in tavola.
Ora che mi trovavo lì, al cospetto del nostro esiguo numero, l'intero progetto mi sembrava ancora più folle e irrealizzabile.
Lin-Yu dichiarò che il tempo era perfetto per volare, dopo di che tutti presero posizione.
Ancora una volta, avrei fatto coppia con lei.
Aveva promesso a Duncan di proteggermi... Come metà della spedizione, del resto, a quanto pareva.
Non c'erano sedili su quel mezzo, ibrido fra aliante e deltaplano. La stessa imbragatura che avevo usato per l'arrampicata venne agganciata al telaio, quindi impugnai una sorta di manubrio che pendeva dalla struttura e, all'unisono con la mia compagna, sollevai il velivolo, facendo in modo che le due ruote posteriori toccassero terra, e la parte anteriore puntasse verso l'alto.
«Pronta a correre, Formica?»
Senza attendere risposta, Lin-Yu spinse in avanti una leva posta davanti alla sua testa, e un meccanismo spiegò del tutto la grande superficie alare, con uno scatto metallico. Subito la lieve brezza del mattino tese il patagio, e il Macaone scattò in avanti, quasi sfuggendomi di mano, scalpitando come un afide selvaggio.
«Via!» gridò la farfalla, lanciandosi in avanti con la propria barra stretta al petto.
Nonostante fossi più alta di lei, faticai a tenere il passo.
Corremmo a perdifiato, e ad un certo punto mi resi conto che i miei piedi non stavano più toccando terra. Mi sfuggì un gridolino misto di paura ed eccitazione.
«Smettila di sgambettare come un neonato, ci sbilanci!» sbraitò il comandante delle Farfalle, voltandosi leggermente nella mia direzione per essere certa che la potessi udire.
«Premi il pulsante al centro della barra di supporto!»
Quando lo feci, un'asta telescopica non più grossa di un manico di scopa fuoriuscì dall'estremità inferiore del manubrio e, spinta da una potente molla, si allungò rapidamente. Notai che la struttura aveva forma di "T" rovesciata, e terminava con due manicotti morbidi, sui quali appoggiai i piedi.
In un attimo, il velivolo si stabilizzò e cessò di vibrare.
«Ben fatto!» approvò il pilota. «Ora vediamo che sa fare questa vecchia carcassa!» esclamò, dirigendosi verso il fiume. L'acqua ribolliva davanti a noi, prima di gettarsi nel vuoto, dando vita alle Cascate Bianche.
Lin-Yu puntò verso l'alto, e il Macaone l'assecondò, prendendo quota ma rallentando vistosamente. Quando aveva quasi esaurito l'inerzia, la donna lo fece tuffare di nuovo in basso, con un angolo poco accentuato. Il deltaplano scese dapprima dolcemente, poi acquistò via via velocità. Quando i nostri piedi sfioravano la superficie del fiume, la donna lo fece salire di nuovo, e ripeté la manovra di prima.
«Questa tecnica si chiama "volo intermittente", ed è molto utile per coprire grandi distanze anche quando c'è poco vento!» spiegò, sempre gridando. «La useremo anche per raggiungere l'Alveare, e speriamo che l'espediente sia valido per non farci beccare!»
Mi ero sempre considerata una persona coraggiosa, ma sorvolare le rapide spumeggianti appesa a quella sottospecie di aquilone mi mise seriamente alla prova.
Alla fine raggiungemmo indenni la riva opposta; le ali dei Macaoni vennero nuovamente ripiegate, e noi tutti ci appostammo sulla cresta.
Il canyon non correva dritto, ma seguiva un lieve arco, così che la cascata sporgeva in fuori rispetto all'Alveare, rendendo quel luogo un ottimo punto di osservazione, che ci permetteva di tenere d'occhio sia il quartier generale nemico, sia quel che succedeva a terra.
«Adesso arriva la parte noiosa.» commentò Lin-Yu che, sedendosi a gambe incrociate, chiuse gli occhi e ne approfittò per meditare.
Man mano che il tempo trascorreva, sentivo l'ansia montare. Jacinta voleva dare il via alla sua protesta prima dell'inizio del turno di lavoro, ma ovviamente non potevamo arrischiarci a cominciare finché il Calabrone non fosse decollato, col rischio che quell'imprevisto potesse ritardare, o peggio ancora annullare, la partenza. Invidiavo la mia compagna che, estraneata dal mondo, continuava semplicemente a respirare.
Quanto avrei voluto riuscirci anche io!
Quasi avesse letto i miei pensieri, lei si riscosse e notò: «Il tuo Flip è simile a quello di Duncan, ma ancora più irrequieto.»
La fissai con aria interrogativa, e la donna riprese: «è inutile preoccuparsi tanto di ciò che potrebbe essere, fai solo del male a te stessa. Dovresti concentrarti di più sul presente, e affrontare le difficoltà man mano che si presentano.»
Non aveva nemmeno finito di parlare, che un violento colpo metallico risuonò dall'Alveare, quasi l'universo avesse voluto sottolineare il concetto.
Il grande soffitto a cupola dell'ultimo anello si spaccò in quattro parti e, come la buccia di un seme di tarassaco, cominciò ad aprirsi. Quando la piattaforma sollevò il Calabrone abbastanza in alto perché potessimo vederlo, non potei fare a meno di trasalire.
«Che il Polline ci protegga! È grande quasi quanto tutto l'edificio!»
«Magari non vola nemmeno.» ipotizzò Lin-Yu, speranzosa. «Forse la presunzione dei suoi inventori è stata troppa, e il suo stesso peso lo trascinerà a terra.»
Invece, il mostruoso velivolo imboccò senza incertezze la rampa appena assemblata da grossi bracci meccanici, si tuffò in avanti con un pronunciato angolo verso il basso, in picchiata, e a una decina di steli dal suolo si assestò e cominciò a prendere quota, puntando verso la casa della mia gente.
***
Per un attimo ammutolimmo tutti, al cospetto di quel gigante dei cieli. Il rombo dei suoi motori era simile al suono di una grande slavina, e si ripercuoteva per rami interi.
«Il nostro comandante se ne intende di volo, e anche Capitan Velluto sa il fatto suo.» cercò di tranquillizzarmi la mia compagna, prendendomi il braccio. «Sono certa che se la caveranno.»
Io evitai di guardarla in faccia. Sapevamo che l'arma definitiva era molto grande, ma non potevamo immaginarci qualcosa di simile. Cosa avrebbero potuto fare le nostre Zanzare? Anche se un branco di acari avesse tentato di attaccare una scolopendra adulta, non avrebbe potuto farle altro che infastidirla.
Ma il consiglio che avevo ricevuto era buono: dovevo concentrarmi sul presente e, per una volta, pensare un po' meno.
La fortezza volante non era ancora scomparsa all'orizzonte, che il fischio acuto della sirena di inizio turno squarciò il silenzio.
«Ci siamo.» notò la mia compagna. Imitandola, recuperai il binocolo dallo zainetto e lo puntai nei pressi del posto di guardia a livello del terreno, dove aveva cominciato a radunarsi una certa folla.
Jacinta non scherzava quando aveva detto che in molti avrebbero aderito: sulla spianata c'erano già almeno una sessantina di persone, e continuavano ad arrivarne altre. Molte agitavano cartelli che illustravano i motivi della rivolta: orari di lavoro, salario, diritto all'astensione per maternità, proibizione del licenziamento senza valida motivazione.
Ci avevano messo dentro un po' di tutto; erano come un bollitore messo sul fuoco da tempo, a cui avevamo improvvisamente applicato una valvola di sfogo. Il risentimento covato per anni ora veniva allo scoperto e, come il vapore compresso, lo faceva in modo violento.
Il corpo di guardia, composto da una dozzina di soldati, si fece incontro ai manifestanti con l'intento di disperderli, manganelli alla mano.
Jacinta fece due passi avanti e si mise a discutere col comandante. Ovviamente da quella distanza non potevo sentirli, e non ero nemmeno capace di leggere il labiale, ma mi resi comunque conto che i toni si stavano via via alzando. D'un tratto, con una rapidità davvero impressionante, la prostituta sfoderò il coltello e ne conficcò la lama per tutta la lunghezza nella clavicola dell'Ape. Prima che quest'ultima potesse reagire, la tramortì con una ginocchiata alle parti basse e la spinse a terra, recuperando al contempo il pugnale.
«Però!» commentò Lin-Yu «La tua nuova amica ha fegato!»
Io ero senza parole. In seguito, Jacinta mi avrebbe spiegato di aver colpito apposta un punto non vitale, ma di aver sentito di doverlo fare per dimostrare agli altri che facevano sul serio.
In effetti, quel gesto fu la miccia che fece esplodere i disordini.
I militari caricarono, pronti a far cantare i manganelli. Ma stavolta i rivoltosi non erano indifesi.
Zappe, badili, mazze da muratore e ogni altro oggetto utilizzabile come arma apparvero quasi per magia in mano agli operai, e quella che sembrava un'operazione semplice si trasformò in un massacro.
Un soldato strappò di mano il cartello a una donna dai capelli grigi, e la colpì violentemente alla testa. La poveretta stramazzò, ma il suo aguzzino venne raggiunto da un colpo di vanga al fianco, appena sotto le costole. Cadde in ginocchio e venne trucidato a badilate da almeno tre uomini.
Altri tre o quattro militari furono abbattuti, prima che gli altri si rendessero conto della gravità della situazione. Un sottufficiale, abbandonato il manganello, fece per sguainare la spada, ma un pesante martello lo raggiunse alla tempia prima che potesse riuscirci.
«Dolce Polline... È un mattatoio!» mi lasciai sfuggire, distogliendo lo sguardo.
Al mio fianco, il ministro delle Farfalle si limitò ad annuire con gravità.
Quando trovai il coraggio di puntare ancora il binocolo, la situazione si era stabilizzata in una sorta di stallo: i difensori superstiti si erano asserragliati nel posto di guardia, mentre i rivoltosi tentavano di sfondare la porta.
Era il momento della verità.
Secondo Duncan era probabile che, trattandosi soltanto di lavoratori in sciopero, le Api spedissero giù un contingente per sedare la rivolta. Ma era pur sempre possibile che, in quel particolare momento e con il Generale Supremo lontano dalla base, vincesse la linea della prudenza e si limitassero a seguire la procedura.
Il mio fidanzato era convinto che chiunque fosse al comando non avrebbe potuto tollerare simili episodi, proprio mentre aveva la responsabilità di mantenere l'ordine, e che, disprezzando coloro che riteneva inferiori, avrebbe sottovalutato la minaccia che potevano rappresentare.
Il tempo parve congelarsi, e mi sembrò che tutto stesse rimanendo invariato troppo a lungo.
I manifestanti insistevano con la porta. Le asce non erano riuscite ad avere ragione delle spesse tavole di legno, e ora stavano concentrando i colpi in prossimità dei cardini.
Mi stavo interrogando sull'assurdità di aver scommesso tutto sulla boria di quel popolo orgoglioso, quando le porte scorrevoli dell'enorme montacarichi si spalancarono, e da esso uscì un manipolo di soldati. A differenza delle guardie, il cui scopo principale era adempiere a funzioni di ordine pubblico e riportare le attività sospette, questi indossavano un equipaggiamento completo: armatura, casco, scudo e spada. In un attimo, i ruoli si invertirono: gli utensili spuntati nulla potevano contro le armi vere, e i nuovi arrivati cominciarono a mietere vittime senza difficoltà né pietà. Eccitati dal combattimento, si gettarono all'inseguimento del nemico, quando questi iniziò una ritirata disordinata.
Raggiunto il limitare del villaggio, però, si resero conto di essersi allontanati troppo, e rallentarono.
La controffensiva li colse completamente alla sprovvista: due ali dei nostri compagni sbucarono dai fianchi delle case, e li attaccarono dai lati, con una perfetta manovra a tenaglia. Riparandosi con gli scudi, le Api si ritrovarono a combattere schiena contro schiena per fronteggiare gli attaccanti, lasciando scoperta la parte centrale del loro schieramento, che ne era diventato il nuovo fianco. Stavano ancora cercando di riorganizzarsi, quando gli Onischi li caricarono proprio lì.
Non avevo mai visto in azione i famosi guerrieri di oltrerovo, e ne rimasi impressionata.
Con un impeto selvaggio, sfondarono le linee nemiche, penetrandovi come un coltello nel burro. La loro furia era tale che, al momento dell'impatto tra le due fazioni, vidi perfino un'Ape sbalzata in aria.
Alf, il loro comandante, combatteva con due asce bipenni, una per mano. Gli altri usavano grosse mazze, asce, o delle spade corte ma molto spesse, simili a mannaie troppo cresciute.
Me li ero immaginati tutti con la stessa arma di Håvard, ma poi mi avevano spiegato che quella mostruosità era stata costruita su misura per lui e il suo fisico esagerato; nessun altro sarebbe riuscito a maneggiarla.
Molti impugnavano due armi, nessuno usava lo scudo: le loro armature, forgiate con tecniche sconosciute da questa parte della Foresta di Spine, erano una protezione sufficiente.
Sembravano divinità infuriate, scese tra gli uomini per dispensare distruzione.
Attaccati ormai da tre distinte direzioni, i nostri avversari non avevano più alcuna speranza. Il nostro esercito li circondò, mentre gli Onischi li sbaragliarono senza apparente difficoltà.
Entro pochi minuti, chi non era morto si arrese.
Appena gli sconfitti furono disarmati e sotto controllo, un gruppo dei nostri si gettò di corsa verso l'ascensore: dovevano riuscire a impadronirsene prima che qualcuno pensasse a richiudere le porte, o il nostro diversivo sarebbe andato in fumo.
La guarnigione di stanza a livello del terreno era rimasta asserragliata all'interno della propria caserma, pronta a comunicare un peggioramento della situazione al coordinamento centrale dell'Alveare. Per fortuna, però, l'angolo che si era creato tra la loro base e le prime case del villaggio limitava la loro visuale, e poteva avergli impedito di distinguere quello che stava succedendo.
I nostri commilitoni corsero tenendosi al riparo delle case, in modo da restare nascosti; quando avevano quasi raggiunto l'obiettivo, si divisero in due gruppi: il primo, capitanato da Gawayn, proseguì verso il montacarichi; il secondo, più numeroso e all'interno del quale riconobbi Alf e Tossina, puntò direttamente sul corpo di guardia.
I lavoratori si erano già accaniti sull'uscio, compromettendone l'integrità.
Senza nemmeno rallentare, l'Onisco caricò come un animale ferito, e l'abbatté con un'unica, poderosa spallata. Trascinato dall'inerzia, piombò sul pavimento insieme al tavolato di legno, ma i suoi compagni erano pronti a proteggerlo. Tossina fu il primo a entrare, riuscii a intravederlo mentre faceva scudo ad Alf, dandogli la possibilità di rialzarsi.
In meno di un minuto era tutto finito. I nostri uscirono riportando soltanto tre prigionieri, di cui due feriti. Dopo aver neutralizzato e legato tutti i i superstiti, li rinchiusero in un magazzino poco distante, lasciando i rivoltosi a fare la guardia, armati con l'equipaggiamento sottratto ai vinti.
Infine, i nostri si stiparono tutti nel montacarichi; dopo un attimo, le porte si chiusero e non potemmo vederli più.
«Stanno salendo.» mormorai a bassa voce, quasi timorosa di farli scoprire.
«Il nemico non ha bloccato il montascale.» osservò Lin-Yu, compiaciuta. «A quanto pare, le guardie non hanno fatto in tempo a dare l'allarme.»
Si alzò in piedi e ripose il minuscolo binocolo. «Tutto sta andando come previsto. È ora di muoversi.»
Scrutai l'orizzonte, ma il Calabrone non si vedeva più.
Lasciai che il pensiero corresse all'ultimo baluardo difensivo del Formicaio.
"Che il Polline ti protegga, amore mio."
Poi cercai di concentrarmi sul presente, mi affrettai a raggiungere Lin-Yu e presi posto dietro a lei, sul Macaone.
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