59. L'attesa
DUNCAN
Trascorremmo i giorni di pioggia allenandoci.
Avevamo abbandonato la Cattedrale di Rovo in favore del Bazar Cetoniano, per paura che la pioggia rendesse impraticabile il tragitto, tagliandoci fuori dalle Zanzare.
Sorprendendomi, i tecnici delle Bugs' Industries avevano sviluppato dei simulatori di volo che, sebbene meno sofisticati di quelli in uso presso l'Alveare, erano altrettanto efficaci. Stabilii dei turni, in modo che tutti avessero la possibilità di mettersi alla prova, e feci proseguire anche l'addestramento fisico, per evitare che la gente avesse a disposizione troppo tempo per riflettere su quello che ci aspettava.
Mi mancavano i consigli e le riflessioni acute di Tossina, ma più di tutto era terribile non poter sapere nulla della spedizione inviata alle Cascate Bianche. Purtroppo, le intercettazioni erano il nostro peggior nemico: se i nostri antagonisti avessero avuto sentore di cosa stavamo facendo, avrebbero potuto modificare i loro piani, con conseguenze catastrofiche per noi.
Avevamo quindi deciso di imporci il silenzio radio, ma era davvero una tortura non poter sapere nemmeno se i nostri compagni erano arrivati tutti interi a destinazione.
Al pari degli altri, feci di tutto per tenermi impegnato, e concentrare tutte le mie energie fisiche e mentali sul momento presente.
Poi, finalmente, Takoda venne a svegliarmi nel cuore della notte, riferendomi che la pioggia era cessata.
La notizia si diffuse tra i nostri come un terremoto, e gli ufficiali ebbero il loro bel daffare a contenere l'eccitazione. Quando uscimmo per la prima volta scoprimmo che, come era prevedibile, il terreno oltre il piazzale del Bazar era ridotto a un pantano impraticabile.
Ma non era un grosso problema, fintanto che Elphitephoros era disposto a prestarci la sua barca.
La usammo per fare la spola fra il magazzino e l'accampamento dei pirati che, quando il maltempo si era fatto troppo intenso, era stato abbandonato, insieme alle Vespe.
L'idea di averli tutti insieme in poco spazio mi aveva inquietato non poco, ma alla fine era andato tutto bene e non c'erano stati disordini.
Anche la spiaggia era ridotta male, ma per fortuna sia le Vespe che le Zanzare potevano decollare in verticale, senza bisogno di lunghe piste.
Alle quattro del mattino, entrambi i gruppi erano pronti alla partenza.
Sempre osservando il silenzio radio, ci alzammo in volo e, con nient'altro che il contatto visivo per mantenerci in formazione, facemmo rotta per il Formicaio.
***
Fu una traversata veloce, favorita da una leggera brezza che spirava verso nordovest. Una nebbiolina densa e lattiginosa aleggiava appena sopra la sommità della foresta, conferendole un aspetto vagamente spettrale e inquietante. Ci mantenemmo appena sopra di essa, sfruttando le correnti ascensionali per risparmiare carburante.
Ero certo che avremmo raggiunto la nostra meta a tempo di record.
Quello sarebbe stato il momento più critico dell'operazione: non avevamo modo di conoscere il momento esatto in cui il Calabrone sarebbe arrivato in vista del proprio bersaglio, e non ci potevamo permettere il lusso di aspettarlo in volo, consumando le nostre scorte di combustibile nel frattempo.
L'appoggio della tribù di Ashlie era indispensabile.
Il piano prevedeva di aspettare a terra, nella zona pianeggiante oltre la recinzione. Ma la grossa domanda era: le Formiche, che erano già in massima allerta, ce l'avrebbero concesso?
Ero talmente in ansia al pensiero di cosa potesse andare storto, e impaziente di raggiungere la tappa intermedia, che pilotavo come un novellino, facendo imbarcare l'aereo e senza lesinare vibrazioni ai passeggeri.
«Volare fa schifo.» commentò Håvard.
«Nessuno ti ha chiesto di venire.» lo rimbeccai, acido.
L'Onisco aveva insistito da subito per accompagnarmi, nonostante l'avessi pregato di unirsi alle truppe di Ash e Tossina, dove di certo sarebbe stato più utile.
«Devo stare al tuo fianco per proteggerti: non posso farlo se rimango a terra.» aveva obiettato lui, testardo.
«Sulle Zanzare ci sono solo due posti, e il secondo è per il mio artigliere. Mi spiace.» ricordavo di aver detto, convinto di aver messo fine alla discussione.
Ma come suo solito, Takoda si era intromesso, osservando: «Non è del tutto vero. Il veicolo da addestramento ha tre posti.»
A niente erano valse le mie proteste e l'occhiata di disappunto che avevo riservato al mio amico dai capelli rossi: dopo aver appreso questa notizia, il gigante era stato irremovibile, e alla fine avevo dovuto cedere io. I tecnici avevano armato l'apparecchio che avevo usato per fare le selezioni dei piloti, e ora mi trovavo a condividere lo spazio con due chiacchieroni, anziché uno.
«Non farci caso, di solito va dritto. Deve essere nervoso.» notò Takoda.
«Quindi, non è così che dovrebbe fare?» s'informò Håvard.
«Certo che no!» replicò l'Idrometra.
«Non sono nervoso!» obiettai.
«Allora forse deve ancora prendere confidenza con i comandi.» considerò il mio artigliere.
«Mi fanno male le gambe.» si lamentò l'Onisco, la cui notevole mole era a stento contenuta dalla cabina.
«A me la testa.» borbottai.
«È per quello che non riesci ad andare dritto?» volle sapere Takoda.
Mi facevano impazzire, eppure dentro di me ringraziai il Polline che fossero lì con me, a distrarmi dai pensieri cupi. Prolungando all'infinito quella specie di battibecco, raggiungemmo lo spazio aereo del Formicaio senza nemmeno accorgercene.
Mi affiancai all'apparecchio di Capitan Velluto e le rivolsi un cenno, quindi cominciai la discesa.
Non aveva senso mettere in pericolo l'intera squadriglia: avevamo convenuto che soltanto io sarei atterrato, in un primo momento, e avrei parlato con i soldati.
Se tutto fosse andato secondo i piani avrei dovuto fare un segnale, in caso contrario, la soluzione alternativa consisteva nel far scendere tutti i mezzi sulle corolle dei fiori e le foglie adatte.
Ma la prima opzione era decisamente preferibile.
Feci un largo giro intorno al perimetro dell' edificio, facendo attenzione a tenermi a distanza di sicurezza dalle postazioni antiaeree, quindi puntai il muso verso terra e feci posare la nostra Zanzara proprio davanti al cancello principale, appena fuori dalla recinzione.
Un distaccamento di soldati ci aspettava già appena oltre le linee difensive, le armi in pugno.
Smontai soltanto io, e diedi indicazione a Takoda di stare pronto con le mitragliatrici, dato che non c'era modo di sapere come avrebbero reagito.
Cercai di mostrarmi sicuro di me, mentre marciavo verso il grande cancello e mi fermavo a un paio di passi dalla recinzione.
Rivolgendomi direttamente al più alto in grado, proclamai pomposamente, augurandomi di non sembrare ridicolo: «Sono il comandante dell'Esercito dei Popoli Liberi. Ho bisogno di discutere con un tuo superiore di questioni della massima urgenza.»
La guardia mi squadrò da capo a piedi, quindi osservò: «Sei un'Ape!»
Sbuffai, nauseato. Davvero, in un momento simile, dovevamo ridurci a questo?
«Sono un essere umano, come te. Che tu ci creda o no, siamo dalla stessa parte. Vai a chiamare qualcuno che possa prendere decisioni importanti. Ne va della sopravvivenza stessa del tuo popolo.»
Stando ai racconti di Ash, ero preparato a dover fare i conti con lunghe attese e burocrazia insensata.
Invece, dopo pochi minuti, un Collembolo lasciò l'edificio e imboccò di gran carriera la strada principale. Ne scesero quattro guardie in tenuta da combattimento completa, con una lancia in mano e un grande scudo rettangolare nell'altra. Quindi una donna minuta, anziana e dall'aspetto ordinario mi venne incontro, subito attorniata dagli uomini armati.
«Mi chiamo Gwendolyn, sono l'amministratore delegato del Formicaio.» Annunciò.
Non potei nascondere una certa soggezione nel trovarmi al cospetto della regina delle Formiche, soprattutto visto che la cosa era del tutto inaspettata.
Così riuscii solo a balbettare un incerto: «Io sono Duncan. Piacere.» omettendo stavolta il mio titolo.
La donna si lasciò scappare un sorriso divertito, quindi mi incoraggiò: «Sono pronta ad ascoltare le tue condizioni, Ape.»
Il malinteso mi riscosse. «Non parlo per l'Alveare, e non sono qui per porre condizioni. Siamo venuti a mettervi in guardia da un grande pericolo, e a implorare il vostro aiuto, vostra maestà.»
Stavolta l'anziana non rise: con aria grave mi spiegò: «Non è necessario che ti rivolga a me in questo modo. Io non sono una vera sovrana.» vedendo che annuivo senza parlare, soggiunse: «dimmi ciò che hai in animo, ragazzo. Ti ascolto.»
In poche parole, spiegai quello che avevamo scoperto sul Calabrone e sui missili di nuovo tipo che trasportava.
«Hai delle prove di ciò che affermi?»
«Purtroppo no.» ammisi. «Ma l'informatore è noto ai Ragni, e da essi considerato attendibile.»
«Porti notizie molto gravi. Purtroppo, tutto questo conferma i rapporti delle nostre spie che, pur non essendo riuscite a carpire i dettagli, ci avevano messo in guardia su un imminente attacco con armi di nuovo tipo.»
«Dovete evacuare immediatamente i civili.» Suggerii.
L'anziana soffiò fuori un verso ironico. «Non sai di cosa stai parlando.» sbottò. «Si tratta di decine di migliaia di persone, e di un'operazione per la quale non ci siamo mai esercitati. Non c'è abbastanza tempo. Inoltre, se queste nuove testate sono potenti come dici, non ci allontaneremmo comunque a sufficienza: le Api saranno qui entro poche ore!»
«Dobbiamo almeno tentare!» Esclamai, sentendomi improvvisamente in ansia.
«Avreste dovuto avvertirci prima. Avreste dovuto dircelo appena lo avete saputo.»
«Non potevamo rischiare di infrangere il silenzio radio.» Mi giustificai.
Nel momento stesso in cui lo dissi, però, mi resi conto che aveva ragione lei: avremmo potuto tranquillamente mandare un ambasciatore con una Zanzara prima della pioggia, e dar loro la possibilità di iniziare i preparativi in anticipo.
La verità era che a nessuno era venuto in mente.
Ora, quella leggerezza rischiava di avere un pesante costo in vite umane. Mi maledissi mentalmente per la mia ingenuità: una volta di più, mi pareva che la mia inadeguatezza al comando fosse venuta allo scoperto.
«Quel che è fatto, è fatto.» tagliò corto Gwendolyn, quasi avesse indovinato i miei pensieri. «Qual è la richiesta?»
Sbattei gli occhi, perplesso. «Come?»
«Hai detto di avere bisogno del nostro aiuto. Dunque, che cosa ti serve?»
Travolto dalle emozioni, me ne ero quasi dimenticato. «Consentiteci di far sostare i nostri mezzi nel vostro territorio, e avvertiteci appena localizzate il Calabrone. Non so se la nostra aviazione possa fermarlo, ma comunque ce la metteremo tutta per proteggere l'ultima nazione libera dell'Immensità.»
L'anziana rispose senza esitare. «Accordate entrambe le richieste.»
Si interruppe per il tempo necessario a impartire una serie di istruzioni, tramite un dispositivo portatile, quindi riprese: «Dai pure indicazione ai tuoi di atterrare. Ho messo la nostra contraerea in stato di massima allerta; una staffetta vi avvertirà non appena individueremo il nemico.»
Sorprendendomi, la donna annullò la distanza tra noi e mi appoggiò le mani sulle spalle.
«Ti sono grata per quello che state facendo. Provate a rallentarli, nel frattempo noi cercheremo di mettere il maggior numero di persone al sicuro, nei livelli inferiori. Che il Polline vi accompagni.»
Senza aggiungere altro, girò sui tacchi e tornò alla macchina.
***
Più tempo trascorrevo insieme ai pirati, più mi convincevo che davvero, se le cose fossero andate diversamente, sarei potuto diventare uno di loro.
Se qualcuno era preoccupato per la battaglia in cui stavamo per rischiare la vita, non lo diede affatto a vedere. Mentre aspettavamo che il nemico ci venisse incontro, ingannammo il tempo con goliardate, barzellette, scherni e prove di forza.
Ad un certo punto, Capitan Velluto mi si affiancò. «Ti trovi bene con noi, eh, Ape? Ammettilo.»
«Non c'è ragione di nasconderlo.» replicai.
«Forse, quando tutto questo sarà finito, potresti decidere di continuare a volare con noi.»
«Forse.» concessi, ben sapendo che il mio destino mi avrebbe condotto altrove.
«Ogni regina ha bisogno di un re. Credo che, insieme, saremmo la più splendida coppia di comandanti che Favo abbia mai visto.»
Per un attimo aveva smesso di indossare la sua maschera di arroganza, e sfoggiava un sorriso candido da ragazzina. Era bella da togliere il fiato, e solo grazie a un grande sforzo di volontà riuscii a distogliere lo sguardo.
Mi accomiatai con la scusa di dover dire qualcosa a Niyol, prima di lasciarmi scappare promesse che non volevo mantenere. Ciò che mi legava ad Ashlie era un sentimento profondo, che andava ben oltre l'attrazione fisica. Tuttavia, era impossibile frequentare l'affascinante corsara senza esserne sedotti.
Non avevo fatto che un paio di passi, che fu il turno di Takoda di apparirmi accanto.
«C'è qualcosa di cui devo parlarti.»
L'avevo visto ottimista e sorridente anche nelle situazioni peggiori, così l'espressione cupa e il tono serio mi preoccuparono molto.
«Cos'è successo?»
«C'è qualcosa tra te e lei?» Chiese, indicando discretamente col pollice la persona dalla quale mi ero appena separato.
«No.» Tagliai corto, maledicendo mentalmente il mio amico chiacchierone per la sua abitudine a prendere sempre i discorsi alla larga.
«E vorresti che ci fosse?» insistette.
«Chi non lo vorrebbe!» risi, ma me ne pentii subito, realizzando che quello non era un preambolo, ma il nocciolo della questione. «Aspetta... Me lo stai chiedendo perché...»
«Non si può competere con uno come te.» confermò. «Quindi preferisco saperlo in anticipo.»
«Ti assicuro che non sono interessato ad approfondire il mio rapporto con lei. Vorrei continuare a portare avanti quello ho costruito finora con Ashlie.»
Il volto del mio amico si rasserenò, e su di esso ricomparve il consueto sorrisetto malizioso. «Beh, buono a sapersi.»
Quella situazione profumava di normalità a tal punto che non potei esimermi dal sorridere. In quel momento eravamo solo due giovani che parlavano di ragazze e facevano progetti per il futuro.
Poi, il suono delle sirene antiaeree ci riportò al presente.
Come d'accordo, mandarono un soldato ad avvertirci, anche se non sarebbe stato necessario, dato che di certo il suono arrivava a diversi rami di distanza.
«Stanno arrivando!» squittì la staffetta, una nuova leva imberbe, palesemente nel panico.
La ringraziai e feci per raccogliere i miei, ma quella proseguì, consultando un biglietto: «il nemico è stato individuato alle ore 6:42 in direzione...»
«So in che direzione si trova l'Alveare.» sbottai.
L'altro rimase a fissarmi con aria smarrita, stringendo convulsamente il foglietto.
Pensai che quello era il vecchio Duncan, sempre convinto di saperne più degli altri. In fondo, per quel che ne sapevo io, Winthrop avrebbe anche potuto decidere di compiere un largo giro e arrivare sull'obiettivo da un verso inaspettato.
Lo incoraggiai a proseguire, lo ascoltai fino alla fine, lo ringraziai e gli consigliai di mettersi al sicuro. La Formica non se lo fece ripetere due volte, mi rivolse un frettoloso saluto militare e sgattaiolò via.
Anticipando le mie intenzioni come era suo costume, Takoda aveva già radunato i nostri piloti. Per loro stessa natura, i pirati mal tolleravano ordini e imposizioni, ma io avevo scoperto che rispondevano bene se le medesime cose gli venivano presentate sotto le spoglie di consigli o pareri personali.
Provai la consueta ansia nel vedere tutti gli occhi puntati su di me, ma ormai cominciavo ad abituarmici.
«Non possiamo sapere con cosa avremo a che fare. Sappiamo solo che è molto grande, e possiamo quindi supporre che lo scafo sia corazzato. Personalmente, io concentrerei la fase iniziale dell'attacco sulle ali: non importa quanto sia potente, se riusciremo a danneggiarle a sufficienza, cadrà come qualsiasi altro aereo.»
Gli uomini mi ascoltavano con attenzione, alcuni annuirono con convinzione alle mie considerazioni.
«È probabile che sia scortato da un certo numero di Fuchi da guerra. Forse qualcuno potrebbe impegnarli e tenerli a bada, mentre gli altri cercano di danneggiarlo. Cosa ne pensate?»
I briganti discussero a gran voce per meno di un minuto, quindi si divisero i compiti in tal senso, senza nessuna necessità di un mio intervento.
«Siamo pronti per decollare, allora. Cerchiamo di coprirci le spalle l'un l'altro e, se qualcuno identifica un punto debole nel Calabrone, è pregato di comunicarlo subito agli altri! Che il Polline ci protegga, e la vittoria ci sorrida!»
L'improvvisato consesso si sciolse all'istante, e i suoi componenti si diressero ai rispettivi mezzi, scherzando e scommettendo su chi avrebbe abbattuto il maggior numero di caccia, o avrebbe sferrato il colpo decisivo alla fortezza volante. Stavamo andando in guerra con lo stesso spirito con cui si inizia una partita di qualche gioco a squadre.
Raggiunta la mia Zanzara, accarezzai la carlinga e poi ci bussai sopra tre colpi in rapida successione, quindi presi posto nella cabina.
Vedendo Håvard che ansimava e sbuffava per infilarsi nel seggiolino, lo canzonai: «Dovresti aspettare a terra. Rallenti l'aereo.»
«È solo una scusa.» ritorse lui «Ho chiesto ai progettisti, e mi hanno assicurato che il tuo aereo è più potente degli altri, ed è stato concepito così apposta per portare un passeggero in più!»
«È vero, ma tu conti almeno per due!» obiettai.
Nella sua bolla, Takoda ci ascoltava e ridacchiava.
Accesi il motore, lo feci salire di giri, e innestai la trasmissione. Le grandi ali ebbero un fremito, quindi cominciarono a muoversi, dapprima lentamente, poi sempre più veloce, finché l'aria intorno a noi venne sferzata ritmicamente dal loro moto.
Mi guardai intorno: la maggior parte dei nostri velivoli era già pronta al decollo, ma tutti stavano aspettando che io dessi loro il via. Sentii un groppo alla gola: ero al comando di uno squadrone di piloti capaci, come avevo sempre sognato.
Anziché gioirne, però, mi ritrovai a chiedermi se sarebbe stato abbastanza.
«Si va.»
Diedi gas e, appena la Zanzara si sollevò, puntai il muso verso il basso, favorendo la portanza delle ali. Poi, raggiunta una certa altezza, cambiai assetto, aumentai ancora la potenza e lo sollevai verso il cielo.
Anche senza guardarli, sapevo che decine di apparecchi alle nostre spalle stavano imitando la mia manovra e mi venivano dietro, come lo strascico di una sposa.
Inclinai l'aereo da un lato, per salire lungo un percorso a spirale, traendo giovamento dalle correnti ascensionali.
«Volare fa schifo.» sentenziò Håvard, e Takoda scoppiò a ridere.
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