57. Sotto una pioggia battente (seconda parte)

ASHLIE

Ci infilammo nella grotta dei contrabbandieri, celata alle spalle della grande cascata, e ormeggiammo le nostre barche ai moli che, anni prima, i pirati avevano costruito in gran segreto.

Disertare dall'Alveare non era facile, ed essi erano stati capaci d'intravedere la possibilità di un cospicuo guadagno, organizzando passaggi per quei disperati che tentavano di lasciarsi la vita militare alle spalle.

Il secondo catamarano ci raggiunse quasi un'ora dopo. Era in condizioni anche peggiori del nostro, ma sorprendentemente aveva ancora la chiatta al seguito, e pure quasi del tutto piena. Purtroppo però, il vano di carico si era spezzato durante il fortunale, e non tutti i nostri compagni erano riusciti a mettersi in salvo in tempo: sedici persone risultavano disperse.

La battaglia non era ancora iniziata, dunque, che già ci trovavamo a piangere i primi caduti.

Stringendo i denti, non permisi al pessimismo di dilagare, cercando invece di focalizzarci sugli aspetti positivi: eravamo giunti a destinazione, tanto per cominciare, nonostante una tempesta di proporzioni impreviste.

Feci in modo di obbligare i miei compagni a concentrarsi su compiti semplici e immediati, e come sempre Tossina mi appoggiò.

Accendemmo dei fuochi per asciugare i vestiti e ci stringemmo intorno ad essi, avvolti nelle coperte che, grazie a delle ottime tele cerate, non si erano inumidite. Preparammo un pasto caldo e ci riposammo.

Intanto, fuori continuava a piovere.

Quando i miei abiti si furono asciugati, ne approfittai per esplorare l'area.

I pirati avevano sfruttato una cavità naturale oltre il muro d'acqua della cascata, che la nascondeva completamente alla vista.
Le sporgenze a cui avevamo attraccato erano state scavate nella nuda pietra, rifinendo per lo più quello che secoli di erosione da parte dell'acqua avevano costruito; solo i pali di legno tradivano l'intervento dell'uomo.
Alcuni gradini, sempre ricavati direttamente nella roccia, portavano a una sorta di piano rialzato, sul quale erano state erette delle tende e un cerchio di pietre in cui accendere il fuoco, del quale anche noi avevamo beneficiato.

La conca era abbastanza ampia da ospitare un gruppo ben più numeroso del nostro.

Dal lato Ovest partiva un sentiero che, secondo le nostre informazioni, costeggiava la parete rocciosa fino ai quartieri poveri, proprio sotto all'Alveare. Potevamo solo sperare che fosse praticabile in sicurezza anche con il maltempo: in fondo, mica si scappa solo col sole, giusto?

Nel frattempo le nostre Farfalle, seguendo le precise indicazioni del loro comandante, avevano iniziato a preparare una via ferrata che conduceva verso la cima della parete rocciosa.
Li guardai, appesi alle corde mentre conficcavano picchetti e occhielli, tracciando il percorso.
Al pensiero che anche io avrei dovuto arrampicarmi lassù, mi sentii torcere lo stomaco.

«Pronta per l'azione, recluta?» mi domandò Lin-Yu.
«Credo che l'idea di dover scalare questa muraglia di roccia mi spaventi molto più di un corpo a corpo con le Api» ammisi.
Lei si concesse una risatina. «Non temere: quando avremo finito di predisporre tutto, sarà un gioco da bambini raggiungere la cima! Anche per una neofita come te.»
Annuii, per niente convinta. «Arriverete alla vetta oggi stesso?»
La donna volse lo sguardo verso l'alto pensosa, prima di rispondere. «Saliremo fino a dove la cascata ci protegge dalle gocce di pioggia. L'ultimo tratto dovrà essere tracciato dopo che ha smesso.»

Lo sapevo, eppure non riuscii a nascondere del tutto la mia delusione. Fin da subito eravamo stati consapevoli che l'intero piano era un azzardo, e di quanto fosse dipendente dal meteo.

Secondo le nostre informazioni, il decollo del Calabrone era previsto all'alba: se avessero rispettato quell'intento, tutto sarebbe stato subordinato al momento in cui il cielo si fosse rasserenato.

Non c'era niente da fare, se non proseguire come preventivato e sperare che il Polline ci favorisse. Forte di questa convinzione, andai a cercare Tossina, per informarlo che stavo per lasciare il nostro rifugio.

Trovai che, come al solito, aveva anticipato le mie intenzioni: in compagnia del Maresciallo Felipe, mi stava attendendo all'imbocco del sentiero.

«Ti fai sempre aspettare.» commentò, vedendomi arrivare.
«Non mi hai mandato a chiamare!» protestai.
«Credevo fosse compito tuo coordinare le operazioni.»
Decisi di non addentrarmi in quel duello verbale, dal quale sarei uscita di certo sconfitta.
«Non perdiamo altro tempo. Maresciallo, faccia strada.» decretai, cercando di darmi un tono.

***

Ci incamminammo dietro al Ragno che, grazie ai servizi segreti di Aràcnia, conosceva a grandi linee il percorso.

Il sentiero era per metà scavato direttamente all'interno della parete di roccia, il che ci offriva una certa protezione dalle gocce più grandi, ma non poteva impedire che venissimo raggiunti dagli schizzi dal basso e dall'acqua che colava lungo la montagna; ragion per cui, dopo meno di metà strada, eravamo già fradici, nonostante l'abbigliamento di stampo militare.

Avanzammo per lo più in silenzio, mentre il temporale scuoteva l'aria con tuoni così forti che li sentivo riverberare fin nelle mie ossa.

Ad un certo punto la pista si inabissò, trasformandosi in un cunicolo largo a malapena a sufficienza per farci passare; anzi, mentre scendevamo nelle profondità della montagna, in certi tratti fummo costretti a camminare di lato, e in altri a strisciare carponi.

Infine, ci trovammo di fronte a un muro verticale.

Il Maresciallo lo esaminò a lungo, infine premette un sasso sporgente, e l'intera parete vibrò e poi scivolò di lato, scostandosi quel tanto che bastava a permettere il transito.

«Queste Api... devono essere tutte... magrissime!» ansimò il Ragno, mentre si sforzava di insinuarsi nel pertugio.

Ci chiudemmo la porta nascosta alle spalle e spegnemmo le torce: ci trovavamo all'interno del sistema di gallerie che collegava i quartieri poveri alle fabbriche, alla base dell'Alveare.
La produzione non poteva essere rallentata solo per via del maltempo, e così quel dedalo di viuzze sotterranee era stato creato per permettere agli operai di recarsi regolarmente al lavoro.
L'ambiente era illuminato da luci soffuse, e ad ogni bivio c'erano numerosi cartelli: "Quartiere operaio, civici da 127 a 159" ; "bagni pubblici" ; "fonderia: ingresso lavoratori" ; "presidio di pubblica sicurezza".

«Hanno davvero la mania di catalogare tutto!» commentò Tossina, mentre raggiungevamo l'ennesimo crocicchio.
«Il fatto è che chiunque può permetterselo, tra gli operai, appena può se ne va.» spiegò il Maresciallo. «E, dato il grande numero di nuovi assunti e la complessità di questo sistema di cunicoli, questo risulta il metodo migliore per evitare che la gente si perda e giri a vuoto.»
«In ogni caso, va anche a nostro vantaggio.» notai.
«Eccome!» esclamò il Ragno, indicando una freccia che puntava al "quartiere dei piaceri".

Il tunnel terminava in prossimità di una scala a chiocciola, che si inerpicava verso il mondo esterno.

L'uscita era in una sorta di gazebo, che offriva una ben misera protezione dal diluvio che ancora imperversava, ma almeno ci riparava dalle gocce più grosse. Mi guardai intorno: ci trovavamo al centro di una sorta di piazzetta, circondata da costruzioni grigie e anonime, a più piani. Non sembrava ci fossero vie riparate per raggiungerli, però.

«Maresciallo, sapete in quale di questi edifici la vostra informatrice... esercita?» domandai, esitando solo un attimo, indecisa sul verbo appropriato.
L'altro scosse la testa. «Non ne ho idea. So solo che la casa si chiama "Sospiro proibito".»
«Eccola qui.»
Ci voltammo a guardare Tossina, che stava consultando una mappa appesa sulla parete posteriore del baldacchino in cui eravamo asserragliati.
«Qui.» ci mostrò, battendo con l'indice sul pannello «è quello rosa.»
Con un po' di difficoltà, sfruttando i bagliori dei lampi che, anche se solo per brevi attimi, illuminavano l'area a giorno, riuscimmo a individuare la nostra meta. Ma raggiungerla era un altro paio di maniche.

«E ora?»

«Guardate, ogni locale ha un codice. Forse se inseriamo quello giusto in questa specie di comunicatore, qualcuno verrà a prenderci.» Disse il Maresciallo, apprestandosi a digitare i numeri sui bottoni rotondi, che sporgevano dal dispositivo incastonato in una delle colonne.

«Aspetti!» lo trattenni. «Nessuno di noi può passare per un'Ape, e dubito fortemente che i lavoratori possano concedersi questo genere di intrattenimento.»
Lo vidi riflettere un attimo, quindi abbassò la mano, con aria contrariata. «E allora, come facciamo?»
«Proviamo a usare questi.» propose Tossina, sollevando da terra un pannello quadrato, sottile ma dall'aspetto robusto, di circa mezzo stelo di lato.
«Che roba è?» brontolò il Ragno, poco convinto.
«Ritengo che quello che abbiamo di fronte non sia l'aspetto consueto di questa pensilina, e che questi fogli servano a ripararla.» Ipotizzò il mio concittadino.
«Il tempo passa. Se non ci sono idee migliori, direi di procedere.» conclusi, raccattandone a mia volta uno, e sospendendomelo sopra la testa. Non mi accorsi che era infangato, e alcuni schizzi mi caddero in testa e sulle spalle.

Vedendo che non mi lamentavo, e forse per non essere da meno di una donna, anche il Maresciallo ci imitò e, uno dietro l'altro, ci tuffammo sotto la pioggia.

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