57. Sotto una pioggia battente (Prima parte)

ASHLIE

Con i preparativi che fervevano, i capi si mostrarono alquanto infastiditi dalla convocazione a sorpresa del consiglio di guerra. Le uniche eccezioni furono Tossina, che ostentava la sua consueta calma, e la donna che si faceva chiamare Velluto, che sembrava annoiata e indifferente, come se quello che veniva discusso non la riguardasse.

Duncan illustrò il suo piano con veemenza ed entusiasmo, senza più alcuna traccia della compostezza con cui aveva conquistato tutti il giorno prima. Non cercò di mascherare i maggiori rischi, rivolgendosi ai suoi consiglieri con franchezza e trasparenza.
Incontrò molte resistenze: tutti erano restii a cambiare le carte in tavola a così breve distanza dal momento decisivo, ma lui insistette, soffermandosi sulle motivazioni della sua proposta.

Le cose cambiarono di colpo quando Håvard introdusse un giovane soldato nella tenda.

Costui si scusò per l'interruzione e ci comunicò che aveva iniziato a piovere, specificando che per il momento però la precipitazione era rada e leggera.
Duncan lasciò a tutti il tempo di assimilare quella notizia e si limitò ad ascoltarli mentre discutevano tra loro, ma il fronte del no si ridusse in fretta. Nessuno voleva rischiare di ritrovarsi impantanato nella giungla nel bel mezzo della notte, ed era fin troppo evidente che non potevamo concederci il lusso di aspettare che il suolo si asciugasse a sufficienza.

Alla fine, dato che l'Ape sembrava restia a imporsi, Tossina propose di metterla ai voti, e la maggioranza approvò il nuovo piano.

«Non c'è un minuto da perdere, allora.» esclamò il nostro comandante, senza concedersi nemmeno un attimo per godere di quel successo. «Dobbiamo arrivare alla spiaggia prima che il terreno diventi impraticabile, e soprattutto possiamo viaggiare solo finché le goccioline non sono ancora abbastanza grandi da ferire qualcuno.»

Gli ufficiali radunarono tutti nello spazio che di solito veniva usato per gli addestramenti.
Håvard portò una grande cassa di legno vuota e, manovrandola come se fosse stata di carta, la rovesciò, approntando un podio da cui il nostro capo avrebbe dovuto pronunciare un discorso.
Nel passarmi accanto, Duncan si fermò un attimo a parlarmi.
«Quanto vorrei che fossi tu al mio posto.» mi confidò.

Anche a me sarebbe piaciuto, dovevo ammetterlo. Ma mi ero convinta che lui avesse la capacità di parlare al cuore degli uomini, più di me. «Ormai il volto della Resistenza sei tu.» notai.

Lui si strinse nelle spalle e proseguì.

«Andrà benissimo!» aggiunsi, sperando mi sentisse. Poco prima gli avevo dato dei consigli su cosa dire, ma non mi era sembrato troppo convinto, a dire il vero.

La giovane Ape balzò sul palco improvvisato, e il brusio confuso che già da qualche minuto saturava la Cattedrale di Rovo scemò poco a poco, finché il silenzio fu assoluto.

«Vi ho convocati perché questa sarà l'ultima occasione in cui staremo tutti insieme, almeno per un po' di tempo.» esordì.
Lo osservai mentre faceva scorrere lo sguardo su tutto il suo uditorio.

«Visti da qui, siete l'esercito più strano che io abbia mai visto.» esclamò , e io mi sentii torcere lo stomaco: che cosa aveva in mente?
«Formiche, Idrometre, Farfalle, Ragni, Onischi... persino Vespe! In tutta la storia dell'Immensità, non si è mai visto un gruppo come questo!»
I volontari presero a guardarsi l'un l'altro, con espressioni che andavano dalla sorpresa al divertimento. «Ma è proprio questa la nostra forza: se siamo riusciti a superare odi millenari facendo fronte comune, possiamo realizzare qualsiasi cosa!»
La folla proruppe in un'ovazione.
«Il momento decisivo è arrivato, e io non posso promettervi niente. Tranne questo: giuro che ce la metterò tutta per vincere questa battaglia, e gettare le fondamenta di un mondo in cui valga davvero la pena vivere!»
I soldati ruggirono come un sol uomo.
«Il Polline mi sia testimone!» invocò, cercando di superare il vociare del pubblico; cosa non facile. Appena si calmarono, mi resi conto che pendevano letteralmente dalle sue labbra: li aveva conquistati.

«Winthrop e i suoi generali  non possono fare come gli pare! Dobbiamo fermarli! Dobbiamo dirgli che l'Immensità appartiene ai suoi abitanti!» gridò, sollevando il braccio.
In molti imitarono il gesto, acclamandolo.

«Abbasso i tiranni! Evviva la libertà!» concluse.

Tutti ripeterono quelle poche parole, una, due, tre volte, sempre più forte, finché la volta frondosa sembrò vibrare all'unisono con quel coro.
Io stessa lo gridai a pieni polmoni, ancora e ancora. «Abbasso i tiranni! Evviva la libertà!»

Duncan scese dalla cassa, mi rivolse il solito occhiolino, quindi chiamò vicino a sé Tossina e Niyol, e i tre iniziarono a discutere a bassa voce, mentre il grido "Abbasso i tiranni" non si era ancora spento.

Meno di dieci minuti dopo, tutte le nostre Idrometre lasciarono il campo, a bordo dei veloci veicoli monoruota che i poliziotti avevano portato da Aràcnia.
Circa mezz'ora dopo, anche noi eravamo pronti, e ci mettemmo in marcia a bordo degli Atta e di ogni altro mezzo a nostra disposizione, caricati con armi, equipaggiamento e viveri.

Fu un viaggio movimentato: gli pneumatici slittavano facilmente sul fango e, quando una goccia di pioggia cadeva troppo vicina a qualche vettura, essa ondeggiava paurosamente.

Il cassone di un Atta venne colpito in pieno da uno di quei proiettili d'acqua, che ne divelse il tettuccio, ma per fortuna non ci furono feriti.

I compagni che ci avevano preceduto si erano dati da fare, nel frattempo: con l'aiuto dei profughi stabilitisi al Bazar Cetoniano, avevano liberato due chiatte e usato i teli che coprivano la merce di Elphitephoros per creare una sorta di grossa tenda che riparava il molo. La mercanzia era stata spostata e riparata alla bell'e meglio con alcune elitre di ricambio dei Coleotteri.

I Gerridi, i grandi catamarani della tribù, erano già collegati alle piattaforme galleggianti appena svuotate e, poco più in là, una Notonetta, l'unico peschereccio lasciatoci dal popolo dell'acqua prima di ritirarsi, attendeva il proprio turno.

Febbrilmente, sotto la costante minaccia di essere colpiti da una goccia di pioggia più grande di un uomo, ci spaccammo tutti la schiena per caricare le chiatte e l'imbarcazione nel minor tempo possibile, aiutati dagli sfollati. Nel frattempo, il meteo aveva continuato a peggiorare in modo costante.

Quando tutto fu pronto salimmo a bordo, tra scambi di auguri e gesti di commiato.

Duncan mi trattenne per il polso che già avevo un piede sulla passerella. «Dove stai andando?»
«A fare la mia parte.» replicai. Mi resi conto che il tono mi era uscito più duro di quanto avessi voluto, quindi feci un passo indietro e mi sforzai di sorridergli. «Come te, del resto.»

«È diverso. Io sono un pilota. Voglio dire, lo ero anche prima di tutto questo!» assistetti a una vera e propria trasformazione in lui: l'uomo ottimista e sicuro di sé degli ultimi giorni ora era roso dal terrore. Capivo benissimo quello stato d'animo, perché lo condividevo: aveva paura di perdermi.
Temeva che quella potesse essere l'ultima volta che ci vedevamo. Mi sentii un po' in colpa a costringerlo a provare quel dolore, ma la mia decisione era presa: non ero disposta a starmene in disparte mentre gli uomini combattevano al posto mio.

«E io sognavo un mondo nuovo e diverso, anche prima di tutto questo.» ritorsi. «Non puoi impedirmi di lottare per realizzarlo!»
«Ascolta... io...»

Non gli diedi l'opportunità di proseguire. Lo abbracciai con tutte le mie forze, quasi come se con quel gesto potessimo spartire tanto i timori quanto il coraggio, e lo baciai appassionatamente.

Lui inizialmente fece resistenza, ma poi si lasciò andare.

Qualcuno fischiò. Un altro commilitone batté le mani. Sentii il corpo di Duncan che si irrigidiva e, approfittando del momento, balzai a bordo del Gerride più vicino.
Lui non fece in tempo a fermarmi, e mi fissò con uno sguardo addolorato, anzi, tradito.

«Scusami se ti faccio questo, amore. Ma sento che è la cosa giusta. Sento di doverlo fare.»

Ci guardammo in silenzio per un po' oltre l'ondeggiare della barca, che si faceva sempre più pronunciato, mentre le Idrometre sbloccavano le vele con mani esperte e iniziavano a spiegarle.
Tossina passò accanto a Duncan e gli sussurrò qualcosa all'orecchio, poi saltò a bordo a sua volta.

«Sii prudente, Ash.»

Sentii le lacrime salire, ma mi sforzai di ricacciarle indietro e di sorridere. «Anche tu.» risposi.

Il vento fece schioccare le vele, fatte dello stesso materiale delle membrane alari degli aerei; qualcuno tolse le bitte che ci collegavano al molo, e i catamarani scattarono in avanti, spinti dalle violente folate d'aria.

Chi era rimasto a terra si affrettò a trovare un riparo e, in capo a una manciata di secondi, sulla banchina rimase solo Duncan, uno sguardo serio puntato su di noi. Io lo osservai mentre rimpiccioliva man mano che ci allontanavamo, poi una delle nostre Idrometre mi prese per un braccio e mi intimò di andare sottocoperta, ricordandomi che stare lì era pericoloso.

I marinai, infatti, si spostavano all'interno di una specie di tunnel che attraversavano l'imbarcazione in ogni direzione e a diverse altezze. Da lì, essi erano in grado di governare la nave e manovrare le funi, senza rischiare di essere colpiti dalla pioggia.

L'ambiente sottostante era gremito di soldati, sembrava che ogni granello quadrato fosse stato occupato. Anziché scendere, decisi di prendere posto sulla scalinata di legno, e non mi sorpresi troppo di ritrovarmi accanto Tossina: le sue necessità venivano sempre per ultime, e di sicuro aveva cercato un posto per sé solo dopo aver sistemato tutti gli altri.

A dire il vero, preferivo di gran lunga starmene lì, dove si respirava un po' d'aria fresca, piuttosto che stipata con gli altri. Peccato solo che, di tanto in tanto, qualche folata riuscisse a insinuarsi nel boccaporto, scaricandoci secchiate d'acqua gelida addosso.

«Cosa gli hai detto?» Domandai al mio ex istruttore, approfittando della situazione.
Lui fece il finto tonto: «A chi?»
«Lo sai. Si è convinto dopo che gli hai parlato. Vi ho visto.»

«Ah, quello!» Agitò una mano, minimizzando. «Gli ho detto solo che gli animaletti si tengono in gabbia.»
Inarcai una sopracciglio. «Davvero? Tutto qui?»
Lui si strinse nelle spalle. «Bè, più o meno.»
Stava evitando il mio sguardo, così gli presi un braccio e lo costrinsi a concentrarsi su di me. «Dai, dimmelo!»
«Potrei avergli detto anche che tu non sei un animaletto e che, se non vuole perderti, dovrebbe imparare a fidarsi di te e delle decisioni che prendi.»

Spalancai gli occhi per la sorpresa, quindi, agendo d'impulso, lo abbracciai.

Qualcuno si schiarì rumorosamente la voce: due gradini più in basso di noi, Gawayn ci stava tenendo d'occhio con espressione severa. Proprio come me, anche il nostro capo meccanico aveva deciso di fare la propria parte, indossando nuovamente i panni del soldato.
Sorridendo, mi staccai da Tossina, che all'improvviso sembrava molto interessato alle nuvole nere sopra la nostra testa. Studiai le loro espressioni per cercare di capire se il mio amico si era aperto, almeno in parte, con l'oggetto dei suoi desideri, ma non ci riuscii.

Il brontolio di un tuono rimbombò così vicino da far tremare le pareti dell'ambiente. Il tempo si stava guastando rapidamente, e la nave veniva sballottata da una parte all'altra come una biglia in mano a un bambino. Il catamarano si inerpicava lungo i cavalloni e si tuffava nelle valli opposte, talvolta inabissandosi per un attimo quando raggiungeva il punto più basso.

Ogni tanto uno degli scafi gemelli si sollevava in alto, quando l'imbarcazione veniva sorpresa da una raffica di vento laterale. Ma le nostre Idrometre sapevano il fatto loro e, manovrando le vele con maestria, riuscivano sempre ad intervenire prima che si rovesciasse.

La maggior parte di noi non aveva nemmeno mai visto il mare, e ora, durante quell'infernale battesimo con il nuovo elemento, sentii più di qualcuno dare di stomaco. Ovviamente non c'era nessuna possibilità, per chi si stava sentendo male, di uscire dalla stiva e sporgersi fuori bordo, nel bel mezzo di una tempesta.
Ringraziai il Polline di non trovarmi laggiù con gli altri: non doveva essere un bello spettacolo.

L'intera struttura scricchiolava così forte che quel suono riusciva a superare persino il fragore dell'uragano.

Il mondo era immerso nell'oscurità, mentre il cielo ci rovesciava addosso centinaia di chicchi(*) d'acqua. Le gocce erano così fisse che non si vedeva a più di un paio di steli.

«Il nostro piano fallirà prima di cominciare?» chiesi al mio vicino, sforzandomi di sovrastare la furia degli elementi.

«Ma che problemi avete voi due?»

«Come?»

«Possibile che non riusciate ad avere un po' di fiducia nell'altro?»
«Non si tratta di...» trasalii, interrompendomi: uno schiocco secco mi fece accapponare la pelle.
Guardai il mio interlocutore, e nei suoi occhi scoprii il mio stesso terrore: di certo il Gerride si era rotto, e stavamo per colare a picco.

Un attimo dopo, un'Idrometra gridò: «La chiatta si è spezzata!»

In barba ad ogni sicurezza, salii gli ultimi due gradini e mi sporsi oltre il boccaporto. Riuscivo a malapena a distinguere ciò che restava del nostro rimorchio, ma anche così, mi resi conto che si era diviso in due tronconi, che stavano rapidamente scomparendo tra i flutti. Di tutto ciò che avevamo caricato al bazar cetoniano, rimanevano pochi pacchi, che le onde agitate stavano disperdendo.

«Ci trascinerà sotto!» urlò qualcun altro.
E poi, ancora: «Che il Polline ci aiuti, siamo spacciati!»

Anche se ormai a pezzi, infatti, la zattera era ancora collegata, e le corde non permettevano ai monconi di separarsi e di lasciarci liberi.

Impacciata dal peso morto del relitto, l'imbarcazione si stava già inclinando, man mano che i rottami affondavano. Pur non sapendo niente di navigazione, capivo che di lì a poco sarebbe diventata ingovernabile e, con il mare in quelle condizioni, la conclusione non poteva che essere una.

All'improvviso, una figura scura mi sfrecciò accanto: Gawayn. Strillando come un pazzo, uscì allo scoperto e, gettatosi su un fianco, si lasciò scivolare lungo il ponte in pendenza, fino a raggiungere il punto in cui la chiatta era stata assicurata con una corda, a poppa. Qui giunto, sollevò il braccio, in cui stringeva una piccola ascia da lancio.

Mi riempii i polmoni e lo chiamai, ma la mia voce si disperse nel vento.

Lo guardai mentre menava colpi sulla spessa gomena: uno, due, tre... una grossa goccia di pioggia cadde a meno di mezzo Stelo da lui, generando una vera e propria esplosione d'acqua.
Gawayn venne sollevato di peso e scaraventato via, per sua fortuna ancora sul ponte.

«Dobbiamo aiutarlo!» implorai Tossina, voltandomi verso di lui. Cogliendo un movimento con la coda dell'occhio, però, rivolsi di nuovo l'attenzione al mio amico d'infanzia: strisciando sull'assito fradicio, era già riuscito a riavvicinarsi alla corda. Lo vidi vibrare un ultimo, energico colpo, e infine la fune si spezzò.

Finalmente libero, il Gerride s'impennò di scatto, inabissando per un attimo la prua e catapultando Gawayn in avanti. Inorridita, lo osservai mentre mi volava davanti, rotolava sul ponte e riusciva ad aggrapparsi per un pelo al bordo anteriore del natante.

«Catena di braccia!» sbraitò Tossina alle mie spalle. Quindi, senza un attimo di esitazione, scattò, superando d'un balzo l'ultimo gradino e tuffandosi nell'oscurità.

Il mio corpo reagì in maniera istintiva, mettendo in pratica quanto aveva appreso durante l'addestramento: con una mano afferrai quella del mio superiore, seguendolo, e protesi indietro l'altra, che venne subito intercettata da un altro soldato. Uno dopo l'altro, i miei commilitoni sbucarono fuori da sottocoperta, incuranti della pioggia.

Correndo mano nella mano, sostenendoci l'uno con l'altro, raggiungemmo Gawayn un attimo prima che perdesse la presa. Tossina mi sfuggì ma, per fortuna, riuscii a trattenerlo per una caviglia. Senza paura, lui si era già gettato in avanti, prendendo al volo Gawayn.

Tutt'intorno a noi, le Idrometre lottavano per riprendere il controllo dell'imbarcazione. Una vela era stata fatta a pezzi e sbatacchiava nel vento, inerte e sbrindellata. Il catamarano tendeva a girare in tondo.

«Ammainiamo tutte le vele! Presto!» ordinò qualcuno.

Bombe d'acqua martellavano il ponte di colpi, ma fortunatamente noi ci eravamo ormai raggruppati e, tenendoci forte gli uni agli altri, riuscimmo a rientrare nella stiva.

Ormai ingovernabile ora che aveva le vele ripiegate, la nave cominciò ad andare alla deriva, in balìa degli elementi come una corteccia di sughero.

«Tenetevi forte!»
Come se ci fosse stato qualcosa a cui aggrapparsi! Sotto di noi, i nostri soldati scivolavano in continuazione, cadendo gli uni sugli altri.

All'improvviso, una luce sembrò emergere dal nulla: il faro della Notonetta.

L'unico natante a motore dei tre a nostra disposizione procedeva dritto come una freccia, fendendo i marosi ostili con apparente facilità.

Con una prontezza invidiabile, un'Idrometra si arrampicò sulla coffa e gettò una cima fuoribordo. Esponendosi alla furia della tempesta, i due equipaggi si mossero all'unisono e, in capo a pochi secondi, il peschereccio ci stava rimorchiando, proprio come avevamo tentato di fare noi con la chiatta.

Conservo dei ricordi confusi di quello che successe dopo. Per un tempo che non saprei quantificare, il mondo fu buio, fradicio e movimentato. Era quasi l'alba quando il violento temporale scemò in un fitto diluvio, la visibilità aumentò, e le Cascate Bianche apparvero in lontananza.

Ce l'avevamo fatta.

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