55. Spirito indomito
ASHLIE
Appena l'incontro fu terminato, mi catapultai fuori e cercai di confondermi in mezzo agli altri.
Ero certa che Duncan mi avrebbe cercato, ansioso di conoscere il mio parere su quanto era stato stabilito e, forse, di ricevere la mia approvazione.
Come se ne avesse avuto bisogno!
Ero orgogliosa di lui e di come aveva gestito la riunione. Sembrava avere una risposta per tutto, come se stesse preparando quel piano da settimane; anche se io sapevo che molte idee dovevano essergli venute in mente quella sera stessa.
Era apparso sicuro di sé, rassicurante, calmo come se non fosse stato il nemico a imporci i suoi tempi, ma stessimo discutendo di come anticiparlo.
Anche nei rari casi in cui non aveva saputo proporre una soluzione, nessuno aveva saputo fare proposte migliori. Alla fine, perfino i più scettici si erano lasciati contagiare, spronati anche dall'entusiastico appoggio di Tossina, e l'intero gruppo aveva finito per cementarsi intorno al proprio leader, approvandone la linea di condotta.
Io però non mi sentivo pronta a vederlo. Come talvolta mi capitava, ero in preda a emozioni contrastanti, che faticavo a comprendere, figuriamoci dominare. Non volevo ricadere nel circolo vizioso di elucubrazioni su come io fossi rimasta indietro rispetto a lui, e conoscevo un solo antidoto a quelle paranoie: l'azione.
L'ideale sarebbe stata una bella corsetta, ma qui non potevo disporre di un cortile recintato e sorvegliato, e fare jogging sul limitare della giungla d'erba sarebbe stato da incoscienti. Oltre all'ovvio problema di essere attaccata da qualche bestia feroce, non si poteva escludere a priori che il nemico avesse inviato delle unità di terra per scovarci.
Optai allora per un giretto a passo svelto all'interno del nostro quartier generale.
Grazie al contributo dei profughi, l'area si era ampliata parecchio. Anche se la riunione si era protratta fin nel cuore della notte, numerosi gruppi di soldati si erano attardati intorno ai bivacchi, chiacchierando e giocando a carte.
La volta della Cattedrale di Rovo era così fitta da consentirci di accendere quei fuochi senza timore di essere scorti dall'alto; il fumo, invece, che pur tendeva a formare una cappa densa in prossimità del soffitto, finiva comunque col filtrare tra i rami senza rischi.
Non avremmo potuto desiderare una sistemazione migliore per la Resistenza: l'intuizione del nostro comandante si era rivelata esatta.
Pregai il Polline che fosse così anche per lo scontro che ci attendeva.
In molti mi salutavano, qualcuno si alzava perfino al mio passaggio.
La notizia che la battaglia decisiva si apprestava doveva ormai essere trapelata, eppure le emozioni dominanti sembravano essere allegria ed entusiasmo. Nell'osservare quella gente che rideva e scherzava, non potei fare a meno di provare una certa emozione, forse perfino un po' di commozione. Le Formiche non erano più la maggioranza, e in quei capannelli multietnici erano presenti anche Ragni, Idrometre, Farfalle... e perfino un paio di Onischi, nonostante la loro tendenza a fare gruppo soltanto tra loro.
Ce l'avevamo fatta! Avevamo posto le basi per una comunità in cui tutti erano uguali ed erano disposti a collaborare per il raggiungimento di uno scopo comune.
Se solo non fosse stata necessaria una guerra per raggiungere quell'obiettivo!
Al pensiero che molti di quei visi sorridenti sarebbero potuti scomparire di lì a un paio di giorni, sentii lo stomaco contrarsi e fui presa da un violento capogiro.
Vagando senza una meta precisa, forse con la speranza che l'euforia dei miei compagni potesse contagiarmi, mi ritrovai davanti all'improvvisato ring in cui le reclute si impratichivano nell'arte del combattimento. Mi sorpresi di trovarlo occupato a quell'ora della notte.
Sapevo che i più esperti dovevano accontentarsi di usare quello spazio quando era libero, ma pensavo fosse troppo tardi per l'attività fisica. Anche se, in effetti, io stessa era uscita dalla tenda con l'idea di mettermi a correre.
Negli ultimi giorni, i soldati avevano preso l'abitudine di sfidarsi in finti assalti a squadre di quattro contro quattro. Sul campo c'erano sette persone e, dai brandelli di conversazione che riuscii a cogliere, compresi che stavano discutendo se fosse meglio riequilibrare i due schieramenti escludendo un partecipante, oppure proseguire lo stesso, affibbiando una sorta di penalità a chi si fosse trovato in vantaggio numerico.
Sorrisi: alla fine, era stata la ginnastica a trovare me.
«Posso unirmi a voi, ragazzi?»
Si voltarono verso di me con l'espressione di bambini a cui qualcuno abbia appena chiesto se gradiscono un dolcetto. Appena mi riconobbero, però, si incupirono.
«Non so se sia il caso, signora.» biascicò un giovane Ragno, abbassando lo sguardo.
«E perché mai?» volli sapere, accigliandomi. «Ho due mani e due braccia, proprio come te: sono perfettamente in grado di impugnare una lancia!»
«Non ne dubito, signora, ma...»
«È perché sono una donna?»
Lui sbarrò gli occhi. «Assolutamente no!» aprì la bocca come per aggiungere qualcosa, quindi, a disagio, nel tentativo di trarsi d'impaccio, indicò un'Idrometra in mezzo al suo gruppo: il fisico asciutto e le forme poco pronunciate mi avevano ingannato, ma anche lei era una ragazza.
«E allora?»
«Si tratta del fatto che... Voi siete...»
Improvvisamente realizzai quale fosse il problema: la mia identità!
Il mio status di "anima della ribellione" mi rendeva, agli occhi di molti, una creatura fragile, quasi intangibile. Inoltre, tutti avevano paura delle conseguenze nel caso avessero ferito la fidanzata del capo.
Con un ringhio stizzito, scavalcai le corde d'un balzo, un'asta da addestramento già in pugno.
Fin da bambina, avevo sempre odiato essere trattata con maggiore riguardo dei maschi, quasi fosse ovvio e implicito che non potevo ambire a eguagliarli, e quindi meritavo la loro compassione. Mi ero allenata più duramente di chiunque altro per dimostrare il contrario, e non ero disposta a transigere sull'argomento.
«Quando ci sarà la battaglia, non potrete fare tanto gli schizzinosi su chi avrete accanto!» esclamai, a voce più alta di quanto avrei voluto. «Tra poco saremo chiamati a fare affidamento gli uni sugli altri, a prescindere da sesso, tribù di origine... O grado gerarchico! Non potete sapere se avrete al vostro fianco l'amichetto del cuore, il vostro comandante o il bulletto che vi picchiava a scuola! Chiunque sia, dovrete affidargli la vostra vita, e lui farà altrettanto!»
Notai che i giovani si erano già disposti in due gruppi e, innervosita dalla situazione, decisi di mescolarli, per costringerli a mettersi in gioco.
«Voi due, e... Tu.» disposi, indicando due membri della squadra completa e il Ragno con cui avevo discusso. «Con me. Gli altri, dal lato opposto. Attacchiamo noi: in guardia!»
Avevamo insegnato le tattiche militari delle Formiche a tutti.
In primo luogo perché, fino all'arrivo degli Onischi, nessuno di quelli che si erano uniti a noi avrebbe potuto mettere in campo un ufficiale esperto come Tossina.
Andava poi riconosciuto che gli altri popoli non erano molto strutturati dal punto di vista militare.
Le Idrometre erano guerrieri selvaggi e brutali, ma completamente disorganizzati: ognuno lottava per proprio conto, e non erano abituati a immaginarsi parte di una stessa unità.
Le Farfalle erano abili soprattutto con le armi a distanza: nei rari casi in cui avevano dovuto difendersi, gli era bastato far appostare i loro frombolieri e i lanciatori di giavellotto tra i rami che costituivano la loro casa. Del corpo a corpo sapevano poco e nulla, abituati com'erano più a travolgere dei nemici già in rotta che ad affrontare una vera battaglia.
I Ragni non avevano nemmeno un vero esercito. Secoli di pace li avevano indeboliti, inducendoli a crogiolarsi nella convinzione che le loro mitragliatrici a tiro rapido potessero proteggerli da qualunque male. Le forze di polizia potevano al massimo aver tirato qualche manganellata a folle troppo chiassose, ma non erano preparate a ciò che le attendeva.
Infine, c'era l'enorme massa di civili, in gran parte provenienti da Aràcnia, che non aveva mai impugnato un'arma.
A tutti era stato insegnato come diventare parte di una tipica falange del Formicaio, ad occupare il proprio posto fra gli altri nel muro di scudi, a compiere i movimenti giusti con tempismo perfetto. Considerato il tempo a sua disposizione, il nostro istruttore aveva compiuto un piccolo miracolo.
I nostri avversari corsero a prendere uno scudo a testa tra quelli ammassati da un lato del ring. Si trattava di protezioni dedicate all'allenamento, più leggere e maneggevoli di quelle vere, ma con le stesse dimensioni e proporzioni.
Come un sol uomo, i nostri antagonisti presero posizione e, spalla contro spalla, vi si accucciarono dietro.
La scelta di formare gruppi di quattro derivava dal fatto che, disposti a quel modo, gli uomini occupavano quasi interamente la larghezza dell'arena, e le corde di delimitazione gli proteggevano i fianchi.
Con un urlo ordinai la carica, e ci abbattemmo contro quel muro di plastica, con un gran cozzare che si riverberò in tutta la Cattedrale. I nostri rivali contennero l'urto, e quando uno di loro urlò: «spingere!» fecero forza sugli scudi, obbligandoci a retrocedere.
«Aprire! Affondare! Chiudere!» Sbraitò ancora la voce.
I soldati si mossero come un sol uomo: fecero un passo indietro, spostarono il braccio sinistro e protesero il fianco destro in avanti, affondando la lancia, portando il colpo con tutto il corpo. Due dei miei alleati furono immediatamente eliminati. Appena l'estremità arrotondata della lancia da allenamento toccò il giubbetto di cuoio, gli altri gridarono «Morto!», e gli sconfitti si trassero in disparte, mogi come acari appena rimproverati dal padrone.
Soltanto io e il Ragno che non voleva accettarmi in squadra eravamo rimasti in gioco ma, mentre il mio antagonista rientrò subito in formazione con gli altri, il suo lo incalzò, lo sbilanciò con lo scudo, quindi lo colpì al ventre con l'arma.
«Morto!»
Ma era stato un errore. Preso dalla foga, aveva rinunciato alla protezione della falange. Con un balzo lo raggiunsi, infilai il manico di legno tra i suoi piedi e gli imposi una violenta torsione, facendogli perdere l'equilibrio.
Prima che potesse riprendersi, feci un mezzo giro su me stessa e gli puntai la "lama" alla gola. Per un attimo mi guardò sorpreso, poi andò a prendere posto a bordo campo, insieme agli altri "cadaveri".
Rimasti in tre contro uno, i suoi compagni sentivano già il profumo della vittoria. Si strinsero ancora di più gli uni agli altri, con le due ali leggermente ruotate, pronte a contrastare anche un eventuale attacco laterale.
Se era quello che si aspettavano, dovevo sorprenderli. Indietreggiai di qualche passo e, con un sorrisetto nervoso, mi lanciai a tutta velocità verso il centro dello schieramento. Il mio obiettivo reagì proprio come mi aspettavo: piantò saldamente le gambe a terra e si appoggiò con le braccia alla parte centrale dello scudo, deciso a contenere il mio impeto. All'ultimo momento, però, io spiccai un grande salto, colpendo con le ginocchia il margine superiore dello scudo stesso. La mia inerzia lo spinse indietro, il mio peso fece leva e lo proiettò verso il basso. Il malcapitato venne scaraventato a terra e schiacciato sotto il mio corpo; io rotolai via agilmente e affrontai gli altri due prima che potessero riaversi. Erano lenti a proteggere le caviglie, e non riuscivano a tenermi testa mentre gli saltellavo intorno: in un paio di scambi, eliminai entrambi.
Accolsi con soddisfazione i loro sguardi allibiti e ammirati. Per una volta, sentii di capire cosa provava quell'adorabile sbruffone del mio fidanzato: era elettrizzante.
Avevo voglia di sfidare chiunque a provare a battermi, e a dire il vero fui sul punto di farlo: all'ultimo istante, però, realizzai che farsi sconfiggere da una donna poteva non giovare al morale di molti dei miei compagni.
Un singolo battere di mani mi riportò alla realtà. Mi aspettavo di vedere Duncan e non riuscii a dissimulare del tutto la sorpresa nel trovarmi a tu per tu con Tossina, mollemente adagiato contro le corde, che continuava ad applaudire.
«Ben fatto, Ash.» commentò. «Davvero ben fatto.»
Sgranai gli occhi. Il mio ex istruttore era assai parco di complimenti, e quindi quelle due parole, dette da lui, assumevano un significato speciale.
«Da quanto tempo eri lì?» mi informai.
«Abbastanza per sentire la conclusione del tuo discorso d'incoraggiamento.» sorrise.
Distolsi lo sguardo, sperando che non si accorgesse che ero arrossita.
«Per il Polline, ragazza! Se tutti i nostri commilitoni avessero la tua stessa tempra, potremmo vincere questa guerra anche armati di forchette!» insistette lui, strappandomi una risatina.
Dietro di noi, gli altri si stavano riattestando, creando stavolta due muri di scudi opposti. L'uomo dispari si era messo in disparte e li osservava, aspettando il proprio turno. Tutti sembravano essersi già dimenticati di me, l'apparizione inaspettata di Tossina li aveva resi seri e attenti, come se fossero sotto esame.
«Comunque, nonostante le tue belle parole, io intendo fare di tutto per scegliere chi mi guarderà il fianco destro.» riprese «e vorrei che fossi tu.»
Se prima mi ero sorpresa, ora ero allibita. Il lato destro del corpo, quello da cui si manovrava la lancia, era il più esposto, nella falange delle Formiche: per proteggerlo, all'interno della formazione, si poteva contare solo sullo scudo del proprio compagno.
Tossina stava praticamente dicendo che era pronto ad affidarmi la sua sopravvivenza.
«Stai scherzando?»
«Affatto.»
Esitai. «Duncan vorrebbe che io restassi qui, a capo del piccolo presidio che intende lasciare.»
Lui annuì con convinzione. «Ti vuole fuori dai guai. È comprensibile.»
Mi strinsi nelle spalle, a significare che non potevo farci niente. «In fondo, è lui il capo. Giusto?»
«Certo. Ma è anche l'uomo che intendi sposare.»
Inarcai un sopracciglio, guardinga. «E allora?»
Lui ammiccò. «Nessuno si aspetta davvero che, in qualità di moglie, tu faccia ciò che lui ti dice.»
Per un attimo lo fissai allibita. Poi scoppiai a ridere di gusto.
Al diavolo i pensieri cupi, i ripensamenti, le recriminazioni. Quella Rivoluzione era mia quanto di Duncan, e io avevo tutte le intenzioni di fare la mia parte. Non sarei rimasta ad osservare dal bordo campo.
Con un balzo, superai le corde del ring e raggiunsi il mio ex istruttore.
«Sai che ti dico? Sarà un onore.»
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