52. Disciplina

DUNCAN

Mi era capitato spesso di trovarmi a fare il passeggero su un aereo, anziché il pilota. Sia per completare il mio addestramento, sia per banali trasferimenti durante le esercitazioni.

Non avevo mai perso una di queste occasioni per "rubare il mestiere" con gli occhi a chi stava guidando in quel momento. Carpire trucchi, notare errori, cogliere ogni minimo gesto per poter migliorare le mie capacità. Con il tempo, mi ero reso conto che ogni conduttore aveva il suo personale stile. Con l'esperienza e l'aumento della mia abilità, avevo cominciato a notare soprattutto le cose che gli altri sbagliavano, e ad esserne infastidito. Alla fine, avevo maturato la convinzione che il mio metodo fosse il migliore, eguagliato da pochi, superato da quasi nessuno: l'asso O'Brian era una delle rarissime eccezioni.

Nelle traversate da e per Favo, ne incontrai un'altra.

Capitan Velluto volava come nessuno. Il suo modo di pilotare mi affascinava non meno della sua sensuale femminilità: nelle sue mani, l'apparecchio sembrava un essere vivente, nato per compiacerla. La cosa che mi colpiva di più era come, nonostante non avesse potuto beneficiare di un addestramento come il mio, la donna sembrasse in grado di capire per istinto dove avrebbe tirato il vento. Lo assecondava, sfruttando le correnti ascensionali e planandovi sopra dolcemente. Muoveva la cloche con tocchi delicati ma decisi. Aveva la situazione costantemente in pugno, anche quando ci trovammo a lambire una tempesta diretta a Sud.
Il fatto che una persona totalmente priva di istruzione fosse in grado di condurre un aereo meglio di me mi destabilizzava. Eppure non ne ero infastidito: la ammiravo.

Ero convinto di avere un grande talento. No: ero convinto di avere un talento ineguagliabile.
Ora, per la prima volta, capivo cosa significasse averlo davvero, e ne ero abbagliato.

Ritenni più prudente non far avvicinare troppo la mia orda di lestofanti al quartier generale, per paura che i nostri uscissero e ci attaccassero: quindi li feci atterrare sulla spiaggia, a pochi passi dal Bazar Cetoniano. Solo io e lei proseguimmo a piedi verso il nostro covo.

Avevo coltivato la segreta speranza che quest'ultimo la impressionasse ma, dopo aver visto l'isola dei pirati, mi rendevo conto che fosse altamente improbabile.

Eravamo circa a metà strada quando ci imbattemmo in un drappello dei nostri, capitanato dal buon Tossina in persona. Non potei fare a meno di provare un moto di orgoglio, notando che avevano ormai l'aspetto di appartenenti ad un vero esercito. Le armature, nuove e luccicanti, catturavano i raggi del sole che riuscivano a filtrare dal fogliame. Sugli scudi avevamo deciso di imprimere uno stemma semplice, che ci rappresentasse tutti: dei semplici fili d'erba, inclinati dalla spinta del vento, dipinti d'un verde brillante.

Sotto gli elmi, si intuiva un arcobaleno di pelli: dal nero delle Formiche al rosso delle Idrometre, dal caffelatte dei Ragni al giallo delle Farfalle. Il più pallido era il rotondo incarnato di Håvard, che sovrastava chiunque con la sua statuaria imponenza.

Fu proprio quest'ultimo a rompere la formazione, quando ormai ci trovavamo a pochi passi di distanza.
Mi si parò davanti con un cipiglio spaventoso, e ringhiò: «Non è facile proteggerti se ti allontani da solo, Ape!»
Mi aspettavo quel tipo di osservazione, ed avevo la risposta pronta: «È difficile avvertirti che sto partendo se non ci sei, Onisco.» ritorsi, facendogli vagamente il verso.
Lo vidi accusare il colpo. Per un attimo sobbalzò, quindi corrugò la fronte, riflettendo. «Non hai tutti i torti.» ammise infine.
«È tutto a posto.» lo tranquillizzai.

Cercai di sporgermi oltre lui, per guardare Ashlie: l'avevo notata al fianco di Tossina ma, stranamente, non mi era venuta incontro. Non mi aspettavo che mollasse tutto per gettarmi le braccia al collo, ma credevo di trovare il solito sorriso gentile sul suo viso; invece la giovane sfoggiava un'espressione seria e non diede nemmeno l'impressione di avermi riconosciuto. Mi domandai se non fossero giunte cattive notizie durante la mia assenza, ma, più che preoccupata, la giovane sembrava furibonda.

Mi stavo ancora interrogando su cosa potesse essere accaduto, quando Tossina fece un passo avanti e, col suo tono glaciale, domandò: «non ci presenti la tua ospite, comandante?»
«Ma certo.» acconsentii, sentendomi vagamente a disagio per la tensione che si percepiva nell'aria, senza capire cosa la stesse provocando.

«Costei è...» Esitai un attimo, rendendomi conto che ignoravo il vero nome della mia accompagnatrice, e sentendomi un po' ridicolo nell'introdurla con l'unico che conoscessi: «Capitan Velluto.»
Lei si gettò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, quindi sfoggiò un'espressione vagamente civettuola mentre salutava con un poco formale: «come va?»

Fu come se si fosse rivolta a un gruppo di statue.

«È il condottiero delle intrepide Vespe, i pirati dell'aria.» spiegai. «Si sono uniti alla nostra causa, e ci portano in dote i loro famosi mezzi volanti. Inoltre, piloteranno i nostri. Grazie a loro, potremo affrontare le Api quasi alla pari anche nel cielo.» conclusi.

Di nuovo non ci fu nessuna reazione, se non un gelido "Ah." da parte di Tossina.

All'improvviso fui travolto dall'irritazione. Ormai avevo capito che non potevo aspettarmi apprezzamento o partecipazione dai miei consiglieri; ma trovavo davvero ingiusto che, dopo aver rischiato la vita per portare i bucanieri dalla nostra parte, nessuno fosse disposto a darmi un po' di soddisfazione. Avevo voglia di prendere a sberle Tossina, solo per vedere se il suo volto era in grado di mostrare almeno un'espressione.

Non avevo chiesto io di fare il capo: se non gli andava bene il modo in cui lo facevo, potevano benissimo prendere il mio posto. 
Volevano un capo che dava ordini senza preoccuparsi del loro parere? Bene, potevo provarci. 

Abbracciai l'intero gruppo con gli occhi, quindi li puntai con decisione in quelli scuri dell'ufficiale.
«Rimanda indietro due uomini.» disposi. «Voglio che uno organizzi il più in fretta possibile una squadra di operai, e la conduca vicino al Bazar Cetoniano: dobbiamo predisporre al più presto delle sistemazioni per i nuovi arrivati, ma non ritengo prudente farli mescolare ai nostri.»

Ci avevo riflettuto lungo il tragitto e, considerato che un po' tutte le tribù erano state preda delle razzie dei bucanieri, non mi sembrava una buona idea costringerli a convivere sotto lo stesso tetto.

«L'altro invece dovrà raggiungere tutti i consiglieri e informarli che stasera si terrà una riunione alla quale parteciperà anche lei.» conclusi, indicando la bandita con un cenno del capo.

Quando ebbi finito di parlare, senza nemmeno volerlo, gonfiai il petto, sfidando Tossina a discutere gli ordini.

Ma lui non sembrava averne la minima intenzione.
«Avete sentito?» berciò infatti. «Janet! Cristoph! Muovete le chiappe! Chiederò alle sentinelle l'ora esatta del vostro arrivo.» Nessuno pensò di domandare cosa sarebbe successo se il graduato non fosse stato soddisfatto del tempo impiegato. Le due reclute fecero un frettoloso saluto militare e scattarono come fulmini.

«Gli altri, con me: mentre arrivano i costruttori, cominceremo ad organizzare tutto il necessario per rendere operativa la nostra aviazione.» Detto ciò mi voltai e, senza verificare se qualcuno mi stesse davvero seguendo o meno, mi incamminai a passo sostenuto. Per qualche secondo mi sembrò di poter vedere la scena dall'alto, e mi immaginai marciare da solo, rigido e impettito, mentre gli altri mi indicavano e ridevano.

Håvard mi affiancò per primo, subito imitato da Capitan Velluto. Un istante dopo, sentii Tossina abbaiare un paio di ordini, e il familiare rumore di soldati in marcia riecheggiò lungo il limitare della foresta. Rallentando il passo, feci intendere a gesti che intendevo parlare da solo con Tossina, e tutti mi assecondarono senza bisogno di parole.

Appena la Formica fu al mio fianco, spiegai a bassa voce: «ho pensato potesse essere meglio testare su un piccolo gruppo se i nostri riescono ad andare d'accordo con i fuorilegge.»

Lui mi scoccò un'occhiata indecifrabile, per poi concentrarsi di nuovo sulla strada davanti a noi. Dopo un tempo sufficientemente lungo da farmi credere che non avesse intenzione di rispondere, bofonchiò: «Non è una cattiva idea.»

Lo studiai, cercando di cogliere del sarcasmo nelle sue movenze, ma sembrava sincero. In ogni caso, ero certo che non avrei ottenuto altro da lui, in proposito, quindi cambiai argomento.

«Che cos'ha Ash?»
Il nero fece spallucce. «Non sono il suo babysitter.» osservò.
«Intendevo... È successo qualcosa, durante la mia assenza?»
«Niente di rilevante.»
Proseguimmo in silenzio per un po', quindi lui soggiunse: «Potrebbe darsi che non abbia gradito la tua sortita solitaria.» fece una pausa, studiandomi di sottecchi. «O magari il fatto che tu sia tornato in compagnia di un'affascinante signorina, con la quale sembri in grande confidenza.»
«In grande confidenza!» Ripetei, incredulo. «ma se è soltanto la seconda volta che la vedo!»
Lui agitò una mano in aria, ostentando il proprio disinteresse. «Non sono affari miei.» proclamò, interrompendo la conversazione.

La vegetazione che delimitava il nostro percorso andava ormai diradandosi, e già mi sembrava di percepire l'eco della risacca, quando il mio accompagnatore decise di riprendere la parola .
«Se sei disposto ad accettare un consiglio...» Lasciò aleggiare quella frase, aspettando la mia esortazione a proseguire, che non si fece attendere. «In questo momento dovresti concentrarti più sul tuo ruolo di leader che su quello di amante.»

Trasalii. Amanti. Era questo che sembravamo?
Sentirmi definire in quei termini mi dava l'impressione di svilire il nostro rapporto, privandolo della sua componente affettiva. Provai un fastidioso senso di colpa, senza un preciso motivo, e non mi opposi quando lo sentii sfociare in un un nervoso fastidio.
«Cosa vuoi dire? Che proprio adesso che ho più bisogno del suo consiglio e conforto, dovrei rinunciare a lei?»
«Dico solo che non dovresti disperdere le tue energie.» sogghignò, guardandomi in faccia. «Si parla sempre di conquistare una donna, si dice spesso che l'amore è una guerra... Se è vero, quante battaglie pensi di poter affrontare nello stesso momento? Nemmeno i più grandi generali della storia sono mai riusciti a sostenere a lungo un conflitto su più fronti.»

***

La vegetazione si aprì all'improvviso davanti a noi, e il paesaggio mutò.

Seguendo il sentiero, ci arrampicammo sulla cima di una collinetta che dominava l'area.

Sulla nostra destra c'erano le Bugs' Industries, il Bazar Cetoniano, con i moli tutti occupati dalle chiatte che avevamo da poco terminato di costruire e, poco oltre, l'insediamento dove abitavano i dipendenti di Elphitephoros.

La spiaggia antistante era disseminata dei veicoli delle Vespe, abbandonati in disordine, alla rinfusa. L'improvvisato accampamento ferveva di attività.

Due bucanieri si spintonavano gridandosi contro; pur non potendo distinguere le parole capivo già da quella distanza che la discussione doveva essere nata per stabilire chi avesse il diritto di piazzare la tenda all'ombra di uno sparuto cespuglio, e che di lì a poco sarebbero passati alle mani.

Altri avevano scovato un minuscolo acaro della polvere. Quattro di loro lo inseguivano a bordo di veicoli monoruota simili a quelli in uso nel Formicaio; la bestiola era più lenta dei mezzi ma, sulle sue otto zampette, era in grado di cambiare direzione in modo repentino. Gli inseguitori slittavano sulla sabbia, perdevano terreno, talvolta cadevano.
Una piccola folla si era radunata per assistere a quello spettacolo improvvisato, urlando incitamenti e complimenti o schernendo e insultando i partecipanti, secondo le situazioni. Risuonavano risate.
Gli astanti scommettevano tra loro in continuazione e, mentre li osservavamo, scoppiò una rissa tra due persone, che ben presto finì per coinvolgerne almeno una decina, diffondendosi come un'infezione contagiosa.
Alcuni imbracciavano piccole balestre, che usavano per spaventare l'animale e riportarlo indietro quando riusciva ad allontanarsi troppo.

In un'area più tranquilla, all'ombra di alcune pianticelle, un energumeno dal fisico imponente stava steso a terra sul dorso e sollevava con le braccia un grosso bastone, alle cui estremità gli amici appendevano dei semi grossi quanto la testa di un uomo. Prima di ogni sollevamento, i pirati aggiungevano due di quegli improvvisati pesi e scommettevano.

Per me, abituato alla rigida compostezza dell'esercito, era uno spettacolo assurdo. Rimasi a bocca aperta a contemplarlo, mentre i compagni mi affiancavano.

«Alla mia gente non piace starsene con le mani in mano.» notò Capitan Velluto, che mi sembrò però più divertita che imbarazzata.
«Oh!» Commentai, cercando di non sembrare troppo scosso. «Allora, non le dispiacerà darsi da fare con le pale.»

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