49. Velluto (seconda parte)
DUNCAN
Era già buio quando ci tuffammo nelle nebbie perenni.
Il vapore era sollevato dalle enormi colonne d'acqua note col nome di "Cascate Bianche", e le peculiari condizioni climatiche della zona facevano sì che la foschia si estendesse per un'area di decine di rami quadrati.
Favo, l'isola dei pirati, apparve dal nulla davanti a noi, e io dovetti ammettere che, senza la strumentazione di bordo, sarei stato incapace di ritrovarla da solo.
Atterrammo su una piattaforma artificiale a malapena sufficiente a contenere l'aereo.
L'isola era poco più di uno scoglio affiorante dal mare: una montagnola di forma conica, alta una trentina di Steli, al centro di una baia protetta da due lingue di terra a forma di mezzaluna. L'intera superficie rocciosa era disseminata di grotte e cavità, la maggior parte delle quali era corredata da una terrazza esterna simile a quella sulla quale ci eravamo fermati. Molte erano occupate da Vespe nere e lucide.
L'unico molo era gremito di navi straniere, governate da mercanti che non si facevano scrupoli a commerciare con i bucanieri. Riconobbi un brigantino cetoniano, e mi vennero in mente Elphitephoros e i suoi misteriosi rifornimenti. Possibile che i bastimenti da Cetonia riuscissero a raggiungere Favo, ma non la sua base commerciale?
Se i pirati erano in contatto col suo paese, sembrava strano che lui non avesse ancora trovato un modo per tornare a casa. C'era forse qualcosa che non mi aveva detto?
La mia ospite mi spinse a terra senza tanti complimenti, quindi mi fece strada a grandi passi lungo la galleria. Avrei avuto tante domande su quel luogo ammantato di leggenda, ma purtroppo le circostanze non sembravano adeguate a porle.
Percorremmo il tunnel per una quindicina di Steli finché, dopo una brusca curva a sinistra, il percorso si interruppe di colpo, sfociando in un'area molto più ampia.
La montagna era cava!
Nello spazio cilindrico all'interno era stata ricavata una quantità di ballatoi e camminamenti, e sulle varie terrazze erano state costruite capanne o piantate tende. L'ambiente era rischiarato da una moltitudine di torce, e la sommità della montagna consentiva di vedere il cielo all'esterno, anche se la nebbia impediva di distinguere le stelle.
Capannelli di persone chiacchieravano, discutevano o giocavano intorno al fuoco, e dall'interno delle abitazioni giungeva il suono di strumenti musicali e di risate. Ovunque, bambini sporchi e vestiti di stracci correvano qua e là urlando, rincorrendosi tra loro o dando calci a palloni consunti.
Era una comunità allegra e coesa, che strideva con l'immagine che mi ero costruito nella mia mente, in cui bruti violenti si azzuffavano per una moneta o un pezzo di pane, quando non per puro divertimento.
In particolare, non mi ero aspettato di trovare delle famiglie, lì; anche se era logico aspettarselo.
Gli onnipresenti ragazzini denotavano una scarsa propensione all'igiene e un'educazione assente, ma erano sani e soprattutto felici.
La mia guida mi precedette lungo una scalinata grezzamente intagliata nella pietra, che scendeva fino a quello che sembrava il fondo del cratere. Lì giunta, mi condusse su una specie di palco rialzato, e suonò a lungo una campanella fissata a un bastone alto quanto un uomo.
Il suono rimbombò per tutta la cavità.
«Datevi una mossa, mandria di ubriaconi sfaticati!» sbraitò Capitan Velluto, agitando ancora lo strumento. L'eco della sua voce fece sì che anche i più distanti potessero udirla. «Anche se non avessi nessun progetto, avrei comunque di meglio da fare che passare la notte ad aspettare i vostri comodi!»
Alla spicciolata, borbottando e imprecando, decine di persone percorsero i gradini e si radunarono davanti a noi. La giovane condottiera attese con pazienza che ci fossero tutti, quindi parlò.
«Allora, branco di depravati figli di ignoti. Ce l'avete fatta, eh? Mi stavo facendo vecchia, qui, ad aspettare.»
«Sai che se ti annoi puoi venirmi a cercare nella mia tenda, capitano!» urlò qualcuno.
Si alzò qualche risata.
«Jack-tre-denti, lo sanno tutti che la tua tenda è invasa dai parassiti! Non ci metterei il naso dentro nemmeno se stessi morendo di sete, e l'unico pozzo del mondo fosse lì dentro!»
Altre risate, più forti.
«Capitano, capitano!» Gridò un altro, sollevando freneticamente la mano. «Vieni da me, se vuoi provare l'emozione della tua vita! Io duro tutta la notte!»
Quell'ultima affermazione diede il via ad una possente cacofonia di risa, fischi, pernacchie e insulti.
Ma tutti tacquero appena la mia accompagnatrice replicò a gran voce: «Mezz'ala, nemmeno una bottiglia di rum mi è mai durata tutta la notte... e di sicuro non me ne basta una sola!»
I corsari risero, batterono le mani e picchiarono i talloni a terra.
«Ora fate silenzio e ascoltate, massa di decerebrati. Devo dirvi una cosa importante!»
E quella quantità di gente senza legge né regole ammutolì all'istante, attenta; i volti che un attimo prima erano trasfigurati dalle risate e dalla goliardia, ora erano seri e concentrati.
Capitan Velluto mi indicò con il braccio mentre parlava. «Costui ha una proposta da farci, e ha avuto le palle di venire qui di persona per farlo: io dico che merita di essere almeno ascoltato, che ne pensate?»
Di nuovo, decine di talloni batterono ritmicamente sulla distesa di pietra. La piratessa fece un passo indietro e mi fece cenno di iniziare.
Deglutii. Avevo pensato a cosa dire e soprattutto a come dirlo, durante il volo fino a lì, ma ora sentivo la mente vuota e la bocca secca. Quelli erano i nemici giurati dell'Alveare e, per quanto mi fossi sforzato di razionalizzare la situazione, ero certo che non aspettassero altro che un pretesto per gettarmi sul fondo del mare con una pietra al collo.
«Perché non parla?» chiese a gran voce qualcuno.
«Te la stai facendo sotto, ragazzina? Sveglia!» rincarò un altro.
Un terzo lanciò un lungo fischio.
Preso alla sprovvista, con la testa che mi girava, decisi di iniziare parafrasando un pensiero che il loro capitano aveva espresso mentre mi trasportava nel loro covo.
«Io non sono uno di voi, anche se stavo quasi per diventarlo.» mentii, vergognandomi per come la mia voce vibrava. Mi sforzai di stabilizzarla prima di continuare. «Ma credo di sapere cosa significhi essere un pirata.»
Feci una brevissima pausa per enfatizzare il concetto, quindi soggiunsi: «Libertà!»
Si agitavano a disagio, aspettando di capire dove stessi andando a parare. «Andate dove volete e quando ne avete voglia, prendete ciò che desiderate e fate quello che vi pare. Voi siete l'unico popolo davvero libero, su questa terra!»
Un coro di varie grida d'assenso accompagnò queste parole. Ma io non mi illusi di averli conquistati: il capitano mi aveva avvertito di quanto facilmente potessero mutare le loro preferenze.
«Ma oggi, amici, il vostro stile di vita è minacciato! Il generale supremo Winthrop ha...» esitai solo un istante, quindi decisi che era meglio semplificare i fatti. «...ha usurpato il trono, e ora sta conducendo una guerra totale alle altre tribù. Spirotropoli e Aràcnia sono già state conquistate...»
«E chi se ne frega!» mi interruppe un uomo di mezza età, dalla lunga barba scura.
«Giusto! Perché dovrebbe cambiare qualcosa, per noi?» rincarò un secondo corsaro.
«Non riuscite a immaginare cosa significherebbe per voi, l'Immensità retta da un unico governo?» Mi sporsi in avanti, enumerando sulle mani. «Fine di ogni scambio commerciale; militari che sorvegliano ogni singolo convoglio; aumento esponenziale della disponibilità di truppe e risorse. Non ci sarebbe più niente da saccheggiare, e verreste attaccati appena messo il naso fuori dal vostro rifugio nebbioso.»
Crollò il silenzio. «Inoltre, non mi sento di escludere che, una volta incrementato il loro potere, le Api decidano di estendere il loro controllo anche ai traffici marittimi. Vuol dire niente più commercio per la vostra bella isola!»
La folla esplose.
«Maledette Api!»
«Possano morire tutte!»
«Feccia dei cieli!»
Una sfilza infinita di insulti e improperi fece vibrare le pareti della caverna.
«Io oggi vi offro una via per opporvi a tutto questo!» gridai, cercando di sovrastare quel frastuono. «Rappresento l'Esercito dei Popoli Liberi, nato per contrastare le ambizioni da dittatore di Winthrop e della sua cricca. Unitevi a noi! Combattete con noi!»
Di nuovo, un silenzio greve ricoprì l'assemblea come una coperta di lana.
Poi, i bucanieri proruppero in una serie di risate e commenti osceni.
Non era la reazione che mi aspettavo, anche se dovevo ammettere che era comunque preferibile a quella violenta, che temevo da quando avevo messo piede a Favo.
«Noi combattiamo solo per noi stessi, buffone!»
«Non ho detto per noi, ho detto con noi!» precisai.
Ma ormai nessuno mi ascoltava più.
Un ragazzo poco più vecchio di me, dalla pelle abbronzata e con una lunga treccia tinta di verde che gli ondeggiava dietro la schiena, balzò sul palco.
«Perché mai dovremmo seguire un pazzo nella guerra ad un altro pazzo?» sbraitò, quindi mi si fece incontro e, cogliendomi alla sprovvista, mi spintonò con entrambe le mani.
Fui costretto a fare un paio di passi indietro prima di recuperare l'equilibrio.
Un coro di voci si levò in suo sostegno.
«Buttati dalla scogliera, scemo!»
«Sì, fai un favore al mondo e prova a volare senza aereo!»
Gettai un'occhiata alle mie spalle, implorando Capitan Velluto con lo sguardo. Ma la donna si limitò a stringersi nelle spalle: non aveva intenzione di interferire.
Un altro corsaro salì sulla pedana, fece una piroetta e si tolse dalla testa un cappello di peltro verdastro, scolorito dal tempo. Qualcuno ridacchiò. Doveva essere sulla quarantina, portava alcuni pezzi di una vecchia armatura da Formica e un paio di pantaloni grigi e smorti, tipici delle Farfalle.
«Forse questo damerino ha ragione!» esordì. «Ma se anche fosse? Possiamo decollare verso altre terre, altri mari... e altre carovane da depredare!»
I suoi compagni lo acclamarono, battendo ritmicamente i piedi per terra.
Sentii di aver perso il confronto, eppure non ero ancora disposto a darmi per vinto.
Parlai d'istinto, senza riflettere.
«Dove sono le Vespe delle storie di mia nonna? I bucanieri impavidi, spericolati, pronti a mettere in gioco tutto anche solo per una sfida...» presi fiato, guardando il loro capo «...o per una bella fanciulla?»
Un borbottìo confuso e vagamente imbarazzato seguì il mio discorso, mentre lei mi sorrideva divertita.
«Non c'è aspirante pilota, all'Alveare, che non tema il giorno in cui incontrerà uno di voi.» ripresi, indicandoli. «E adesso cosa scopro? Che invece siete voi a farvela sotto, appena uno nomina le Api!»
La folla ammutolì di nuovo, incredula.
Poi un'eruzione di insulti scaturì dal terreno sotto di noi. Potevo quasi vedere i lapilli d'odio e di disprezzo che si sollevavano verso l'alto, come se le loro voci si fossero fatte tangibili.
«Ti faccio vedere io chi è che ha paura!» minacciò il ragazzo con la treccia, scattando in avanti per darmi un pugno. Ma stavolta ero pronto a difendermi.
Nell'attimo stesso in cui portò il colpo, capii di non avere nulla di cui preoccuparmi: era lento, sgraziato, inesperto. Deviai il suo attacco incerto a mezz'aria, lo sorpresi con un diretto alla bocca dello stomaco, quindi lo stesi con un destro alla mascella così forte da sollevarlo da terra e rispedirlo tra il pubblico.
«Io non sono venuto qui a chiedere l'elemosina, e rivolgo suppliche soltanto al Polline!» esclamai. Quel breve confronto mi aveva caricato, e ora la mia voce rimbombava, vibrante e chiara, ben diversa da quella di prima. «Noi combatteremo in ogni caso, con o senza il vostro aiuto. Perché se qualcuno minaccia il nostro modo di vivere e il nostro futuro, abbiamo il coraggio di ribellarci!»
Spostai lo sguardo da destra a sinistra, passando in rassegna l'intera folla, sfidandoli a chiudermi la bocca. Ero ancora certo che sarei morto di lì a poco per mano di quei pazzi anarchici, eppure il sangue mi ribolliva e, per quanto fossi pienamente consapevole della mia stupidità, non riuscivo più a fermarmi.
«Non ci nascondiamo in un buco, al buio, sperando che nessuno ci veda!»
Realizzai distrattamente che quella definizione, con la quale volevo rappresentare il loro covo, si adattava alla perfezione anche al nostro quartier generale. Che ironia.
La folla adesso ruggiva.
L'uomo con il cappellino scese, ma altri tre o quattro pirati guadagnarono il palco e si disposero a semicerchio intorno a me, con intenzioni più che evidenti, poco amichevoli.
Resistetti alla tentazione di voltarmi ancora verso la donna che si proclamava loro capo: da un lato, cominciavo a dubitare che lei esercitasse effettivamente una qualsiasi autorità su di loro, dall'altro, il mio orgoglio me lo impedì. Se proprio doveva finire tutto lì, in quel modo idiota... almeno avrei conservato la mia dignità.
D'un tratto, come se qualcuno avesse pigiato un interruttore, tutto si fermò: il vociare dei presenti, i movimenti dei miei antagonisti. Sembrava quasi che tutti stessero trattenendo il respiro.
Un uomo anziano stava salendo sul palco ma, anziché saltare o arrampicarsi come tutti avevano fatto fino a quel momento, usava una scaletta di legno.
Un arto artificiale faceva un rumore secco ogni volta che lo appoggiava su una tavola di legno, e forse era stato proprio quel rumore a mettere tutti in guardia. Doveva essere una persona tenuta in grande considerazione, tra loro.
Era lo stereotipo del nonnino dal passato burrascoso: capelli bianchissimi lunghi fino al collo, parte centrale del cranio calva, lunga barba nivea e pipa in bocca.
Aveva la gamba sinistra di metallo, e una protesi a forma di pinza al posto del braccio destro. Indossava una canottiera macchiata, attillata sul fisico asciutto e ancora scattante, dai muscoli allungati.
La parte di pelle scoperta era tappezzata di graffi e cicatrici d'ogni tipo, fitti come se fossero stati un unico tatuaggio. Sembrava un'illustrazione appena uscita da un libro di fiabe per bambini.
Lo sconosciuto si prese tutto il suo tempo per salire i gradini, senza fretta. Quindi prese posto al centro del palco, si tolse la pipa di bocca con la mano sana e parlò.
«Siamo pirati. Qui uno vale uno, e la mia parola non pesa più di quella di chiunque altro tra noi.» iniziò. Aveva una voce stridula, acuta, ma ferma e autoritaria. «Ma non pesa neanche meno, e quindi dirò quello che penso, anche se non vi piacerà. Proprio come ha fatto lui!» soggiunse, indicandomi con il bocchino della pipa.
Non potei esimermi dal sorridere: quel vecchietto mi ispirava una simpatia istintiva.
«Qui tra noi ci sono Ragni, Formiche, Api, Farfalle e Idrometre. Insieme a Onischi, Cetoniani e ogni altra sorta di razza a cui il Polline abbia avuto la cattiva idea di far calpestare la terra.» fece correre lo sguardo lungo tutto l'uditorio, che lo ascoltava come ipnotizzato. «Forse noi siamo lo scarto di queste società, è vero. Ma apparteniamo comunque ad esse. E allora come potete pensare di assistere indifferenti mentre le nostre città vengono distrutte, occupate, infangate? Possibile che la vostra sola preoccupazione sia di scappare il più lontano possibile con la coda fra le gambe?»
Un mormorio nervoso si diffuse tra i partecipanti a quell'incontro. Le parole del vecchio stavano facendo presa. Costui mi rivolse un'occhiata di sbieco, quindi fece un paio di passi e si pose al mio fianco.
«Io dico che questo straniero è un pirata più di tutti voi mollaccioni messi insieme. Sceglie da solo le sue battaglie, e le combatte non perché qualcuno gliel'ha ordinato, ma perché ci crede. Perché così facendo proclama il suo diritto di vivere come vuole! Ed è disposto a difenderlo ad ogni costo!» concluse, quindi rimise la pipa in bocca ed annuì tra sé.
«Se qualcuno venisse qui a dirmi che da oggi devo ubbidirgli, io gli piscerei in testa, e poi userei la sua faccia per ripulire il pavimento!» sbraitò Capitan Velluto. Era rimasta in silenzio tanto a lungo, che la sua voce mi fece trasalire. Si mise al mio fianco, dall'altro lato rispetto all'anziano corsaro. «Non so cosa farete voi, gregge di acari senza palle, ma vi dico cosa farò io: andrò a prendere a calci nel culo questi sbruffoni che pensano di poter fare il bello e il cattivo tempo! Che nessuno dica che Capitan Velluto se l'è fatta sotto ed è scappata!»
Incostante come non mai, la folla eruppe in un boato fragoroso e prese a battere i talloni sulla pietra, con tale impeto che pensai avrebbero potuto provocare una frana.
«E se incontro quella bestia di Winthrop, mi fermo e gli sputo in un occhio!» rincarò la donna.
L'ovazione aumentò ancora di volume, e io mi resi conto che, a quel punto, nessuno avrebbe potuto tirarsi più indietro: essere tacciato di codardia era molto peggio che essere ucciso, per un vero pirata.
Con un po' di impudenza e due alleati inaspettati, ce l'avevo fatta.
Ora avevo gli aviatori che mi servivano.
SPAZIO AUTORE
Anche dopo tanti anni, i pirati continuano ad affascinarci e a farci sognare.
Spero che le Vespe non facciano eccezione.
Mi sono divertito molto a immaginare il covo dei pirati dell'aria, il modo in cui vivono, e soprattutto le vicissitudini in cui un bacchettone arrogante come Duncan potesse riuscire a portarli dalla propria parte: mi auguro che il risultato vi soddisfi.
Avere i piloti era indispensabile per avere una qualche possibilità nella guerra che si appresta, e di sicuro quelli che Duncan ha saputo procurarsi con una mossa audace e un po' folle, sono tra i migliori su piazza.
La vera domanda adesso è: riuscirà a controllarli? :p
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