46. Rinforzi

ASHLIE

Nei giorni seguenti raggiungemmo una sorta di routine.

I profughi vennero divisi in gruppi secondo le loro esperienze ed attitudini.

Scoprimmo così di avere degli ottimi meccanici, e su ordine di Tossina in persona, Gawayn abbandonò l'addestramento per assumerne il coordinamento. Fu un sollievo per me, dato che era evidente a tutti quanto fosse negato per la lotta. Ad ogni modo, l'istruttore continuava a fare grande affidamento su di lui, e lo chiamava per affidargli incarichi speciali, messaggi, o per chiedergli consiglio.

Assegnammo gli altri ai lavori di ampliamento della Cattedrale di Rovo, alle cucine, ai lavori di pulizia.

Erano tutti volontari, e nessuno si lamentò.

L'addestramento delle reclute poté procedere così in modo più spedito, proprio come aveva previsto Duncan. La Cattedrale era tutto un fermento di persone che imparavano le pose di base del combattimento con lancia e scudo, gridando «Oh!» ad ogni movimento, o che prendevano la mira con la balestra o con le nuovissime cerbottane, o ancora che marciavano, correvano, si allenavano nel corpo a corpo. Guardandoli, mi illudevo che saremmo stati pronti in tempo.

Ora eravamo in molti e, se da un lato ero euforica, dall'altro non potevo fare a meno di domandarmi quanti di quei giovani volontari sarebbero potuti tornare vivi dalle loro famiglie, a guerra finita.

Riuscivo a vedere Duncan quasi solo ai pasti, e sempre in compagnia di altre persone. La sera crollava esausto nella sua tenda, e Håvard non mi permetteva di avvicinarlo, sostenendo con sguardo torvo che "aveva bisogno di riposare".

Il mastodontico Onisco non lo mollava mai. La sera rimaneva a fare la guardia all'ingresso del suo alloggio fino a tardi, e l'alba lo trovava già in piedi, pronto a camminargli alle calcagna come un acaro fedele. Non parlava con nessuno oltre a lui, e la sua sola presenza incuteva un timore reverenziale in chiunque.

Duncan andava ogni mattina alla fabbrica, a sovrintedere l'avanzamento della produzione e a controllare a che punto fossero i lavori di realizzazione delle chiatte, destinate ad ospitare tutte le merci del mercante. Inoltre si accertava che i profughi stessero bene e non avessero problemi di sorta.

I carichi di armi e armature arrivavano con regolarità al nostro quartier generale, insieme a quelli di cibo. I tecnici di Elphitephoros non avevano avuto troppe difficoltà a trasformare il prototipo di Inigo in un oggetto adatto alla produzione di massa, e anche il numero delle cerbottane a nostra disposizione cresceva rapidamente.

Dopo che il duello silenzioso con Tossina si era concluso, la sua autorità non sembrava più in discussione. Tutti lo cercavano per un consiglio e in molti facevano a gara per ottenere la sua approvazione, neanche fosse stato il loro fratello maggiore.

Le riunioni dei capi erano frequenti e, nonostante non avessimo ancora un piano d'attacco ben delineato, tutti sembravano convinti che, al momento opportuno, il leader avrebbe estratto un acaro dal cilindro e ci avrebbe condotto alla vittoria.
Ero contenta per lui, ma soffrivo un po' per quella mancanza di intimità: egoisticamente, avrei voluto un momento tutto per noi.

***

Due giorni dopo l'arrivo dei Ragni, ricevemmo una nuova visita imprevista: un Onisco solitario, anziano, emerse dalla giungla trainando un carretto, e chiese di vedermi.

«Zio!»

Non stavo nella pelle quando corsi ad abbracciarlo. Non mi aspettavo di rivederlo a breve!

«Allora mi stavi ascoltando, tutte le volte che ti ho consigliato di mettere a frutto quella rabbia che avevi sempre dentro!» commentò, dopo aver visitato l'accampamento.
«Io ti ascolto sempre.» asserii. «Solo che non sempre seguo i tuoi consigli!» conclusi, ridacchiando.
«In effetti, devi essere fiera di essere l'artefice di tutto questo.»
Sorrisi. «Io sono poco più che la teologa della Ribellione, in realtà. Questo miracolo è merito dell'impegno di questi uomini straordinari.» mormorai, abbracciando l'intera Cattedrale con un gesto.
«E dei sogni che hai iniettato nei loro cuori.» concluse lo zio, sorridendomi con dolcezza.

Di colpo, mi resi conto che non gli avevo rivolto la domanda più importante.
«Perché sei venuto qui?»
Lui si strinse nelle spalle. «Non è ovvio? Per fare la mia parte.»
Trasalii, terrorizzata. Era anziano e mezzo cieco: si sarebbe fatto ammazzare.
Lo zio decifrò la mia espressione e scoppiò a ridere. «Il tempo delle battaglie è finito per me, Ash. Non ti preoccupare.»
«Ma... allora...»
«Beh, sono un ottimo cuoco. E sono ancora capace di tenere in mano una pala.»

Sgranai gli occhi. Pur da distante, pur avendo potuto udire solo voci su quanto stava accadendo, il vecchio Onisco era riuscito a capire di cosa avevamo bisogno persino prima di noi; inoltre era stato in grado, in qualche modo, di intuire dove avremmo posto la nostra base.

«Ah, ecco il tuo ragazzo!» esclamò d'un tratto, distogliendomi dalle mie elucubrazioni. «Credevo fosse uno smidollato egoista e pieno di sé, ma sono contento di essermi sbagliato.»
Duncan era uscito a grandi passi dalla tenda del comando, forse per il suo solito giro alla fabbrica.
«In realtà, un pochino lo era.» ridacchiai. «Ma certe situazioni possono cambiare una persona.»
«Oh sì, verissimo.» confermò lui. «Pensa che...» iniziò, ma ammutolì quando Håvard uscì a sua volta, affrettandosi dietro a Duncan.
Per comodità, in quegli spostamenti, il gigante non indossava la sua armatura, ma normali abiti civili e una daga legata in vita. Tuttavia, portava sempre lo spallaccio destro, quello con i gradi incisi sopra.

«Siete riusciti a portare dalla vostra un alto ufficiale di Città degli Onischi!» osservò mio zio, a bocca aperta. «Incredibile: loro non prendono mai parte alle guerre degli altri.»
Osservai la montagna di muscoli che allungava il passo per raggiungere l'Ape, ed ebbi un'idea.
«Zio.» esitai solo un attimo. «In effetti c'è qualcosa che puoi fare. Una cosa molto più utile che preparare da mangiare o scavare latrine.»

***

Dopo altri due giorni, arrivarono le ultime reclute: le Farfalle.

Le sentinelle individuarono i loro alianti con largo anticipo, e Tossina fece schierare gli Scorpioni davanti all'ingresso del tunnel, in modo da usarli come batterie antiaeree mobili; Duncan diede ordine di tenersi pronti, e tutti si prepararono ad un'invasione, con l'equipaggiamento completo.

Per non fare figuracce, trasformammo quella dimostrazione di forza in una sorta di parata, quando ci rendemmo conto che i nuovi arrivati erano alleati e non nemici.

Il capo delle Farfalle era una donna di nome Lin-Yu.
Portava in dote una sessantina di volontari perfettamente equipaggiati, che avevano viaggiato a bordo di trentasette veicoli volanti. Si trattava di deltaplani dalle grandi ali a forma di orecchie con estremità molto allungate, che potevano portare fino a due persone.

Appena smontata dal proprio mezzo, che loro chiamavano "Macaone", si fece incontro a Duncan e gli strinse con forza la mano. Lui la ringraziò per essere venuta davvero, e lei si scusò per non averci preavvertito, spiegando che era stata una precauzione per evitare intercettazioni.

Non volle aspettare di arrivare nella tenda del comando per ragguagliarci sulle ultime novità.

«È successo l'impensabile.» ci informò. «Le Api ci hanno attaccato di sorpresa con truppe di terra!»

La fissammo tutti esterrefatti.
«Quel volpone di Winthrop era perfettamente consapevole di non poter causare grossi danni alla città con un attacco aereo. La prova di forza nel giorno dei volantini serviva proprio a rassicurarci su questo!»
«Ma tuo padre si aspettava un possibile attacco da terra, anche se lo riteneva improbabile.» obiettò Duncan.

«Infatti aveva fatto sorvegliare il tronco dell'albero.» confermò la giovane. «Ma il Generalissimo è stato più furbo di lui. Gli aerei si sono librati sopra la chioma, e i soldati si sono calati con delle lunghe funi sui rami, proprio sopra alla città addormentata. Sono scesi in silenzio, di fronda in fronda, per tutta la notte. E all'alba sono entrati in azione.» scosse la testa, come a voler scacciare le immagini di quel giorno. «Solo per un caso fortuito, anche noi avevamo scelto quel momento per svignarcela di nascosto: i nostri Macaoni erano già pronti su una vecchia piattaforma in disuso, nella parte bassa della città. Quando abbiamo sentito le prime urla e i rumori dei combattimenti, era troppo tardi per intervenire.»
Abbassò lo sguardo per un lungo momento, e nessuno osò interrompere quel silenzio. Quando sollevò di nuovo il volto, però, i suoi occhi fiammeggiavano di rabbia.
«Chi ha provato ad opporre resistenza è stato trucidato sul posto. I soldati e i membri del consiglio sono stati fatti prigionieri, incluso mio padre.» esitò, quindi guardò tutti i presenti e alzò la voce. «Spirotropoli ora è una colonia dell'Alveare, con una guarnigione di Api pronta a sedare ogni rivolta, e un governatore scelto da Winthrop. Tutti gli uomini in grado di lavorare verranno probabilmente deportati come schiavi al termine della guerra.»

Sentii il sangue che mi si ghiacciava nelle vene. Mentre noi ci sforzavamo di diventare abbastanza forti da contrastarlo, il nemico non se ne era rimasto inattivo.

«Comandante Duncan.» proclamò a gran voce Lin-Yu, poggiandogli le mani sulle spalle. «Ho abbandonato i miei concittadini, la mia famiglia. È stato doloroso, ma l'ho fatto, perché ero convinta che questa fosse l'unica maniera per contrastare davvero quel pazzo borioso.»
Si guardò intorno, quindi soggiunse, a voce più bassa ma non tanto da impedirmi di udirla: «Fa' in modo che non mi sia sbagliata.»

SPAZIO AUTORE

E per la serie "al peggio non c'è mai fine", anche Spirotropoli è caduta.

Mentre i ribelli cercano in qualche modo di organizzarsi, di diventare un gruppo coeso e di elaborare una strategia, il Generale va avanti per la sua strada come uno schiacciasassi.

Sarà già troppo tardi per fermarlo?

Forza ragazzi, non mollate!

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