43. Produzione di massa (seconda parte)

DUNCAN

Prima che potessi rispondere, Takoda mi toccò il braccio, indicandomi un punto oltre l'alta recinzione: i guerrieri delle Idrometre stavano sfilando lungo la strada che costeggiava il perimetro esterno. Tenevano sulla spalla la loro arma principale, un arpione lungo e pesante che, con un po' di fortuna, avrebbe potuto forse fare qualche danno in un testa a testa, ma si sarebbe rivelato poco utile in una mischia. Annodati a un'estremità dell'asta portavano dei fagotti, in cui avevano raccolto i loro pochi averi e qualche provvista per il viaggio.
Solo alcuni fra loro portavano anche delle rudimentali asce, legate in vita con corde intrecciate.

«Sono arrivati.» Constatò il mio compagno.

Li guardai: erano un gruppo sparuto e male in arnese. Sentii il mio cauto ottimismo vacillare. Poi uno di loro guardò nella nostra direzione, mi riconobbe, e mi indicò agli altri gridando: «Duncan il Temerario!»

Tutti gli altri proruppero subito in grida di battaglia e incitamenti, sollevando al contempo le armi verso l'alto.

«L'entusiasmo non gli manca.» Concessi.

Mi volsi verso Elphitephoros e, dopo essermi accertato che anche lui stesse guardando quegli straccioni che si autoproclamavano guerrieri, ripresi il discorso: «ora abbiamo gli uomini, ma ci manca l'equipaggiamento. Il coraggio e la determinazione, da soli, non sono sufficienti per vincere.»
Attesi che il mercante mi dedicasse la sua attenzione, quindi avanzai la mia seconda richiesta: «Credi che qualcuno dei tuoi macchinari si possa convertire alla costruzione di lance, armature, scudi?»

Il mio interlocutore si strinse nelle spalle, lasciando così intendere che quella era una cosa che non lo preoccupava troppo. O forse che non lo riguardava.

«Ascoltami. Io non so ancora su quanti effettivi potrà contare la nostra resistenza. Ma credo che sarà un numero piuttosto basso. Potremo avere una possibilità solo con una guerra lampo: dobbiamo trovare momento e modo perfetti, e colpire duro, con tutte le nostre forze. Dobbiamo fare in modo che un singolo attacco possa cambiare le sorti del conflitto.»

«Ho capito perfettamente: non potete permettervi il lusso di farvi trovare impreparati, qualora l'occasione si presentasse. Metterò subito al lavoro i miei tecnici, per fornirti il materiale che mi hai chiesto prima possibile.»

«Grazie. Il tuo appoggio è fondamentale, e so che stai rischiando molto.»
«Non è la prima volta che mi gioco tutto su una scommessa. Come hai detto tu, per una volta voglio seguire il cuore.»
«Allora spero che sia ben saldo, perché vorrei farti un'ultima richiesta.»

Credevo che quell'ennesima bordata l'avrebbe irritato, invece proruppe in una risata spontanea, che fece sobbalzare il suo pancione.
«Vi ho procurato il sostentamento, ho trovato lo spazio per voi e anche per i fuggiaschi, mi accingo a realizzarvi l'equipaggiamento. Cos'altro potresti chiedermi? Un braccio? Uno dei miei organi interni?»

Ignorai deliberatamente il sarcasmo e proseguii, serio. «Il nostro avversario possiede il predominio dell'aria. Se non tentiamo di contrastarlo anche lì, questo vantaggio potrebbe essere decisivo, per lui.» lessi negli occhi del mio interlocutore che già aveva capito dove stessi andando a parare, ma conclusi lo stesso il discorso. «Quando ci siamo conosciuti, mi hai parlato di un progetto per realizzare dei velivoli in grado di combattere con i pirati e difendere le tue merci.»
«Per il momento siamo ancora in prototipazione.» minimizzò il mercante.
«I tuoi mezzi sono tutti a terra in questo momento, non è vero?» insistetti.

Lui annuì, volgendo istintivamente lo sguardo verso il lato della proprietà più prossimo alla Foresta di Spine: avevo notato già il giorno prima i Coleotteri allineati in fila, le lucide elitre scintillanti sotto il sole. Un po' in disparte c'era anche quello che ero riuscito a far atterrare sulla spiaggia, su cui tecnici e operai si affaccendavano. Chissà com'erano riusciti a trasportarlo fin lì.

«Quindi i tuoi nuovi guardiani non hanno nulla da proteggere.» Conclusi.

Il Cetoniano si strinse nelle spalle. «Per il momento ce n'è uno solo.» Considerò.
«Funziona?»
«Il volo di collaudo è andato bene. Ma prima di poterli usare davvero, bisognerà fare numerosi altri test.»
«Non abbiamo il tempo per i test. Correremo dei rischi. In fondo, non è il primo veicolo volante che esce dalle tue officine: possiamo avere fiducia nei tuoi ingegneri.»
«Io sconsiglio caldamente questa iniziativa.»
«E io ne prendo atto. Ma ora dimmi: quanti potresti costruirne in una settimana?»

Il mio interlocutore prese fiato per muovere un'altra obiezione, ma la mia espressione risoluta lo fece desistere. Trattenne il fiato ancora per un istante, quindi sospirò: «Non ne ho idea.»
Trasse da un ampio tascone della sua variopinta palandrana il dispositivo personale, e toccò alcuni pulsanti. Al terzo squillo, apparve il volto di un uomo di mezza età, con sopracciglia cispose e un paio di minuscoli baffetti grigi, che gli conferivano un'aria buffa.
Elphitephoros gli ripetè le nostre richieste, e lo sconosciuto cominciò a scarabocchiare fuori dal nostro campo visivo, e a consultare il monitor di un computer.

«Possiamo facilmente riadattare la linea cinque, che fa i bilancieri, alla produzione di aste per lance. Con poco lavoro la ventidue potrà realizzare le lame, mentre la undici dovrebbe riuscire a sfornare armature e scudi.» assicurò.
«Di che numeri stiamo parlando?» mi informai.
«Difficile a dirsi. Possiamo stimare una sessantina di manici al giorno, circa il doppio di scudi o armature, un numero intermedio tra questi per le punte di lancia e le spade.»

Finalmente delle cifre che ero contento di sentire. «E per le macchine volanti?»
Il tecnico armeggiò un momento col computer. «Dipende da quante risorse vogliamo dedicargli.»
Il nostro mecenate fece per rispondere, ma io lo prevenni: «Tutte. Ipotizziamo di dedicare a questo progetto ogni macchinario vagamente utile.»
Quest'ultima risposta si fece attendere più delle altre. L'uomo fece e rifece i suoi calcoli, mentre tutti pendevamo dalle sue labbra in religioso silenzio. Infine decretò: «Con tutte le linee a pieno regime, escluse quelle che abbiamo citato poc'anzi, credo non sia azzardato pensare di realizzare tra i cinque e i sei veicoli al giorno.»

Rimasi a bocca aperta. La fabbrica di Elphitephoros era immensa, ma non mi aspettavo che avesse una simile capacità. Per costruire un Fuco era necessaria circa una settimana!

«Ma è meraviglioso! Fantastico!» esclamò Takoda, ormai incapace di contenere l'entusiasmo. «Tutti i popoli dell'Immensità saranno in debito nei tuoi confronti, Elphi!»
«Ha ragione.» confermai. «Sono certo che intanto hai la riconoscenza di tutti i nostri duecento soldati. E sono convinto che anche le tue dodici guardie armate saranno liete di apprendere che stai cercando di garantirgli un futuro!»

Avevo voluto sottolineare la disparità tra le nostre forze, per ricordare al Cetoniano che non gli conveniva tentare scherzi; subito dopo averlo detto, però, mi sentii profondamente in colpa. Anche se velata, la mia era stata comunque una minaccia, della quale tra l'altro non c'era alcuna necessità, dal momento che il nostro partner aveva accolto tutte le mie richieste.

Mi sentivo come un bambino che prova a fare il gradasso in una conversazione tra adulti, senza essere certo di averla compresa appieno. Cercai di comporre nella mia mente una frase che mi consentisse di scusarmi senza fare marcia indietro, senza riuscirci.

Fu il mio ospite a parlare per primo. «Capisco che molte responsabilità gravano sulle tue spalle, ma non devi essere preoccupato: la mia parola è tutto per me, la mia reputazione è l'unica garanzia che posso offrire quando faccio un accordo. Non sono mai venuto meno a un impegno, e onorerò anche questo, qualunque sia il prezzo da pagare.»
Così dicendo, mi porse la sua gigantesca mano, e io la strinsi con gratitudine. 

«Grazie, anche per la tua pazienza e comprensione.» dissi, sperando che in quelle parole lui potesse cogliere anche delle scuse.
«Se le cose vanno bene, mi aspetto di essere ripagato con gli interessi. È bene che tu lo sappia!» tuonò, lasciandosi andare ad una fragorosa risata, che annullò la tensione accumulata.

«Lo prometto.»

***

Terminata la conversazione con il mercante, ci appropinquammo al cancello, dove le Idrometre si erano fermate ad aspettarci. Alla testa del gruppo c'era Niyol che, vedendomi arrivare, mi venne incontro porgendomi la mano.

Anziché stringergliela, però, lo salutai come era in uso tra i guerrieri del suo popolo: con una reciproca e virile presa dell'avambraccio.
L'incessante chiacchiericcio di Takoda aveva anche i suoi lati positivi: durante il mio soggiorno al villaggio, avevo appreso diverse nozioni sui costumi del suo popolo, e speravo che quel gesto potesse impressionare favorevolmente le nostre nuove reclute.
Dopo un attimo di sorpresa, l'altro ricambiò con vigore il saluto e, quasi subito, qualcuno gridò: "Viva Niyol del vento! Viva Duncan il Temerario!"

I presenti proruppero in una ovazione spontanea e, posati a terra i fagotti, presero a battere tutti insieme i manici degli arpioni contro il terreno. Io e il mio compagno ci sorridemmo e, di comune intesa, prolungammo ancora un po' quella cerimonia, di modo che tutti potessero vedere che tra noi c'erano stima e fiducia.

Non ero affatto geloso di condividere il potere con lui. Anzi, era una buona cosa che ogni etnia avesse un proprio esponente a cui fare riferimento, fintanto che questi ultimi non fossero stati in disaccordo tra loro.

Chiesi di essere aggiornato ulteriormente sulla situazione.

Il capo villaggio non aveva ritenuto di potersi privare di altre Libellule, in compenso potevamo disporre di due Gerridi (i rapidi catamarani che già conoscevo) e perfino di una Notonetta, uno dei loro lenti ma affidabili pescherecci a motore.

Secondo lui, la colonna di profughi si trovava a meno di due ore di marcia. Decisi allora di attenderla lì, per contribuire a smistare le persone, e diedi indicazioni ai nuovi arrivati di proseguire fino alla Cattedrale di Rovo, dove qualcuno avrebbe trovato loro una sistemazione.

SPAZIO AUTORE

Rieccoci con le avventure dei nostri piccoli amici. Vi sono mancati?

Che dire, Duncan ha un futuro come rappresentante commerciale di... beh, direi di qualsiasi cosa. XD Almeno ora sappiamo che carriera potrebbe tentare, una volta finita la guerra. ;p

Questo capitolo è un po' più lento dei precedenti, credo, ma piuttosto importante: le battaglie non si vincono con i forconi, come la storia ci ha amaramente insegnato, e il nostro eroe è stato bravo a preoccuparsi dell'equipaggiamento e dei mezzi.

Nella prima parte avevo usato il termine "sfrutteremo i profughi come forza lavoro" ma, considerata la situazione che stiamo vivendo, mi è sembrato troppo attuale e soprattutto fraintendibile, e ho provato a modificare un po' la frase. I ribelli non "sfruttano" nessuno, ma mi è parso sensato immaginare che i fuggiaschi in salute siano disposti a fare la loro parte per contrastare l'invasore: non necessariamente combattendo, ma anche offrendosi come aiuto. ;)


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