DUNCAN
Nella mia mente sconvolta si fece largo un ricordo.
Quando il mio primo insegnante si era reso conto del mio talento, mi aveva proposto per la squadra acrobatica, affinché potessi imparare i trucchi da un asso dell'aviazione.
Allorché mi accingevo a fare il mio primo volo come passeggero insieme al sergente O'Brian, i miei compagni mi misero in guardia: tutti si erano sentiti male la prima volta.
Io, che non perdevo mai occasione per fare lo sbruffone, avevo proclamato a gran voce che, poiché ero già un pilota provetto, non avrei avuto nessun problema. Purtroppo per me, l'istruttore mi aveva sentito e aveva fatto della questione un punto d'onore. Durante una picchiata incontrollata a motore spento, quando era ormai inevitabile, secondo me, lo schianto, avevo urlato come un pazzo.
Evitammo la parete rocciosa del canyon di un soffio, al punto che lo spostamento d'aria generò una grande nuvola di polvere. Tuttora non sarei in grado di replicare quella manovra.
Quando sbarcammo, assicurandosi che tutti i miei compagni potessero udirlo chiaramente, il sergente mi disse: «urlare non ti renderà un pilota migliore, né potrà in alcun modo esserti d'aiuto nelle difficoltà.»
Mentre tutti ridacchiavano, però, aggiunse: «inoltre, è molto pericoloso: potresti tranciarti la lingua e dissanguarti. Controllati, o finirai per essere ucciso dalla tua stessa stupidità, anziché dal nemico».
Fu la prima volta in cui ebbi l'impressione che gli importasse di me, nonostante ce la mettesse tutta per dimostrare il contrario.
Ancora una volta i suoi consigli mi furono preziosi: forse sarei morto, ma non potevo permettere che succedesse perché mi ero lasciato prendere dal panico. Serrai di scatto la mascella, e fu come premere un interruttore, come se con quel gesto avessi riacquistato il controllo del mio corpo.
Finalmente lucido, valutai la situazione. I primi Steli del percorso erano sgombri, ma sotto di noi c'era un groviglio di rami, corde e piattaforme apparentemente impraticabile.
Non è che non credessi alle storie sull'energia spirituale; ma erano distanti dalla mia cultura, faticavo a capirle, e in quel momento non avevo il tempo per approfondirle ulteriormente.
Dovevo improvvisare, e pure in fretta.
Ero certo che quanti avevano vissuto quell'esperienza prima di me non potevano essersi affidati esclusivamente al Flip: dovevano aver trovato un sistema, ma quale?
In quel momento sentii la mia cavalcatura irrigidirsi. Stava cercando di muoversi, ma la mia presenza glielo impediva.
Colto da un'intuizione improvvisa, rilassai il più possibile ogni muscolo, pur reggendomi saldamente alla sella con le mani e i piedi. Appena si sentì libero, il bruco si raggomitolò su se stesso e si distese di scatto come una molla. Il filo di seta fluttuò alle nostre spalle come dotato di vita propria, quindi si appiccicò alla fronda che avevamo evitato per un soffio.
Sentii le due paia di zampe posteriori dell'animale stringere con forza contro il cavo, rallentando la fuoriuscita del materiale; quindi compimmo un giro completo intorno al ramo, rallentando sensibilmente, e ci inabissammo ancora nel labirinto di frasche.
Mi lasciai andare ad un ululato di esultanza.
Fu un'esperienza esaltante e agghiacciante al tempo stesso. Era proprio come l'Airboard: sulla tavola a reazione non si può contrastare il vento, bisogna imparare ad assecondarlo. Allo stesso modo, il Bruco sapeva benissimo cosa fare, l'importante era che io non lo intralciassi. Senza incertezze, inarcava bruscamente il corpo muscoloso, ancorando qua e là il filo di seta mentre continuava a scendere ad una velocità assurda.
Ad un certo punto, mi resi conto che stavamo andando nella direzione sbagliata: il punto d'ancoraggio era vicino, ma alla destra di un grosso ramo, mentre noi avevamo imboccato la direzione opposta. Ora che avevo scoperto di poter sopravvivere a quel gioco crudele, era il momento di stupire Lin-Yu e convincerla a fidarsi di me.
«Hey, bestione! Dobbiamo andare di là!» Sbraitai, picchiando due volte il mio ginocchio sul suo fianco sinistro, in modo simile a quello che avevo visto fare ai conduttori dei Grilli.
Non so se fu un colpo di fortuna, ma funzionò: il Bruco si appallottolò, si contorse e si flesse fino a cambiare direzione. Superammo il tronco sfiorandolo di pochissimo; le urla eccitate del pubblico che assisteva dalla cima furono talmente forti da raggiungermi fino a lì. Il punto di ancoraggio era dipinto in modo da poter sembrare una piccola mela, visto dall'alto. Appena l'animale lo notò, si diresse spontaneamente verso di esso.
Rallentando finalmente la nostra folle corsa, raggiunse il punto di ancoraggio e vi si aggrappò, con un tonfo sordo che mi riverberò nelle viscere. Alcuni inservienti ci vennero subito intorno e, agganciato il prezioso filo di seta con degli uncini dal lungo manico, lo fecero avvolgere e appiccicare in una sede ricavata appositamente nell'oggetto, proprio mentre il bestione smetteva di tesserlo. Un'altra persona agitò davanti al muso della mia cavalcatura un forcone con un grosso pezzo di mela conficcato nei rebbi, e lo attirò un po' più lontano.
Raggiunto il premio, l'animale lo afferrò saldamente con le quattro paia di zampe più avanzate, e sbuffò soddisfatto. Lo stalliere liberò l'attrezzo, e io approfittai di quel momento per smontare. Le gambe mi tremavano, ma a dire il vero mi sentivo più euforico che spaventato. Feci qualche passo portandomi accanto alla testa del Bruco e lo accarezzai dietro la nuca; quello però era talmente concentrato sul cibo che mi ignorò.
«Gli diamo la mela per mantenere l'illusione visiva del punto di ancoraggio, e affinché siano stimolati a continuare a saltare volentieri, anche in futuro.» Mi spiegò lo stalliere. Io annuii sorridente, ma, prima che potessi rispondere, una serie di versi attirò la mia attenzione.
I tre uomini che si erano occupati di assicurare il cavo stavano ora faticando intorno al punto di ancoraggio, dal quale adesso, radialmente, spuntavano quattro lunghi pali.
Realizzai così che quello altro non era che un grosso argano. Il pavimento della piattaforma su cui mi trovavo era inclinato di oltre quarantacinque gradi: non bastava riattaccare il cavo, quei poveracci dovevano attorcigliarlo a forza di muscoli fino a raddrizzare il piano.
Vedendo che una delle postazioni era libera, la occupai senza esitazioni e cominciai a spingere assieme a loro, coordinando gli sforzi al grido di "issa".
Come era nel mio carattere, finii col trasformare quell'attività in una prova di forza, una sfida giocosa alla quale tutti vollero prendere parte. Ci voleva una forza considerevole per manovrare gli argani, e le squadre di operai si davano continuamente il cambio cercando di sfiancarmi. Quando Lin-Yu ci raggiunse, parecchio tempo dopo, avevo già contribuito a tendere le corde di altri due meccanismi.
Me ne stavo appoggiato a uno dei bracci, esausto ma euforico. Avevo finito col restare l'unico alla ruota, mentre gli altri, che pur si erano alternati, erano stramazzati a terra per riprendere fiato.
«È un mostro!» Soffiò uno di loro.
«Basta, non ce la faccio più!» Rincarò un altro.
«Sei un demone, straniero! Non solo sei dotato di una forza erculea, ma sembra che le tue energie siano inesauribili!»
Sorrisi soddisfatto. Anche se i miei muscoli avrebbero risentito di quello sforzo per qualche giorno, mi stavo beando di quei complimenti.
Ero costretto ad ammetterlo: l'ammirazione degli altri, che ero abituato a suscitare quando vivevo all'Alveare, mi era mancata.
Si era trattato comunque di uno scontro impari: per quanto forti, quei civili non potevano disporre di un corpo come il mio, risultato di anni di addestramento da parte del miglior esercito del mondo.
«Ti sei tenuto occupato, mentre aspettavi!» Notò la figlia del presidente.
Non mi ero accorto della sua presenza, ed in un certo senso mi dispiacque vederla apparire: il suo arrivo, infatti, smorzò immediatamente le risate e annullò il clima conviviale che ero riuscito ad instaurare.
«Le Farfalle sanno come divertirsi!» esclamai.
Lei mi sorrise di rimando. «In realtà no, non molto. Ma di sicuro non ci annoiamo.»
«Allora!» la interpellai, gonfiando i muscoli per metterli in mostra, quasi senza nemmeno volerlo. «Che ne pensi del mio Flip?»
La donna ammiccò. «Notevole.» ammise, quindi tornò seria: «a te può essere sembrato uno scherzo, ma sono passati oltre cent'anni dall'ultima volta che qualcuno ha cavalcato un Bruco!»
«Dovreste farlo più spesso!» ridacchiai.
Una squadra di quattro operai freschi sopraggiunse per dare il cambio a quelli stanchi, e stavolta fui lieto di lasciar loro il mio posto. Mentre recuperavo i vestiti che avevo lasciato appesi a una balaustra, gli altri mi salutarono scherzando e mi invitarono a bere con loro alla fine del turno.
«Sai anche farti rispettare e benvolere dagli uomini. È una dote importante, per un capo.» osservò il ministro.
«Non sono capo.» replicai, asciutto.
Già, e cos'ero allora? Portavoce? Addetto alle pubbliche relazioni?
«Lo diventerai presto.» mi assicurò lei.
Ci fermammo prima di imboccare l'ennesimo ponte di corde, e Lin-Yu puntò le sue iridi di giada su di me. «C'è bisogno di un leader carismatico da poter seguire, quando si inizia una battaglia persa in partenza. E tu hai tutte le carte in regola per diventarlo: il tuo Flip è potente, esuberante ed esibizionista... ma anche puro, sincero, altruista.
Sei una persona fuori dal comune, Duncan l'Ape.»
Non mi aspettavo una simile attestazione di stima da una rigida burocrate che mi aveva appena conosciuto, e rimasi senza parole, perdendo l'occasione di rispondere "lo so".
Il suo sguardo si addolcì un po'. «Ho deciso di credere in te. Ti appoggerò, insieme a tutte le Farfalle abili alle quali la condotta di mio padre sta stretta. E sono più di quante si potrebbe pensare.»
Ce l'avevo fatta! Non più gravato dal peso del fallimento, all'improvviso venni raggiunto dalla stanchezza: le gambe mi sembrarono due blocchi di granito. Ero sfinito, al punto che perfino lei se ne accorse.
«Passa la notte qui, bevi con i tuoi nuovi amici e riposati. Domani mi lascerai detto dove raggiungervi e, appena ultimati i preparativi, partiremo.»
Molto più tardi quella notte, con una gran quantità di Sake nel corpo, mi stesi sullo stuoino insieme ai miei compagni e guardai le stelle che, oltre le fronde, brillavano solitarie.
«Ho fatto quello che mi hai chiesto, Ash!» pensai. «Ho trovato le persone. Ora tocca a te!»
SPAZIO AUTORE
Ritorna il nostro aviatore preferito, con un altro capitolo pieno di azione.
Spero vi sia piaciuto. ^_^
In questa parte emergono alcuni dei tratti più umani di Duncan, a cominciare dalla paura prima di lanciarsi di sotto, che si trasforma in vero e proprio panico quando ormai è troppo tardi per tornare indietro. Gli eroi senza paura non mi hanno mai convinto troppo ;)
Inoltre, per quanto possa essere migliorato e cresciuto, non può fare a meno di pavoneggiarsi con la donzella, né di fare lo sbruffone e misurarsi con gli altri maschi. E alla fine ammette che l'ammirazione degli altri gli era mancata.
Cambierà mai? :p
E che dire del meraviglioso nuovo banner che comincio a sfoggiare da questo capitolo?
Merito della bravissima (e gentilissima) @Bloody95Wolf , alla quale mi sembra giusto e bello dedicare questo primo capitolo che lo utilizza.
Ancora un enorme GRAZIE a lei per questo splendido, davvero apprezzato, regalo.
A presto!
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