38. Tra i rovi
ASHLIE
Viaggiammo evitando le piste battute dai nostri connazionali, per evitare incontri indesiderati.
Ciò significava, però, condurre i mezzi in un groviglio di steli di piante, erbacce e sassi. La guida era impegnativa e i violenti e continui scossoni non erano certo piacevoli per chi stava nel cassone posteriore degli Atta.
Io e Tossina disponemmo di fare una sosta ogni ora e mezza, massimo due, di marcia.
Speravo che il viaggio potesse essere l'occasione per cementare il gruppo, ma i miei seguaci e quelli di Tossina restavano sempre separati, e spesso sorprendevo gli uomini dell'una o dell'altra parte a guardarsi con sospetto. Anche se nessuno si lamentava apertamente per le ristrettezze del viaggio né recriminava sulla scelta compiuta, la tensione era palpabile, e io temevo che una piccola scintilla potesse innescare un'esplosione.
Ricacciai indietro la sensazione di scoraggiamento che già mi mordicchiava le caviglie: se perfino persone provenienti dallo stesso clan, accomunate dagli stessi desideri, finivano con il dividersi in due fazioni, come potevo pensare di riunire tutti i popoli dell'Immensità sotto un'unica bandiera? Credere che potessero mettere da parte odi centenari era una semplice utopia?
Provai a chiedere aiuto a Douglas.
«I civili guardano ai militari con sospetto, ed essi non sanno fino a che punto possono fidarsi di questi estranei.» fu la sua analisi. «Hanno obiettivi comuni, ma ora hanno bisogno anche di esperienze comuni, che li uniscano.»
«Speravo che questo viaggio potesse esserlo.» osservai.
«Non basta. Non per lo spirito di appartenenza che vogliamo forgiare.»
«E cosa ci serve, allora?»
Il ribelle sollevò la gamba malata e, in un riflesso istintivo, si mise a grattare l'arto artificiale con due dita.
«Una battaglia.» decretò infine. «Devono lottare insieme per quello in cui credono, devono rischiare insieme, spalleggiarsi e capire che possono fidarsi l'uno dell'altro. Solo questo può funzionare.»
Feci vagare lo sguardo sull'accampamento improvvisato.
Una parte di me aveva sperato che, se proprio si fosse rivelato inevitabile, il momento di combattere arrivasse il più tardi possibile. Ora però, per la prima volta, mi rendevo conto che c'era la possibilità che un esercito senza guerra venisse sconfitto dall'inattività.
Giungemmo in vista delle Bugs' Industries a sera inoltrata.
Il complesso era un'isola di luce nell'oscurità. Già dal limitare della giungla si distingueva l'enorme fabbrica e, poco oltre, i laboratori e gli uffici dove scienziati e ingegneri progettavano e testavano le loro invenzioni; ancora più in là era sorto un minuscolo quartiere residenziale, dove vivevano i dipendenti con le proprie famiglie.
Ciononostante, anche da quella distanza, era il Bazar Cetoniano a colpire di più: l'immenso magazzino era illuminato a giorno da fari così potenti da non aver nulla da invidiare ai proiettori della nostra contraerea.
Al cancello principale due guardie armate ci sbarrarono il passo. Eravamo tutti stanchi, accaldati e nervosi, ed io ero davvero preoccupata che qualcosa potesse andare storto. Gli sconosciuti erano di corporatura massiccia, carnagione molto chiara e capelli color avorio, ma più ancora di questi tratti furono le loro armature a consentirmi di identificarli immediatamente come appartenenti alla tribù degli Onischi: solo loro conoscevano la tecnica per lavorare l'acciaio in quel modo, rendendolo sottile ma ugualmente resistente.
Ero pronta a dover insistere per fargli convocare il padrone di casa, ma quelli non fecero nessuna storia e si limitarono a inoltrare la mia richiesta attraverso il dispositivo personale.
Davo per scontato che il più grande mercante del continente avesse di meglio da fare che accogliere personalmente dei disertori nel cuore della notte, invece di lì a poco apparve al nostro cospetto, in persona. Era un uomo imponente, probabilmente il più alto che avessi mai incontrato; nonostante la pancia, non dava affatto l'idea di flaccidità, anzi: sembrava contenere una grande energia.
Ci accolse letteralmente a braccia aperte, esclamando: «Benvenuti, cari amici! Cosa posso fare per voi?»
Gli riassunsi brevemente le circostanze che ci avevano portato ad abbandonare la nostra patria; mentre parlavo mi sentivo valutata da quegli occhi intelligenti, schermati da un sorriso di circostanza.
«Quindi vi serve un posto dove stare?» indagò.
«Non esattamente. Vogliamo stabilire il quartiere generale dell'Esercito dei Popoli Liberi.»
«Di quante persone stiamo parlando?»
«Non lo sappiamo ancora, dipenderà da tante cose. Speriamo molte.»
«Abbiamo quasi completato un nuovo quartiere residenziale.» rifletté il mio ascoltatore. «Ma non so se...»
«Non ci servono alloggi civili!» s'intromise Tossina.
Il mercante inarcò appena un sopracciglio: era evidente che si stava domandando cosa volessimo da lui, dal momento che rifiutavamo la sua offerta.
«Vorremmo costruire un accampamento nella Foresta di Spine.» Spiegai, riprendendo la parola prima che il mio ex superiore lo facesse innervosire. «Il mio fidanzato, Duncan l'Ape, è certo di poter contare sul tuo aiuto.»
La trasformazione che il nome del mio amato produsse nel mio interlocutore fu impressionante. Abbandonata ogni maschera di circostanza, distese il volto in un sorriso sincero.
«Ah, Duncan! Che persona straordinaria! Certo che vi aiuterò, sarà un grande piacere per me! E si dà il caso che io conosca il posto adatto...»
Elphitephoros insistette per accompagnarci personalmente, e ci fece strada attraverso un sentiero appena segnato. Lo accompagnammo in quattro, due per "fazione" : io, Douglas, Tossina e un sottufficiale di cui non conoscevo il nome. Il nostro Cicerone, invece, era scortato da altri quattro Onischi in armatura che, sebbene di corporatura notevole come i loro connazionali incontrati al cancello, sembravano mingherlini se confrontati con il loro padrone.
Il mercante parlava senza sosta, e di un unico argomento.
«Ti ha raccontato di come si è lanciato da un aereo ad un altro, solo con una corda e la tavola a reazione? Che coraggio! Per non parlare del fatto che sia riuscito a combattere i pirati con quel pezzo da museo! L'avevo comprato giusto per fare un po' di scena, nella speranza di dissuadere i predoni... Non mi aspettavo certo che potesse avere una chance in uno scontro. Invece, nelle sue mani, perfino un oggetto d'antiquariato come quello può diventare un'arma letale.»
Io mi limitavo a sorridere e annuire, a disagio. Un passo dietro di me, Tossina sbuffava, visibilmente irritato da quella continua propaganda.
Per quanti tentativi facessi di sviare il discorso, il mercante finiva col tornare sempre lì.
«Come sono folti i rovi in questo punto.» osservai, additando la volta verde-grigio sopra le nostre teste. «Dovrebbero offrire una buona protezione in caso di attacco!»
«Oh, sì! Sono assolutamente impenetrabili.» convenne la nostra guida. «Mi fa venire in mente il mio primo incontro con Duncan: anche dove l'ho trovato sembrava che niente potesse oltrepassare la vegetazione, eppure lui era riuscito ad attraversarla quasi indenne col paracadute. Che uomo!»
Un fugace sguardo alle mie spalle mi permise d'intravedere Tossina che roteava gli occhi verso il cielo.
Il mercante era diventato fan del mio ragazzo, al punto da non rendersi conto che il suo entusiasmo sortiva l'effetto opposto, in chi veniva addestrato fin da ragazzo a odiare le Api.
Per fortuna, avevamo ormai raggiunto la nostra destinazione.
I rovi crescevano così folti che, già da alcuni minuti, eravamo costretti a procedere in fila indiana dentro quello che sembrava un tunnel di piante. All'improvviso, però, quelle pareti opprimenti scomparvero, lasciando il posto a un vasto ambiente a pianta circolare, delimitato da una volta di rami intrecciati. Lo spazio disponibile era molto: anche se non aveva una superficie regolare, l'area calpestabile doveva aggirarsi attorno ai trenta steli di diametro, e nel punto più alto ne misurava almeno sei.
Elphitephoros attese all'imboccatura della galleria con i suoi uomini, mentre noi proseguivamo, esplorando ogni granello con lo sguardo.
Era un posto perfetto per installare il nostro quartier generale: irraggiungibile se non attraverso la strada che avevamo appena percorso, protetto, e soprattutto grande a sufficienza.
Tossina abbracciò l'intero ambiente con lo sguardo, quindi annuì con convinzione.
«Andrà bene.» Asserì.
Quindi diede disposizioni al suo sottoposto. «Caporale, organizzi gli uomini in squadre: bisogna allargare il passaggio in modo che i veicoli possano passare. Inoltre voglio che venga predisposto un punto di guardia rialzato all'imboccatura del tunnel.»
L'altro scattò sull'attenti esclamando «Signorsì!» e si allontanò a passo spedito.
«Lasciatevi aiutare anche dal mio gruppo!» Dissi d'impulso.
L'ufficiale mi rivolse uno sguardo sprezzante. ««Non ci serve l'aiuto dei civili.» decretò, quindi mi diede le spalle, ignorandomi deliberatamente, per sottolineare che la conversazione era finita.
Tossina mi intimidiva: anche se per breve tempo, era stato il mio istruttore, e mi ero abituata a prendere ordini da lui. Inoltre, aveva un curriculum quasi ineguagliabile, nonostante la giovane età: era un uomo abituato a raggiungere l'eccellenza, qualunque fosse la sfida che gli si poneva di fronte.
Perché mai avrebbe dovuto dare ascolto a una ragazza inesperta come me?
Eppure, se volevo che la nostra impresa avesse qualche speranza di riuscita, dovevo insistere. Decisi che la mia migliore arma era la sincerità.
«Non ne dubito.» concessi. «Ma abbiamo tutti bisogno di imparare a collaborare, e questa è un'ottima possibilità per cominciare.»
Lui roteò gli occhi, infastidito. «ci sareste soltanto di intralcio.»
«Andiamo! Non serve un'intelligenza superiore per tagliare rami e scavare il terreno!»
«Non si tratta di intelligenza, ma di organizzazione. Noi siamo addestrati a cooperare per un obiettivo, mentre...»
«Bla bla bla! La grandezza della Colonia sta nel saper valorizzare ogni risorsa!»
Il militare sgranò gli occhi, sbigottito. Non avrei saputo dire se più per la mia citazione o per come l'avevo interrotto, facendogli il verso.
«La rivoluzionaria ora cita i testi scolastici?»
«Ho studiato anche io.»
«Non eri quella che voleva cambiare tutto?»
«No. Io voglio cambiare ciò che nella nostra società è iniquo e ingiusto. Valorizzare le persone, facendole sentire parte di un qualcosa, non lo è. Anzi, è grandioso!»
«Che cosa vuoi da me, recluta? Dovremmo fraternizzare con quella mandria di falliti?»
«Ascolta. Tra poco qui cominceranno ad affluire persone di ogni etnia conosciuta. Idrometre, Ragni, Farfalle...»
«E allora? Temi che il tuo mirabolante leader non sia abbastanza carismatico per tenerli tutti sotto?» mi provocò lui.
Mi morsi la lingua per ricacciare indietro la rispostaccia che mi era venuta in mente, presi un bel respiro e riuscii a replicare in modo pacato. «Temo che non avrà nulla da comandare.»
«Noi non scapperemo di certo!» scattò Tossina, punto sul vivo.
Aveva frainteso. Tentai di adottare un tono più dolce. «Siamo qui per costruire un unico esercito, formato da tanti individui. Come le molte cellule che costituiscono un organismo.»
Lui mi ascoltava in silenzio, attento ma non più ostile. Ne approfittai per proseguire. «Ma cosa succede se le cellule non vanno d'accordo tra loro? Se non comunicano, se non... collaborano.»
«Non abbiamo bisogno di loro.» insistette, col tono di un bambino capriccioso.
Sorrisi con accondiscendenza e proseguii con la mia similitudine. «Non tutte le cellule in un corpo umano sono neuroni, o fanno parte del cuore. Eppure, tutte sono importanti, tutte contano. Tutte sono indispensabili, anche quelle apparentemente più insignificanti e banali: perché solo tutte insieme possono creare un essere vivente sano e completo.»
Tossina sbuffò. «Quanto sei noiosa!»
In quel momento, il sottoposto tornò da noi, si mise sull'attenti e fece il saluto militare.
«Tutto fatto, comandante!» dichiarò, visibilmente soddisfatto per il poco tempo che ci aveva messo.
Il suo superiore mi guardò negli occhi. Era intelligente, ed ero certa che avesse capito cosa volevo dire. Ma sarebbe stato disposto a passare sopra al suo orgoglio?
«Caporale.» chiamò Tossina. «Ripeta la divisione in gruppi. Ne voglio tre: dobbiamo occuparci anche di quest'area, ripulirla e piantare le tende.»
L'altro esitò, a disagio. «Sissignore. Ma questo allungherà un po' i tempi: abbiamo pochi uomini.»
L'ufficiale mi fissò, e per la prima volta dall'evasione lo vidi rilassarsi e sorridere.
«C'è un modo semplice per aumentare gli effettivi. Voglio che i membri del team di Ashlie siano inclusi in ognuna delle tre squadre. In questo modo faremo molto prima.»
«Ma, signore... con tutto il rispetto...»
«Qualcosa non è chiaro? Devo ripetere?»
Trattenni a stento una risatina. Era stata la primissima cosa che avevamo imparato su di lui, la prima mezz'ora di addestramento. "Ascoltatemi bene, perché non mi piace ripetere le cose più di una volta." ci aveva detto. Molti l'avevano imparato a proprie spese.
A quanto pareva, il caporale doveva essere tra questi perché, senza una parola, fece il saluto e corse via per la seconda volta.
«I soldati dovrebbero essere così.» rimuginò Tossina. Ora mi sorrideva, i suoi lineamenti si erano addolciti.
«Ubbidienti?» tentai.
Lui scosse la testa. «Dovrebbero essere il braccio che protegge i sognatori, e le gambe su cui si sostiene il futuro. Parlavo di me, non di lui: io voglio proteggere te, e sostenere il domani che hai immaginato.»
Era una riflessione così profonda e inaspettata che per un attimo restai senza parole, letteralmente a bocca aperta. Non sapevo che dire e, assecondando l'istinto, finii per abbracciarlo forte.
Il militare s'irrigidì per un attimo, quindi ricambiò la stretta.
«Non cambiare mai.» mi sussurrò all'orecchio.
«Signorsì, comandante.» scherzai io.
SPAZIO AUTORE
E niente... è impossibile resistere al fascino della nostra Ash.
Il suo entusiasmo, la sua genuinità finiscono sempre per venire allo scoperto e contagiare chiunque le stia vicino, qualunque siano il suo ruolo e il suo rapporto con lei... e Tossina non fa eccezione.
Con un piccolo contributo da parte del nostro amico mercante, i nostri hanno appena fondato il loro quartier generale. Il luogo sembra ottimo, ma per il momento sembrano essere ancora in quattro gatti. Come pensano di avere una chance contro i "marines" delle Api? XD
Speriamo che, al momento giusto, i nostri eroi sappiano tirar fuori l'idea giusta dal cilindro.
Per il momento, lasciamogli sistemare le brande e riposarsi un po', dai!
A presto.
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