37. Spirotropoli
DUNCAN
Il viaggio verso la città delle farfalle fu rapido e agevole, grazie soprattutto al tempo splendido e a una costante brezza da Sud-Est.
I miei compagni erano elettrizzati da quella che vedevano come la nostra prima vittoria; io invece non riuscivo a togliermi dalla testa l'immagine di Hudson con l'arma puntata contro di me.
Se il proiettile non avesse colpito il Bombo, mi avrebbe davvero ucciso? Ero sfrecciato in cielo schivando le pallottole, eppure mi era mancato il coraggio per chiederglielo di persona. Avevo troppa paura di sentirmi sputare in faccia una risposta affermativa.
Avevo abbandonato l'aereo mentre quello ancora continuava a prendere quota, e mi ero tuffato in picchiata per evitare di essere fatto a pezzi dalla palla di fuoco, trascinandomi dietro a peso morto il corpo esanime del mio amico. Poi la bomba era esplosa: l'onda d'urto mi aveva quasi fatto perdere l'equilibrio, ma per fortuna ero riuscito a riprendermi in fretta e avevo proseguito la discesa.
Distratta dallo scoppio, la squadriglia di Fuchi non mi aveva notato.
Perso il loro unico vantaggio, e ancora sotto il fuoco della contraerea del Formicaio, gli attaccanti avevano infine deciso di abbandonare la missione e si erano ritirati.
Io ero atterrato su un ranuncolo, avevo deposto il fagotto ancora incosciente nel centro del fiore e avevo atteso che gli altri venissero a recuperarmi. Come me, anche Hudson aveva un segnalatore, ed ero certo che, appena avessero captato il segnale, dall'Alveare avrebbero rimandato qualcuno indietro per prelevarlo.
Mentre aspettavo i miei compagni, mi ero seduto lì accanto a lui. Possibile che gli anni trascorsi insieme non contassero nulla, che potesse dimenticarsene così, come se non fossero mai nemmeno esistiti?
Anche mentre conducevo il mio mezzo sopra il mare d'erba, continuavo ad interrogarmi sulla questione. Forse ero davvero io a essere diverso, proprio come Ashlie tra le Formiche.
Preso come ero dalle mie elucubrazioni, non mi accorsi nemmeno che stavamo raggiungendo la nostra meta, e Spirotropoli mi apparve davanti quasi all'improvviso.
Avevo visto la città delle Farfalle in fotografia, all'Accademia, ma le immagini non le rendevano assolutamente giustizia; inoltre dovevano anche essere piuttosto datate, risalenti a quando l'insediamento era molto più piccolo.
Era uno spettacolo davvero singolare: gli edifici, capanne di fibra vegetale con il tetto di paglia, poggiavano su una serie apparentemente infinita di piattaforme di legno; queste ultime erano incastonate nei rami o ne pendevano, appese a delle funi, ed erano tutte collegate tra loro da ponti di corde che dondolavano pigramente nel vento. Ogni blocco ospitava piccoli gruppi di abitazioni, tutte simili tra loro.
L'albero che faceva da supporto a quelle costruzioni era talmente grande che il suo tronco si scorgeva in lontananza come una massa scura, simile a una montagna.
Purtroppo, la maestosità di quel luogo antico era già stata turbata dalla guerra: qua e là ancora si sollevavano colonne di fumo; ad alcune piattaforme erano stati recisi dei cavi, e ora pendevano da un lato, molti pontili erano bruciati. Eppure, l'aviazione delle Api non era riuscita a portare una devastazione simile a quella che avevamo visto ad Aràcnia, nonostante a quanto ne sapessi le Farfalle fossero praticamente indifese.
La vegetazione era così folta che i Fuchi non potevano avvicinarsi troppo, così solo pochi proiettili erano riusciti a superarla. I rami erano tanto spessi che nemmeno i missili riuscivano a fare nulla più che annerire la corteccia. Solo le parti più esterne ed esposte erano state danneggiate; il cuore dell'insediamento era rimasto pressoché illeso.
Già da lontano scorgemmo gli odiati volantini di Winthrop che svolazzavano in giro, simili a fastidiosi germi portatori di un morbo contagioso.
Ci librammo in mezzo alla città a bassa velocità, attenti ad evitare le corde. Lungo il percorso intravidi alcuni gruppi di frombolieri che ci tenevano d'occhio; qualcuno teneva l'arma già pronta, facendola roteare lentamente. Atterrammo su una banchina allestita allo scopo, e fummo subito circondati da alcuni guerrieri armati di lancia.
Ero già preparato alle consuete manifestazioni di astio nei miei confronti. Con mia grande sorpresa, invece, appena si resero conto di chi ero si tranquillizzarono, abbassarono le armi e insistettero per scortarmi immediatamente dal loro capo.
Perfino a me, che sfrecciavo tra le nuvole su una tavola, attraversare i ponti di corde fece un certo che. Scricchiolavano come se dovessero cedere sotto il nostro peso da un momento all'altro, e specialmente quelli più lunghi oscillavano paurosamente, soprattutto quando ci trovavamo nel centro. Ne dovemmo attraversare parecchi per raggiungere il palazzo del governo, l'unica costruzione un tantino più elaborata delle altre. Non era molto più che una capanna gigante, a dire il vero; tuttavia, ogni granello quadrato era dipinto di colori accesi o decorato con bassorilievi e incisioni. Trovammo il consiglio al gran completo ad attenderci, una sessantina di persone assise su una serie di scranni che ci circondavano su tre lati, come un abbraccio soffocante. Mentre aspettavo che qualcuno parlasse, lasciai vagare lo sguardo sulle facce che mi fissavano.
All'epoca, quella delle Farfalle era l'unica democrazia dell'Immensità.
Forse perché ciò era molto distante dalla mia esperienza, osservando perplesso i volti di quegli anziani annoiati, talvolta perfino semiaddormentati, pensai che non mi sarei sentito affatto tranquillo, sapendo che il mio futuro era nelle loro mani.
«Siamo felici di averti tra noi, emissario dell'Alveare!» proclamò con aria pomposa un uomo minuto, vestito con un completo grigio su cui spiccava una cravatta dai colori sgargianti. Era pelato, aveva le orecchie curiosamente piccole e due enormi sopracciglia cespugliose, che a quanto pare coltivava con cura, forse come compensazione della chioma perduta. Gli occhi a mandorla tipici della sua etnia erano attenti e intelligenti, e saettavano continuamente in giro come biglie impazzite. La bocca dalle labbra sottili era atteggiata in un sorriso freddo.
«Mi chiamo Ching e sono il Governatore di Spirotropoli. Il consiglio cittadino ha lungamente discusso, e siamo tutti ansiosi di conoscere i vostri termini.»
Ecco dunque spiegato il motivo di tanta gentilezza.
L'atteggiamento mellifluo e accondiscendente, tuttavia, non faceva ben sperare per i miei scopi. «Non vengo dall'Alveare, anzi: l'ho abbandonato perché il piano dei nostri vertici militari mi ripugnava . Ero venuto qui per cercare di mettervi in guardia dal pericolo incombente, ma purtroppo non ho fatto in tempo.»
Un brusio eccitato si levò dalla folla. Non ero quello che si aspettavano, e ora i politici parlottavano fitto fitto tra loro senza ben sapere che pesci pigliare. Lo stesso Ching si guardava intorno, come attendendo che qualcuno gli suggerisse cosa dire.
«Il vostro atteggiamento mi preoccupa alquanto.» ripresi, cercando di catturare la loro attenzione, anziché attendere che si riprendessero dalla sorpresa.
«Devo mettervi in guardia: non pensate di poter contrattare con le Api. L'unico termine che vi proporranno sarà la resa incondizionata, l'unico compromesso che saranno disposti ad accettare sarà la vostra completa sottomissione.»
Ora il mio pubblico sembrava infastidito. Caspita, a quanto pareva riuscivo sempre a dire le cose sbagliate. O forse le dicevo solo nel modo sbagliato.
«Sei venuto fino a qui soltanto per dirci questo?» chiese qualcuno.
«In effetti, no.» feci ancora un paio di passi, voltandomi verso il centro dell'ambiente.
«Sono venuto a dirvi che c'è ancora una speranza!» esclamai, con un tono di voce che avrebbe voluto essere squillante e coinvolgente, ma forse era solo stridulo.
«Stiamo costituendo l'esercito dei Popoli Liberi! Se uniamo tutti insieme le forze contro il nemico comune, potremo...»
«Basta così!» mi interruppe il governatore, battendo per tre volte le mani. Un manipolo di guerrieri armati spalancò le enormi porte e fece irruzione, quindi si fermò, in attesa di ricevere ordini.
«Se siete nemici del Generale Supremo Winthrop, non avete il diritto di parlare in quest'assemblea. Devo chiedervi di andarvene, in caso contrario vi farò arrestare.»
La reazione del presidente mi sembrò eccessiva, e instillò un terribile dubbio nella mia mente.
«Voi non avete nessuna intenzione di sottomettervi alle Api.» notai.
«Le Farfalle non hanno mai piegato la testa di fronte a nessuno.» sogghignò il mio interlocutore.
«Allora... Non sarà che volete allearvi con loro?»
Il politico scoppiò a ridere, subito imitato da diversi consiglieri sulle gradinate.
«Lascia che ti spieghi una cosa, straniero.» disse poi. ««Il tuo folle Generale non è il primo che pensa di poter venire a comandare a casa nostra. Gli diremo che Spirotropoli è sotto il suo dominio, glielo metteremo anche per iscritto, se vorrà. E tutto continuerà come sempre.»
Fece qualche passo in cerchio, facendo vagare lo sguardo sull'intero uditorio, da oratore esperto qual era.
«L'albero ci protegge.» proclamò. «Gli attacchi aerei non fanno molti danni, e un'invasione di terra è impraticabile per chiunque. Le Farfalle continueranno a essere un faro di cultura: guarderemo dall'alto voi barbari che vi massacrate a vicenda, aspettando il giorno in cui vi eleverete al nostro livello.»
«Quindi vi limiterete a non fare niente?!» sbottai. «Non andrà come pensate: stavolta è diverso! Il Generale non è tipo da...»
«Silenzio!» tuonò il Governatore. «Non ti permetterò di instillare dubbi stupidi e privi di fondamento nei cuori dei miei stimati colleghi! Il signore e i suoi accompagnatori non sono più ospiti graditi: accompagnateli fuori.» soggiunse infine, rivolto ai militari che ancora attendevano istruzioni.
Non c'era niente da fare; era evidente che, insistendo, avrei ottenuto solo di farmi arrestare.
La voce di Ching ci accompagnò fuori: «Potete restare per il tempo necessario a ricaricare le batterie dei vostri mezzi, che nessuno possa lamentarsi dell'ospitalità delle Farfalle. Ma avete il divieto di parlare con chiunque.»
***
I soldati non parevano avere brutte intenzioni nei nostri confronti: si limitarono a riaccompagnarci fino alla piattaforma in cui avevamo lasciato i nostri velivoli.
Alla fine, soltanto le Idrometre erano davvero disposte a combattere, ma da sole contro un esercito regolare non avrebbero potuto fare niente.
La mia missione di reclutamento era stata una disfatta totale: sentivo in bocca l'amaro sapore della sconfitta.
Stavo rimuginando sulla mia inettitudine, quando una voce femminile mi riscosse dai miei pensieri.
«Prendo in consegna io lo straniero, capitano. Voglio fargli fare un giro turistico.»
«Purtroppo non è possibile, ministro. Ho ricevuto precise istruzioni.»
La nuova arrivata distese le labbra in un sorriso da lupo. «Davvero? E non può fare un'eccezione? Nemmeno per me?»
L'uomo esitò, a disagio, e lei proseguì: «Sa, proprio stamattina ho notato che si è aperta una posizione per una promozione a comandante di divisione. Non ho ancora scelto a chi assegnarla, ma di certo il dipartimento terrebbe in considerazione la sua disponibilità a collaborare.» Concluse, ammiccando con lo sguardo.
L'ufficiale prese a dondolare sul posto, spostando alternativamente il proprio peso da una gamba all'altra, mentre nel suo intimo era in corso una battaglia tra il senso del dovere e il tornaconto personale. «Beh, in fondo la cosa importante è che siano sorvegliati. Suppongo che non faccia molta differenza chi se ne occupa.» si arrese, indicando con un gesto eloquente della mano che poteva prendermi in custodia.
Takoda e gli altri avevano già cominciato a spiegare i pannelli fotosintetizzanti; accortosi che lo stavo guardando, il giovane mi sorrise.
«Vai pure tranquillo, qui ci pensiamo noi.»
La donna mi fece cenno di seguirla e, senza una parola, ci incamminammo lungo un traballante ponte di corde.
Proseguimmo in silenzio fino alla piattaforma successiva, dove evidentemente la mia guida si sentiva al riparo da orecchie indiscrete. Qui giunta infatti, la donna si appoggiò al parapetto con la schiena e i gomiti e mi puntò addosso addosso un paio di bellissimi occhi grigio-verdi.
«Mi chiamo Lin-Yu, sono la figlia del Governatore Ching.»
«Duncan, piacere.» mancò poco che scattassi sull'attenti. Senza saperne il motivo, ero messo istintivamente in soggezione dal suo sguardo: sentivo di trovarmi al cospetto di un militare mio pari, ogni suo gesto trasudava l'abitudine al comando.
Essere la figlia della massima autorità politica del suo popolo la rendeva una sorta di principessa, eppure era così lontana dalla mia idea romantica che questa carica sottintendeva, da rendere vagamente buffa questa contrapposizione. Era poco più bassa di Ash ma, laddove la mia fidanzata sembrava una dea classica, lei dava l'idea di un tronco appena sbozzato a colpi di accetta. Era squadrata, solida, dritta come un palo di quercia. Il fisico muscoloso non era reso affatto femminile dal sereno abbondante, e i modi mascolini sia nel parlare che nel gesticolare non contribuivano di certo a creare un'aria aristocratica. Doveva avere tra i dieci e i quindici anni più di me.
I capelli, nerissimi, erano raccolti in due trecce gemelle arrotolate ai lati del capo; indossava un paio di semplici pantaloni di tela verde militare e una camicetta marroncina. Come il padre, aveva deciso di dare un unico tocco di colore, nel suo caso conferito dalla cintura, variopinta e appariscente.
«Sono il ministro della difesa di Spirotropoli. Ho ascoltato il tuo discorso nell'aula, e ci sono due cose che sono interessata a capire personalmente.»
Non sapendo bene come reagire, rimasi in silenzio, aspettando che lei proseguisse.
«Per prima cosa vorrei sapere se stavi mentendo.»
Sospirai sonoramente.
«È sempre la parte più difficile.» confessai. «tutti hanno le loro buone ragioni per non fidarsi delle Api, e perfino io devo ammettere che la situazione ha dell'incredibile.»
«Anche dalle altre tribù è stato difficile, dici. Su che numeri può contare il tuo esercito di ribelli?»
Non c'era ragione di nasconderle la verità, quindi, sebbene con un certo imbarazzo, le raccontai le cose come stavano.
Lei si lasciò sfuggire un risolino beffardo. «Non è granché, vero?»
«Confido che la mia fidanzata riesca a ottenere risultati migliori al Formicaio.» mormorai, quasi in tono di scusa.
Lin-Yu strabuzzò gli occhi per la sorpresa. «Mandi un'Ape nella roccaforte del nemico nel bel mezzo di una guerra?!» sbottò. «Ti rendi conto che potresti aver firmato la sua condanna a morte?»
«No, no» agitai le braccia in segno di diniego. «Lei è una Formica!»
La Farfalla strizzò le palpebre, quasi fosse in grado di sondarmi nell'intimo in quel modo.
«La tua ragazza è una Formica?» ripeté, come se non avesse capito bene.
«Sì.»
«Tu... un'Ape... Ti sei messo insieme a una Formica!»
Per alcuni era più difficile da digerire che per altri. Ci ero abituato, mi limitai ad annuire.
«Sei davvero una persona interessante.»
Quando i suoi lineamenti si distesero in un sorriso sincero, seppi di aver superato il primo esame.
«Qual era la seconda cosa che volevi capire?» Le domandai allora, un po' ringalluzzito dal suo atteggiamento.
Lei mi rivolse un sorriso enigmatico, si staccò dal parapetto e riprese a farmi strada. «Devi sapere che, nella nostra cultura, esiste una credenza comune, secondo cui ogni persona possiede una sorta di energia dello spirito, che noi chiamiamo Flip. Essa può essere buona o malvagia, forte o debole... Noi crediamo che sia il tuo Flip a determinare che tipo d'uomo sei.»
«E quindi?»
«Quindi...» riprese lei, scostandosi dall'estremità dell'ennesimo ponte di corde per farmi passare «voglio metterti alla prova per vedere il tuo Flip.»
Un test, quindi. Ottimo: me la cavavo molto meglio con la pratica che non con le parole.
La raggiunsi sul piano di assi di legno, dicendomi che, qualunque fosse la sua idea, ero pronto ad affrontarla.
Tanto per cambiare, mi sbagliavo.
SPAZIO AUTORE
Prosegue il nostro tour nelle terre dei micro-uomini: oggi siamo a Spirotropoli!
Che ne pensate di questa città, a metà strada tra il covo di "Robin Hood - principe dei ladri" e l'albero di "Avatar"? Spero siate riusciti a figurarvela.
Ricordatevi che in uno dei capitoli iniziali, quello dedicato alle mappe, c'è una meravigliosa illustrazione della città!
Ogni popolo ha reagito a modo suo: le Idrometre si danno alla fuga, i Ragni prendono tempo, e le Farfalle credono di poter infinocchiare Winthrop, dandogli qualche contentino, convinte che l'albero le possa proteggere da qualsiasi rappresaglia.
Se conoscessero il Generale Supremo come me, saprebbero che quello non è uomo da gettare facilmente la spugna, e non si accontenterà di un titolo di rappresentanza. Duncan ha provato a dirglielo, ma si sa, non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Eppure anche qui c'è chi ha orecchie buone... Cosa vorrà dirci la misteriosa Lin-Yu? :D
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