33. La cerbottana di Inigo (prima parte)
DUNCAN
Lo scenario che si presentò ai nostri occhi quando le sirene tacquero era apocalittico.
La strada principale non esisteva più: lastre di asfalto si inclinavano scompostamente in ogni direzione, simili a scaglie di formaggio stagionato sparse a casaccio da un gigante; tra di esse facevano capolino le carcasse sventrate dei veicoli che solo pochi minuti prima vi scorrazzavano sopra, alcune in fiamme, altre già carbonizzate. Colonne di fumo s'innalzavano da ogni angolo della città, e diverse aree erano prive di elettricità a causa dei danni alle ragnatele.
Le insegne luminose dei negozi, la cacofonia festante dei locali, gli annunci pubblicitari ripetuti alla nausea dagli altoparlanti: era come se la metropoli avesse chiuso gli occhi per non assistere a quello scempio, e si fosse tappata la bocca per non gridare.
Poco alla volta, la gente iniziò a fare capolino dai nascondigli improvvisati. Cercavano di assimilare la portata di ciò a cui avevano assistito, increduli.
Molti raccolsero i volantini e li lessero.
Man mano che prendevano consapevolezza, vidi lo sgomento trasformarsi in rabbia.
Qualcuno cominciò ad additarmi.
«Allontanatevi.» consigliai ai miei accompagnatori. «Non fate capire che siete insieme a me.»
«È uno di loro!» Gridò qualcuno.
«È una spia di quei bastardi!»
«Allontanatevi!» insistetti, facendo qualche passo per cercare di prendere le distanze.
«Non ho iniziato questa avventura per poi tirarmi indietro alla prima difficoltà!» sentenziò Takoda, affiancandomisi.
«Se le cose volgono al peggio, possiamo sempre chiamare Niyol perché venga ad aiutarci!» rincarò Enola, toccandomi il gomito con la mano.
Non ci fu occasione di discutere oltre: le poche voci si erano infatti unite in un'unica folla inferocita, che puntava su di noi.
Non avevo davvero idea di come fare a calmarli. Eravamo tutti disarmati, ma in ogni caso non avevo intenzione di combattere dei civili solo perché ce l'avevano con me.
L'unica opzione possibile sembrava la fuga, ma le macerie avevano trasformato il viale in un percorso a ostacoli, e la gente era dappertutto. Cosa mi restava?
La mia scarsa dialettica non sarebbe stata di grande utilità.
Mentre ragionavo in questo modo, il suono di alcuni fischietti bucò la confusione, riportando una parvenza di ordine. Un uomo corpulento con dei lunghi baffi a manubrio si fece strada tra la devastazione, scortato da alcuni agenti armati di lancia. «Che cosa succede qui?» Volle sapere.
Uno sconosciuto mi puntò il dito contro, sbraitando: «questa spia era nascosta tra noi da chissà quanto, per condurre lo spregevole attentato perpetrato dalla sua razza!»
Il nuovo arrivato mi squadrò da capo a piedi, ma non c'era disprezzo nel suo sguardo, solo una severa attenzione.
«Siamo appena arrivati.» Spiegai. «Potete verificarlo facilmente.»
L'altro annuì. «Una ben strana coincidenza, che siate giunti proprio in concomitanza dell'attacco.» Considerò.
«Non così strana, visto che il nostro proposito era proprio mettervi in guardia!» mi difese Takoda.
Il poliziotto valutò con attenzione i miei compagni. «Tu sei un'Idrometra...» disse, rivolto a Enola «...e tu? A che popolo appartieni? Perché mai vi accompagnate ad uno come lui?»
Fu la ragazza a rispondere. «Stiamo reclutando volontari per combattere contro le Api.»
«Al comando di uno di loro?» inarcò un sopracciglio, perplesso.
«Ci preoccuperemo di chi comanda quando avremo i mezzi per contrastare questa minaccia.» replicai, asciutto.
«Perché mai dovrei credervi?»
Riflettei per un attimo. Infine risposi: «perché nessuna bugia inventata potrebbe essere più assurda della verità».
L'uomo mi fissò dritto negli occhi per una manciata di secondi, quindi annuì.
«Capisco.» mormorò. «Ora però dobbiamo occuparci di questi cialtroni arrabbiati.» concluse, indicando la folla con un leggerissimo cenno del capo.
Non feci in tempo a fare domande che l'ufficiale abbaiò, rivolto ai propri uomini: «Arrestate questi tre imbecilli e conduceteli in centrale per l'interrogatorio!»
Un mormorio di malcontento attraversò la gente, ma nessuno osò opporsi mentre gli agenti, minacciandoci con le lance, ci conducevano lontano.
Credevo che ci avrebbero sbattuti in una cella buia buttando via la chiave, invece fummo accompagnati gentilmente in un'ampia sala riunioni, dove ci offrirono perfino dell'acqua.
Dopo meno di un'ora, il graduato che ci aveva arrestato fece il suo ingresso, accompagnato da un uomo alto e allampanato, vestito elegantemente.§
Quest'ultimo si sedette a capotavola, mentre il poliziotto prese posto alle sue spalle, in piedi, con le mani raccolte dietro la schiena.
«Sono Juan, il sindaco di Aràcnia» si presentò. «Il Maresciallo Felipe mi ha già ragguagliato su di voi, ma adesso gradirei sentire la vostra versione della storia.»
Partii dall'inizio, cercando di non tralasciare nulla pur essendo abbastanza sintetico.
Al termine del racconto, la massima autorità della città rimuginò a lungo prima di parlare.
«La vostra storia combacia in parte con i rapporti della nostra intelligence».
Rimasi sbalordito: come ogni abitante dell'Alveare, coltivavo ancora dentro di me l'illusione che la nostra casa fosse inviolabile. Pensare che ci fossero spie di altri popoli all'interno del perimetro mi sembrava inconcepibile.
«Il vostro piano è assurdo.» sentenziò. «A mio modo di vedere, nient'altro che un'utopia insensata. Senz'offesa, ovviamente.»
«Come può non essere un'offe...» s'inalberò Takoda, ma l'altro lo interruppe subito.
«Tuttavia, ogni elemento di disturbo contro il nemico può essere di aiuto alla protezione della città.»
Battei sulla spalla del mio amico per frenarlo, intravedendo un'apertura nel nostro interlocutore. «Significa che è disposto ad aiutarci?»
«Aràcnia appoggerà la vostra ridicola ribellione.» confermò Juan. «Ma al momento non possiamo privarci nemmeno di un uomo.»
«E quindi?» sbottò Enola, visibilmente irritata da quei giri di parole.
«Possiamo fornirvi mezzi terrestri armati, adatti a mettere in difficoltà il nemico. Ma senza equipaggi.»
«E cosa ce ne fa...» stava per esplodere ancora Takoda, ma io lo bloccai, ringraziando il sindaco.
«Se riuscirete a costituire il vostro esercito, tornate qui, e vi consegnerò alcuni Scorpioni e munizioni a sufficienza per abbattere qualche Fuco... o almeno per attirare la loro attenzione altrove, mentre noi pianifichiamo le prossime mosse».
Gli Scorpioni erano veicoli terrestri simili a camion, con dei grossi cingoli al posto delle ruote posteriori. Sul cassone erano montate piattaforme girevoli dotate di cannoni e lanciarazzi; in sostanza, si trattava di batterie contraeree mobili.
«La ringrazio.» ripetei. «Ma... se qualcuno decidesse di unirsi a noi volontariamente...»
Manuel rise. «Considerato che la folla stava per linciarvi, francamente ne dubito! Ad ogni modo, desidero che lasciate la città entro sera.» Si alzò, indicando così che la nostra conversazione era giunta al termine.
«Il Maresciallo vi farà avere tutta la documentazione necessaria per ricevere i mezzi, vi scorterà mentre vi rifornite a mie spese di qualunque cosa possiate necessitare, quindi si accerterà personalmente della vostra partenza. Arrivederci e buona fortuna... ne avrete bisogno!»
Segue
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