26. Il capovillaggio (seconda parte)

DUNCAN

Per un lungo momento, dopo che ebbi finito di parlare, regnò il silenzio assoluto. Poi la rabbia della gente esplose improvvisa, come un'onda di piena che sfori l'argine.

«Come possiamo credergli?»
«È sicuramente una spia!»
«Vuole soltanto confonderci, in modo che i suoi possano distruggerci più facilmente!»
«Lo dicevo io che quel girino era un segno nefasto: gli dei sono adirati!»
«Non staremo qui a sentirlo, vero?!»
«Deve essere imprigionato subito!»
«Tagliamogli i piedi!»
«L'unico modo per scoprire la verità dietro le sue parole è torturarlo...»
«Stai scherzando? Questi bastardi sono addestrati a sopportare il dolore!»

Crollai la testa mestamente. Il mio era un popolo bellicoso e intollerante: non potevo certo biasimarli se la pensavano così. Alla fine, gli animi si erano effettivamente infiammati, ma non nel modo che avrei voluto: non riuscivo a farmi ascoltare come Ashlie. Non solo perché non avevo la sua stessa eloquenza, ma anche perché tutti pensavano che le Api fossero infide e bugiarde.

Quando credevo che il pubblico fosse ormai sul punto di linciarmi, uno degli anziani chiese e ottenne il silenzio. Quindi fece per parlare ma, con un gesto perentorio, il capo villaggio lo bloccò e iniziò a parlare al suo posto.

Pur non sapendo nulla delle dinamiche di quegli incontri, mi resi conto che quella prassi doveva essere inaudita: un mormorio sorpreso attraversò infatti il pubblico, e il membro del consiglio che era stato zittito mise letteralmente il broncio, offeso per quella mancanza di rispetto.

Mi venne da ridere vedendo quell'espressione da bambino viziato dipingersi su colui che avrebbe dovuto essere un modello per saggezza e maturità, e provai un moto istintivo di rispetto per quel vecchio che, anche se a prima vista era a stento capace di reggersi seduto, possedeva ancora la forza e la determinazione necessarie a guidare la sua tribù.

Mi fece cenno di avvicinarmi e, indeciso su come procedere, finii con il genuflettermi dinanzi a lui, in modo da portare i nostri occhi all'incirca alla stessa altezza anziché dominarlo dall'alto in basso.

«È logico pensare che tu sia un agente dello stesso nemico da cui dici di volerci mettere in guardia.» iniziò. Aveva una voce calda e profonda, in contrasto con l'aspetto decrepito. «Ho saputo che hai fatto una chiamata col Teledialogatore: potrebbe essere un indizio a sostegno di questa ipotesi. Ma, quando ho chiesto ai miei uomini di verificare, è saltato fuori che il terminale chiamato si trova nel Formicaio.»

«Ha contattato un traditore!» urlò qualcuno dal pubblico. «Qualche Formica sta facendo il doppio gioco!»

Il capo sorrise, e quel gesto disegnò una variegata ragnatela di rughe sul suo volto scolpito. Quindi si rivolse all'uomo che aveva parlato, col tono di chi spieghi una ovvietà a un bambino. «Solo chi non sa nulla dei nostri fratelli dalla pelle nera può pensare una simile sciocchezza. Essi non possono nemmeno concepire un simile atto: fin da bambini vengono indottrinati alla cieca e totale fedeltà nella Società, proprio come i visi pallidi lo sono all'odio e al disprezzo verso gli altri.»

Non seppi cosa obiettare: solo un paio di settimane prima avrei reagito duramente, ma dal colpo di Stato in poi le mie certezze andavano sgretolandosi, e mi rendevo sempre più conto che le cose stavano proprio come diceva lui.

«Vuoi dirmi chi hai contattato?»

Mi piaceva l'approccio del mio interlocutore. Sapevamo entrambi che molto dipendeva da quel dialogo, e le domande che mi rivolgeva erano cortesi ma dirette.

«Ho conosciuto una figlia del Formicaio. Ci siamo innamorati.» ammisi con sincerità.

Un mormorio eccitato percorse l'uditorio. L'anziano, invece, non fu colto di sorpresa: era come se si fosse aspettato proprio quella spiegazione. «Amore e odio sono le uniche due leve capaci di cambiare veramente un uomo. Qualsiasi altra spinta ne modifica l'apparenza, ma non l'anima. Come quando la pianta cambia il colore delle sue foglie, ma non la propria corteccia.»

«Non è facile vedere le menzogne, quando esse sono tutto il tuo mondo. Avevo bisogno che qualcuno mi aprisse gli occhi.» spiegai.
«Se due nemici giurati possono superare diversità e preconcetti al punto da unire i propri cuori, forse c'è ancora speranza per un mondo migliore.»

Il cuore prese a battermi ancora più forte. «Allora, ci aiuterai?»

L'uomo socchiuse le palpebre e abbassò gli occhi; mi resi conto che si era ormai perso nei ricordi e non mi vedeva più.

«Quando ero ragazzo, conobbi una giovane di Aràcnia. Ci amammo, e io le promisi che mi sarei trasferito lì e avremmo vissuto insieme per sempre. Sognavo di diventare un grande musicista.» Sentii un brivido freddo pizzicarmi la base del collo: dato che lui si trovava davanti a me anziché a comporre canzoni nella città dei Ragni, non era difficile intuire che la conclusione di quel racconto non sarebbe stata felice.

«Poi, mio padre morì e sia il consiglio degli anziani che i rappresentanti del popolo mi elessero come il più degno per succedergli.»
Mi domandai quanti tra i presenti stessero udendo quella storia per la prima volta: il silenzio era assoluto, al punto che avevo l'assurda sensazione che perfino la risacca, oltre i muri della capanna, si fosse zittita per ascoltare.

«Mi si chiedeva di scegliere fra il bene della mia tribù e la mia felicità. Se tutti mi ritenevano la persona più adatta, con quale coraggio avrei potuto rifiutarmi? I miei genitori mi avevano allevato fin da piccolo nell'eventualità che potessi essere scelto, e non avevano mancato di inculcarmi in testa il senso del dovere e dell'onore. Sposai il mio popolo, e rinunciai a ogni possibilità di conoscere l'amore.»

Ristette a lungo in silenzio, quindi puntò di nuovo saldamente le pupille nelle mie. «Se solo avessi avuto il coraggio di provare, forse avrei potuto sovvertire le consuetudini, ed avere entrambi».

Lasciai che l'ennesimo silenzio si protraesse ancora di più ma, quando mi resi conto che il discorso era semplicemente giunto al termine, osai intervenire.

«Perdonami, venerabile saggio, ma nella mia ignoranza temo di non aver compreso cosa volevi dirmi. Per questo motivo sono costretto a chiederti di nuovo: ci aiuterai?»

L'altro fece un unico, secco cenno di diniego con la testa. Mi ero illuso che l'esperienza da lui vissuta l'avesse ben disposto nei miei confronti, ma con quel motto inequivocabile stava invece uccidendo ogni mia speranza.

«Ma perché no? Il pericolo è reale! Non si fermeranno finché tutto il continente non sarà assoggettato, a meno che non cerchiamo di ostacolarli!»

«Non ci metteremo a lanciare fiocine contro sofisticati aerei da guerra. Il periodo dei sogni è tramontato da tempo, per me, e non trascinerò il mio popolo in una battaglia senza speranza soltanto per alimentare i tuoi. Questa è la mia parola.»
«Quale sarà la tua mossa, allora?» scattai, senza rendermi conto che non lo stavo trattando con il giusto rispetto. «Ti arrenderai senza combattere e consegnerai la tua gente, trasformandola in schiavi obbedienti?»
«La nostra gente sa navigare.» mi ricordò lui. «Faremo rotta oltre la Foresta di Spine e ci stabiliremo nelle terre degli Onischi. La nostra tribù sopravvivrà e vedrà ancora molti inverni.»

Lo fissai a bocca aperta, incapace di nascondere la sorpresa. Quella era un'eventualità alla quale non avevo proprio pensato. Ora, però, capivo che era la scelta più logica.

Il mio primo tentativo di reclutare sostenitori si era appena concluso, con una esito non troppo diverso da quello che, in cuor mio, avevo immaginato. Forse non ci avevo creduto abbastanza?
Mi presi la testa fra le mani: improvvisamente mi sentivo esausto.

«Cosa farai adesso, giovane guerriero?»

Sorrisi nel sentirmi chiamare così, e mi riscossi. «Devo avvertire tutti gli altri, e cercare di convincerli a unirsi in un fronte comune.»
«Gli abitanti dell'Immensità sono troppo diversi tra loro: non riuscirai mai a metterli d'accordo.»
«Non posso esserne certo finché non provo.» replicai. «E poi, la mia fidanzata dice che le nostre differenze ci arricchiscono vicendevolmente: magari le relazioni tra popoli non sono poi così diverse da quelle fra i singoli.»

L'anziano sorrise. «Dovete formare proprio una bella coppia, voi due!» ridacchiò. Quindi mi fece cenno di rialzarmi e prendere nuovamente posto tra il pubblico.

«Ascoltate tutti le mie parole!» esclamò, sollevando entrambe le braccia. «Io ho deciso di credere all'avvertimento di questo ragazzo. Ma le Idrometre non scenderanno sul sentiero di guerra! Già da domani, invece, inizieremo i preparativi per il viaggio verso una terra più sicura.»
Fece una pausa, per lasciare a tutti il tempo di metabolizzare quanto aveva detto, quindi riprese: «Tuttavia, non impedirò a nessuno di seguire l'Ape e di lottare al suo fianco, in nome di un nobile ideale. Egli ha tempo fino a domani per convincervi, quindi dovrà andarsene, da solo o con chi vorrà seguirlo. Ho detto.»

Il capo villaggio mi rivolse un sorriso sornione. Non mi aveva appoggiato apertamente, ma non mi aveva nemmeno chiuso la porta in faccia: alla fine aveva rimesso tutto nelle mie mani.
Tutto sarebbe dipeso dalla mia capacità di coinvolgere le persone.

Quanto avrei voluto che Ashlie fosse stata lì al posto mio!


SPAZIO AUTORE

Ecco... diciamo che non era proprio la risposta che avrebbe voluto sentire!

Che ne pensate di questo dialogo? Se il capovillaggio vi piace la metà di quanto piace a me, sarà di sicuro uno dei vostri personaggi preferiti.

E niente, si conclude tutto con un bel 1-1 palla al centro.

Adesso è tutto da rifare e il nostro Duncan dovrà fare ricorso a tutto il suo charme per sedurre le giovani Idrometre e convincerle ad essere l'inizio del suo esercito.

Al suo posto, mi verrebbe da piangere. XD

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