20. Le Vespe (seconda parte)

DUNCAN

All'inizio fui preso dal panico: tra la sagola e il peso aggiuntivo sulla schiena non riuscivo a guadagnare un assetto stabile, e continuavo a precipitare. Infine riuscii ad appoggiare anche l'altro piede.

Mi accucciai, portai al massimo il motore della tavola e contemporaneamente spinsi il pulsante che azionava il verricello del rampino, sul Pungiglione.

In una manciata di secondi raggiungemmo la grossa gomena che teneva attaccati i due velivoli. Con sincronismo perfetto, fermai il recupero e feci passare il mio mezzo di trasporto sopra al cavo stesso. Mi gettai quindi sul Coleottero, lasciandomi una pioggia di scintille alle spalle mentre facevo scivolare l'Airboard sull'acciaio, trascinandomi dietro il rampino per sicurezza.

Con la coda dell'occhio potevo scorgere il Tafano che proseguiva la sua lenta e solitaria planata.

«Tieniti pronto a saltare!» Urlai, sperando di poter essere udito al di sopra del ruggito del vento e del sibilo delle turbine della tavola a reazione.

Ripensandoci a posteriori, mi sarei reso conto di aver messo in grande pericolo Takoda, gettandolo allo sbaraglio senza avere la minima idea di quali fossero le sue capacità. La verità era che non avevo amici tra i civili: da quando ero entrato nell'Accademia, essa era stata tutto il mio mondo. Chi mi stava intorno condivideva il mio addestramento, e davo questo fatto per scontato.

Per fortuna, la mia nuova conoscenza non era uno qualunque.

Si gettò nel vano di carico addirittura un attimo prima di me, rotolò agilmente per contrastare l'inerzia e fu subito in piedi, pronto a fronteggiare i nemici.
Io premetti il pulsante che rilasciava l'arpione, puntai con decisione l'Airboard contro il pirata più vicino e lo abbandonai solo all'ultimo secondo. La tavola lo colpì al ventre, incornandolo come un ariete e trascinandolo d'impeto per uno stelo buono, prima di sbalzarlo via e concludere la propria corsa schiantandosi contro la parete di fondo.

I corsari nella stiva erano tre, incluso quello che avevo appena messo fuori combattimento. Uno dei superstiti aveva già ingaggiato un duello con Takoda: intravidi il ragazzo che, con due grossi pugnali, cercava di tenergli testa.

L'altro mi si avventò contro, spada alla mano, urlando come un ossesso.

Il Pungiglione aveva appena finito di recuperare il rampino: feci giusto in tempo ad attivare la lama a scatto che il bucaniere mi fu addosso. Mi riparai dietro lo spallaccio semisferico, parando i suoi colpi meglio che potevo, quindi intercettai la sua arma con la mia e, con un ottimo tempismo, lo colsi con un violento pugno alla bocca dello stomaco, usando la mano libera. L'uomo si piegò in due, e io lo finii con una mazzata a due mani alla base del collo. Mi voltai per andare in soccorso del mio compagno, ma nel frattempo anche lui si era sbarazzato del suo avversario, tramortendolo senza ucciderlo proprio come me.

Non ci fu il tempo per cantare vittoria: la paratia di collegamento con la cabina di pilotaggio si spalancò, e l'ultimo nemico entrò ridacchiando.

«I piloti hanno preferito fare un salto col paracadute piuttosto che farsi una bevuta con noi!» esclamò allegramente, con una vocetta acuta. «Sbrighiamoci ad arraffare tutto quello che possiamo e leviamo le ten...» le parole gli morirono in gola, mentre metteva a fuoco la situazione.

Fece per portare la mano alla propria arma, ma io fui più rapido e gli puntai contro il Pungiglione, già in modalità "sparo".
«Non muoverti!» intimai.

Lentamente, sollevò le mani. Indossava un giubbotto imbottito che ne copriva in parte le fattezze, ma se ne indovinava comunque il fisico slanciato. Le gambe erano magre ma muscolose; era più alto di me - come quasi chiunque - ma probabilmente più leggero, valutai. Un casco da aviatore in cuoio nascondeva i lineamenti del volto, la visiera oscurata mi impediva di guardarlo direttamente negli occhi. La linea del mento era dolce, il viso imberbe. Doveva essere un ragazzino.
«E voi chi sareste?»
«Lavoriamo per Elphitephoros».
«Avrei dovuto immaginarlo: una coppia di vigliacchi, buoni solo a colpire alle spalle» replicò lui, indicando i suoi compagni privi di sensi con un cenno del capo.
«Non è andata così!» sbottò Takoda.
«Silenzio.» intimai, a entrambi. «Slaccia il cinturone, lentamente, e gettalo lontano».
«Sei bravo a fare la voce grossa, con un'arma puntata!» mi istigò lo sconosciuto.

«Tu non avresti fatto nulla di diverso, pirata.» Calcai l'accento sull'ultima parola, con disprezzo. «E non provare a dire che non è vero.»

Senza mai perdermi di vista, l'uomo ubbidì. Lasciò cadere accanto a sé la cintura con le armi, quindi la spinse lontano con il piede. «Ti sbagli.» disse quindi. «Io lascio sempre una possibilità ai miei avversari. L'unghia del mio mignolo ha più onore di te!» concluse, agitando il dito con fare eloquente.
«Non cascarci, Duncan!» esclamò il mio compagno. «Vuole solo provocarti!»
«Il tuo amico ha bisogno di cambiarsi il pannolino, mi sa. Sento la puzza da qui!» rincarò il bucaniere, sventolando una mano davanti al naso.

Mi tornò alla mente una delle "lezioni di vita" del sergente O'Brian.

«Dimenticatevi le storielle sull'onore, sul valore, sugli eroi: in guerra, ognuno per sé e il Polline per tutti!» 
Alle inevitabili obiezioni dei ragazzi, aveva risposto così: «Se state tenendo qualcuno per le palle, non lasciate la presa solo perché non è leale » pronunciando queste ultime parole con tono pedante e leggermente in falsetto, mentre agitava le mani con aria frivola. Chissà poi perché questa sua fissazione per gli attributi maschili? Forse uno psicologo avrebbe potuto spiegarla.
«Rinunciare a un vantaggio è stupido, quale che sia il motivo.» aveva concluso. «Fatelo, e potete stare certi che il vostro nemico non vi restituirà il favore.»

Ripensai al pilota che mi era passato accanto, salutandomi con la mano. Avrebbe potuto abbattermi, eppure non l'aveva fatto. Non potevo credere fosse stato solo per risparmiare proiettili.
Davvero io avevo bisogno di tenere sotto tiro quell'uomo, per vincere?

E poi, che me ne facevo di un prigioniero?

Spinsi il pulsante e, docile, il Pungiglione si accartocciò su sé stesso nella sua posizione di riposo, creando una sorta di bolla metallica sulla mia spalla destra.
Da molti anni il corpo a corpo era la disciplina in cui eccellevo. Quale che fosse il mio avversario, in uno scontro uno contro uno ero praticamente certo di avere la meglio.

«Ecco la tua possibilità!» proclamai, sollevando i pugni nella posizione di guardia.
Il corsaro sorrise e mi si pose dinanzi con spavalderia, le braccia mollemente adagiate lungo i fianchi.
«A te la mossa, dunque». disse, con un sorrisetto sarcastico sul volto.
Non mi feci pregare e partii con un rapidissimo diretto al mento, che l'altro evitò inclinando la testa quel tanto che bastava. Quindi contrattaccò. Prima che potessi anche solo pensare di fare alcunché, mi travolse con una raffica di pugni a una velocità incredibile, seguita da un calcio rotante, che mi fece piroettare come una trottola.

Mi ritrovai seduto sul pavimento senza nemmeno sapere come.
Di là rimasi a fissarlo, basito e boccheggiante.
Takoda fece per intervenire ma, con un movimento improvviso del braccio, il mio antagonista estrasse dalla manica una minuscola balestra e me la puntò contro.
Doveva avere qualche sorta di meccanismo celato sotto i vestiti.

«Sta fermo, se ti è cara la sua vita!» gli ordinò.
A quella distanza sarebbe stato impossibile fallire il tiro; infatti il mio compagno alzò le mani in segno di resa.
Il nostro nemico gettò uno sguardo alla tavola a reazione abbandonata in un cantuccio e ridacchiò. «Assurdo... Percorrere il filo con un Airboard!»

Lo guardai, senza poter evitare di chiedermi se mi avrebbe ucciso: nelle storie di mia nonna i pirati, con i loro codici, emanavano sempre un certo fascino; ma le dicerie che si raccontavano nella mensa dei cadetti erano di tutt'altro stampo.
«Sei stato davvero coraggioso!» insistette, vedendo che non rispondevo.
«O stupido.» conclusi, non essendo certo se si stesse riferendo alla mia rocambolesca corsa o al fatto che avessi deposto le armi per sfidarlo a cazzotti.
Non che facesse molta differenza, comunque: la definizione calzava in entrambi i casi.
«Un poco di sana follia è necessaria, altrimenti la vita sarebbe del tutto insapore, non credi?»

"Se devi uccidermi, deciditi a farla finita!" Pensai, ma mi mancò il coraggio di dirlo ad alta voce.
Alle sue spalle, i due scagnozzi che avevamo sistemato si stavano riavendo.
«Molta azione e poche parole, eh? Mi piaci! Io sono Capitan Velluto!»

Nonostante la situazione, non potei fare a meno di aggrottare le sopracciglia: credevo che i pirati scegliessero nomi che esaltassero la loro audacia o spaventassero i nemici.
«Mi chiamano così perché, da quando sono al comando, tutto fila sempre liscio.» si sentì in dovere di spiegare, notando la mia espressione. L'aereo diede un forte scossone, che sbilanciò i due sottoposti ma non il loro comandante. «È arrivato il momento di togliere le tende! Recuperate Alfred e precedetemi».

Senza una parola, gli uomini obbedirono: il più robusto dei due si caricò in spalla il terzo compagno, quello che avevo incornato con la tavola. Quindi entrambi recuperarono quella specie di carrucola che avevo già visto prima, l'agganciarono al cavo e scivolarono via.

«Sei impavido, determinato e un po' folle: tutte prerogative di un bravo pirata.» concluse, abbassando la balestra.
«Non ho nessuna intenzione di unirmi a voi!» esclamai, con fin troppa foga.
«Perché no?»
«Perché dovrei?» ritorsi.
«Prima di tutto perché è divertente.» sorrise. «Poi perché... Non puoi tornare indietro».
La rispostaccia che mi ero preparato mi morì in gola. Aveva ragione: non avevo un luogo a cui fare ritorno.

Capitan Velluto si slacciò il casco, lo sfilò e scrollò la testa, sciogliendo i lunghi capelli. Quindi posò lo sguardo su di me, ridacchiò e mi fece l'occhiolino.

Spalancai la bocca, incapace di dissimulare la sorpresa: il capo dei pirati... era una donna!

E un meraviglioso esponente del gentil sesso, tra l'altro: la chioma, del colore del miele di castagno, incorniciava perfettamente il volto dagli zigomi pronunciati e dalla pelle abbronzata. Il naso minuscolo sembrava abbracciato dalla bocca, con labbra sottili e facili al sorriso. E gli occhi, di un castano chiaro impreziosito da pagliuzze dorate, erano vivaci e intelligenti.

Mi sentii uno stupido per non essermi reso conto prima della vera identità del mio avversario, e la sconfitta appena subìta mi pesò ancora di più, ora che ero consapevole di essere stato battuto da una femmina.

Lei cavò di tasca quello che a prima vista mi sembrò un orologio da taschino e me lo lanciò.
«Se cambi idea, usa quello: saprò che mi stai cercando».
Con quelle parole, rinfoderò l'arma e si avvicinò alla gomena, proprio mentre il velivolo vibrava di nuovo.

«Come fai a sapere che non lo userò per trovare il tuo covo? Oppure per attirarti in una trappola?»
«Lo so perché un capo deve capire le persone... E tu non sei così.»
Si agganciò alla fune ma, prima di andarsene, mi rivolse un'ultima occhiata. «Pensaci. Non saresti certo la prima Ape a ingrossare le nostre fila!»
Strabuzzai gli occhi, sorpreso. «Davvero?»

Lei sorrise. «Non è facile rinunciare a volare, per chi come noi ama davvero il cielo. E parlo di vero volo, non di far muovere un otre con le ali da una parte all'altra del continente!»
Infine, con un balzo, si gettò nel vuoto e avviò il motore della carrucola, scivolando rapida verso il cielo limpido.


SPAZIO AUTORE

Ed ecco la conclusione della parte di azione.
Piaciuta? 

Avevate immaginato che Capitan Velluto fosse una donna? :p Siate sinceri.

Tranquilli, se vi siete affezionati: vedrete che tornerà ;)

E del nome, che ne pensate? Oltre alla spiegazione che lei stessa ha dato poco più su, c'è un altro motivo: mi ha divertito che questo nome curioso richiamasse quello scientifico di "Vespa velutina", il calabrone asiatico. In realtà, quando ho letto "calabrone asiatico", io credevo si trattasse del più temibile Calabrone gigante (Vespa mandarinia), ma vabbè... era comunque figo. XD

Ho dedicato questa parte a mattpaskal , che si era rammaricato di non aver potuto leggere il capitolo tutto di seguito. Come promesso, ho cercato di non farti aspettare troppo: spero che la conclusione non ti abbia deluso! :)

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