19. L'amico

ASHLIE

Dopo giorni di lavoro febbrile, con le squadre che si alternavano per garantire continuità alle operazioni ventiquattr'ore su ventiquattro, la nostra opera si concluse, e tutti noi fummo messi in libertà per due giorni, in modo da poterci rimettere completamente in forze prima della successiva, massacrante fatica ancora ignota.

Come sempre mi dimostrai meno furba dei miei coetanei e, anziché dormire il più possibile come consigliato dai capisquadra, cominciai a girare senza meta come una trottola, nella speranza che i miei pensieri e le mie preoccupazioni non riuscissero a raggiungermi.

Mi vergognavo della pochezza di tali elucubrazioni di fronte alla vastità di ciò che stava per capitarci, tuttavia non riuscivo a evitare di fissarmi su di esse. Pensavo in continuazione a Duncan: mi pesava tantissimo non poterlo vedere né sentire, mi chiedevo se il nostro rapporto esistesse ancora e, quando riuscivo a essere ottimista su questa risposta, mi interrogavo su quale futuro ci attendesse.

Il primo giorno incrociai per caso dei pastori di afidi mentre vagavo per i corridoi deserti, prima dell'alba. Uno di loro aveva la febbre alta e una brutta tosse e io mi offrii di sostituirlo, esagerando la mia ridotta esperienza con quegli animali (che di fatto si limitava all'anziano esemplare femmina di mio zio, morto due anni prima).

Rispetto a quest'ultimo, ebbi così modo di scoprire sulla mia pelle che i componenti del gregge erano poco meno che selvatici: mansueti e placidi fintanto che venivano lasciati a pascolare, ma decisamente restii a farsi mungere. Era facile avvicinarli mentre brucavano, ma bastava spaventarne uno per gettare l'intera mandria in un allarmato galoppo isterico, come imparai a mie spese. In capo a poche ore, però, diventai piuttosto in gamba, guadagnandomi i complimenti del gruppo. Nonostante fossi arrivata la sera con tutte le ossa rotte per la stanchezza, però, trascorsi un'altra notte in bianco.

Il secondo giorno andai a cercare Gawayn. Con mia grande sorpresa, non lo trovai affaccendato su qualche motore e sporco di olio fino ai gomiti. Seguendo le indicazioni dei suoi colleghi, lo raggiunsi invece alla fila dei candidati riservisti per le truppe d'assalto.

Saltai vari posti nella coda, attirandomi qualche occhiata inferocita. Tuttavia, nessuno si sognò di dirmi nulla: una Formica non si sarebbe mai sognata di rubare il posto ad un'altra. Era evidente a tutti che per evitare la fila dovessi avere dei motivi più che validi.

Battei sulla spalla del mio amico e sorrisi della sua sorpresa.
«Tu? Che ci fai qui?»
«Potrei farti la stessa domanda.» ridacchiai. «Sei una meccanico, non un militare!»
Lui fece spallucce e mi diede la schiena, troncando così il contatto visivo. «Non sono affari tuoi.» sentenziò imbronciato.

«Eddai, Gawayn!» esclamai, accucciandomi per infilarmi tra un aspirante e l'altro e tornargli così di fronte. «cosa porta il nerd della combustione interna a voler giocare alla guerra?»
«Per favore, vai via. Questo non è il tuo posto.» ribatté, con un tono tra lo scocciato e l'implorante.

«Che c'è... Volevi provare per una volta l'ebbrezza di avere tra le mani qualcosa di grosso e potente?» lo provocai, alludendo al fucile.

Nell'istante in cui l'ultima parola sfuggì dalle mie labbra, mi resi conto che non sarebbe stato il caso di fare una battuta simile proprio mentre era circondato dai suoi potenziali futuri compagni d'arme.
«Scusami!» gemetti, per una volta realmente contrita. «Volevo solo...»

«So benissimo quali erano le tue intenzioni.» mi stroncò lui. «Ma questo non è il momento per i tuoi scherzi. Nell'esercito c'è bisogno di rinforzi pronti. Le mie motivazioni personali, quali che siano,  non ti riguardano! Quanto a te, piuttosto...»

«Altre sedici persone, dentro!» sbraitò qualcuno.

«Aspetta!» lo supplicai seguendolo mentre, assieme ai suoi compagni, si muoveva verso la porta a doppia anta spalancata. «Mi dispiace, d'accordo? Avevo voglia di stare un po' con te, solo che...»

«Sedici. Chiudete le porte!»
Sentendo quell'ordine mi resi conto che, camminando insieme a lui, ero stata conteggiata con gli altri.

«Fermi!» esclamai. «C'è un errore!»
«Silenzio! Tutti seduti in cerchio, subito!»
La nuova voce era talmente autoritaria che, quasi senza nemmeno esserne consapevole, obbedii all'ordine.

«Candidati, benvenuti alla selezione finale!» proseguì lo sconosciuto, portandosi al centro della circonferenza creata dai nostri corpi. «Se siete qui, significa che avete già superato i test attitudinali e psicologici.»
L'esaminatore percorreva lentamente il perimetro della figura mentre parlava, fissando il suo sguardo magnetico di volta in volta su ogni recluta.

Io, che ero poco interessata a quanto diceva, valutai che era senza dubbio uno degli uomini più belli che avessi mai incontrato. La canotta grigio chiaro che indossava segnava e metteva in risalto i muscoli possenti, che sembravano scolpiti nel marmo. Aveva la pelle del colore più scuro che avessi mai visto su un essere umano, liscia e perfetta, su cui per contrasto risaltavano gli occhi grigi, indagatori e intelligenti. Il tono e la gestualità denotavano l'abitudine al comando, nonostante dovesse avere pochi anni più di me; tuttavia mi sembrò privo della spocchia di cui normalmente si ammantavano i nostri capi militari.

In definitiva, emanava un fascino e una consapevolezza di sé che non potevano lasciare indifferenti.

«Tuttavia, per difendere il nostro popolo, ciò non basta: dovete anche eccellere nella forma fisica e nei riflessi, e purtroppo non c'è il tempo per addestrarvi da zero. Solo i migliori tra voi passeranno questa fase e verranno ammessi tra le riserve!» decretò.

«Chi è quel bellimbusto?» sussurrai al mio vicino.
«Silenzio!» sibilò Gawayn.
«Tu!» lo indicò l'istruttore. «Sarai il primo. Vieni qui e affrontami».
L'occhiataccia che mi rifilò alzandosi fu tale, che temetti per il futuro della nostra amicizia.

L'ufficiale fece un cenno e qualcuno al di fuori del mio campo visivo gli lanciò un bastone, che lui afferrò al volo, fece roteare in aria un paio di volte e infine bloccò dietro la schiena.

Nel frattempo, anche la recluta era entrata nel ring; un soldato gli porse un'arma identica a quella che già impugnava il suo avversario: nera, liscia, lunga circa uno stelo.

«A te la mossa» decretò l'istruttore.

Gawayn deglutì rumorosamente, fece due passi incerti, quindi attaccò con un grido d'incoraggiamento. Per tre volte risuonò lo schiocco del legno sul legno e per due quello del legno contro la carne. Un colpo dietro il ginocchio, uno alla base del collo, e il mio amico era riverso a terra.

Non riuscii a soffocare completamente una risatina per quello scontro finito prima ancora di cominciare. La cosa non passò inosservata.
«Lo trovi divertente?» mi apostrofò l'ufficiale. «Credi di saper fare di meglio?»
«Beh, peggio è praticamente impossibile...» bofonchiai.
Stavolta anche altri ridacchiarono.

«Facci vedere, allora! Forza!»

Mi alzai in piedi e ricevetti da Gawayn il bastone. Il suo sguardo, furibondo e addolorato al tempo stesso, mi fece vergognare di me stessa: possibile che non fossi proprio capace di tenere la bocca chiusa?

Arrivata al centro dell'anello, sciolsi i muscoli e saggiai l'asta, trovandola perfettamente bilanciata.

In molti mi avevano accusato di non avere interessi, ma in realtà avevo sempre avuto una grande passione: le arti marziali. La mia refrattarietà per gli ordini, però, mi precludeva la carriera nell'esercito, e mi aveva impedito di sfruttarla professionalmente.

Avrei potuto spiegare che si trattava di un equivoco ed ero lì per sbaglio, ma non seppi resistere alla tentazione di mettermi in mostra.
Come prima, i bastoni presero ad intonare la loro melodia. Otto scambi, poi ci separammo, facendo entrambi un passo indietro.

«Sto per addormentarmi» commentò il mio avversario.
Sorrisi. Che pivella pensava fossi? Credeva davvero che bastasse provocarmi un po' per farmi perdere la calma, e con essa la concentrazione?

«Buon per te.» replicai. «Così potrai sognare di battermi».
Stavolta fu l'istruttore a farsi avanti, mimando un attacco goffo e lento per indurmi a scoprire la guardia. Non feci nemmeno finta di cadere nel suo trucco, e lo vidi sorridere.
Quindi attaccò, stavolta davvero.

Mi trovai subito in difficoltà a parare una grandinata di colpi forti e rapidi, uno dei quali andò a segno sul mio stinco, producendo un suono sordo, accompagnato dal gemito che non potei trattenere. Indietreggiai saltellando su un piede solo, e l'uomo mi lasciò riprendere fiato.

Aveva almeno il doppio della mia massa muscolare: non potevo tenergli testa in uno scontro diretto. L'unica speranza, se volevo vincere, era incalzarlo e sperare che si scoprisse per un attimo.
«Qualche problema, recluta?» sogghignò.
«Ho un sassolino nella scarpa» replicai. Quindi mi gettai in avanti prima che lui prendesse l'iniziativa.

***

Potevo quasi sentire gli spettatori di quello spettacolo imprevisto che trattenevano il fiato. I bastoni rimbalzavano uno contro l'altro, i loro schiocchi rimbombavano nella grande palestra. Io detti fondo al mio intero repertorio: giravolte, scivolate, salti. La mia arma era ovunque ma, per quanto rapida si muovesse, trovava sempre quella dell'avversario a bloccarla.

Alla fine, la maggiore esperienza ebbe la meglio. L'uomo penetrò le mie difese in un modo per me inaspettato: una gomitata al plesso solare mi tolse il respiro, quindi un colpo violento alle gambe mi scaraventò lunga distesa a terra.

«Che fai lì? Hai perso qualcosa?» mi canzonò il militare.
«Solo un po' di orgoglio.» ammisi, rialzandomi.
«Sono sicuro che quel che ti rimane è più che sufficiente» sogghignò l'altro di rimando.

«Questo è ciò che cerchiamo!» soggiunse quindi, alzando la voce mentre mi additava puntando l'indice. «Passione, dedizione, spirito d'iniziativa... e carattere! Chi pensa di poter fare altrettanto?»

Anziché crogiolarmi della soggezione che la mia esibizione aveva indotto, cercai con lo sguardo Gawayn. Lo intravidi mentre abbandonava la sala, e mi affrettai a seguirlo.
Lo raggiunsi in una delle terrazze. Se ne stava appoggiato al parapetto, dando le spalle alla porta, e non si voltò quando lo raggiunsi.

«Sei arrabbiato?» provai a chiedere.
Rimase in silenzio a lungo. Mentre pensavo a qualcosa da dire, lui infine rispose: «Ho fatto una figuraccia.»
«Non è vero. Scommetto che nessuno riesce a batterlo.»
«Tu ci sei quasi riuscita.»
«Appunto: quasi.»

«Mi hai messo in cattiva luce.» soggiunse, dopo un'altra pausa.
«Ma no! Senti, mi dispiace tanto: non so mai stare zitta. Ma ho fatto solo una battuta! I tuoi futuri commilitoni...»
«Non è di loro che mi preoccupo.» mi interruppe.
«E di chi, allora? Volevi fare colpo sull'istruttore?» ridacchiai.

Gawayn si voltò di scatto e mi scrutò in volto con aria stupita per un attimo, quindi riprese a guardare verso l'orizzonte. «Già». bofonchiò.

Quella singola sillaba mi riportò alla mente il dialogo di qualche giorno prima, quando mi aveva sorpresa a "prendere in prestito" un Lasius.
"Non si può scegliere chi amare" , avevo detto. E lui aveva risposto allo stesso modo.
Egoisticamente, avevo pensato che quel "già" fosse legato al fatto che lui avesse una cotta per me. Invece andava letto in tutt'altro modo.

«Gawayn... per caso... sei gay?» domandai, colta da un'ispirazione improvvisa.
Non ci fu nessuna reazione, eppure in quel momento fui certa di aver indovinato. 
«Per questo ti sei arruolato! Per avere una chance con l'istruttore!»
Lui fece spallucce, senza voltarsi.

«Perché non me ne hai mai parlato?» provai a chiedergli.
Lui si staccò dalla ringhiera e mi fronteggiò, gli occhi fiammeggianti di una rabbia che mai gli avevo visto addosso.
«Perché non mi dai mai la possibilità di farlo, Ash!» scattò, furibondo. «Parliamo solo di te: dei tuoi dubbi, dei tuoi problemi, di come la nostra società faccia schifo, del tuo ridicolo rapporto con un'Ape, di come ogni tuo maledetto respiro ti provochi pensieri e paranoie! Per il Polline, è impossibile affrontare qualsiasi discorso di cui TU non sia il soggetto! Se anche ci provo, non è che una breve parentesi, che ti affretti a chiudere per discutere di cose più importanti!»

Istintivamente, arretrai d'un passo sotto quell'attacco, intangibile, ma certo non meno determinato di quello con cui l'ufficiale mi aveva steso, pochi minuti prima.

Non mi aspettavo un simile sfogo.

Era vero? Feci un rapido esame di coscienza. Cosa sapevo di Gawayn? Che questioni l'avevano angustiato nell'ultimo paio d'anni? Non ne avevo idea: forse non aveva tutti i torti.

«Io... pensavo semplicemente che tu non avessi probl...» tentai, ma lui stroncò sul nascere quell'obiezione.
«Non cercare di ottenere una giustificazione da me, ora! Non posso tollerarlo!»
Aveva ragione, ovviamente. Volevo solo una scappatoia, desideravo che qualcuno mi sollevasse dalle mie responsabilità, dicendomi che non avevo colpe. Ma la persona che di solito lo faceva, non era disponibile a stare a quel gioco.

«Sono stata un'amica di merda, mi sa.» conclusi.
«Mi sa.» mi fece eco Gawayn.
«Non me ne ero resa conto.» commentai.
«Lo so.»
«Ma non è una giustificazione, ovviamente.»
«No.»
«Scusami. Davvero, mi dispiace molto.»
«Ok.»
«No, davvero. Se potessi...»
«Ho detto ok!» sorrise, interrompendomi. «Tutto a posto, Ash, davvero.»
«Come fai a perdonarmi così facilmente?»
«L'hai detto tu stessa, no? Non si può scegliere chi amare. E io non so immaginare una vita di cui tu non faccia parte».

D'impulso, lo abbracciai. Mi veniva da piangere. «Non merito un amico simile.» mugugnai.
Lui ricambiò la mia stretta. «Non è questione di meriti, sorellina. E poi, so come sei fatta: le tue non sono mai parole di circostanza. Quindi apprezzo le tue scuse.»

Mi staccai da lui e mi asciugai gli occhi, commossa.

«Bene.» dissi «E ora pensiamo a come far sì che il bell'ufficiale ti noti...»


SPAZIO AUTORE

Eccoci qui, cari amici.

È arrivato il momento di crescere un po' anche per Ash. Sì, è vero che Duncan ha più strada da fare, ma anche la nostra eroina, con tutti i suoi pensieri e le sue paranoie, dovrà prendere consapevolezza di un paio di cosette... a cominciare dal suo rapporto con Gawayn.

Il famoso "Già" pronunciato dall'amico fraterno ha suscitato parecchi commenti e reazioni.
Chissà quanti si aspettavano questo risvolto?

Dite la verità, ci siete cascati e avete pensato che Gawayn fosse il classico amico che non riesce a far breccia nel cuore dell'amata. Vero? Come cantavano gli 883 "Se sei amico di una donna non ci combinerai mai niente..."

E invece il meccanico ha le idee chiare e, quando ha detto quel "già", in realtà aveva in mente un volto ben preciso ;)

Spero la storia continui a piacervi. Dopo questi due capitoli un po' "riflessivi", i prossimi saranno pieni d'azione. Credo. :p

A presto!

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