17. Il mercante cetoniano (seconda parte)

DUNCAN

Siglato l'accordo con una stretta di mano, esaminai i velivoli fermi nello spiazzo erboso. C'erano quattro enormi Coleotteri, mastodontici aerei cargo in grado di trasportare svariate spighe (*) di merce. Per due di essi le operazioni di carico erano ancora in corso, mentre su quello più avanzato alcuni inservienti stavano già aprendo le possenti elitre. Si trattava di enormi pannelli che proteggevano le delicate ali membranose. Ognuna era azionata da un grosso argano, manovrato da tre uomini contemporaneamente.

«Grandi, vero? Scommetto che non li avevi mai visti dal vero». disse qualcuno.

Mi voltai verso il nuovo arrivato. «Sono impressionanti.» assentii.
I motori che azionavano quelle ali dalle colossali proporzioni erano i più potenti mai costruiti, almeno secondo il database dell'Alveare.

«Mi chiamo Takoda.» si presentò lo sconosciuto.
«Duncan.» replicai, stringendo la mano che mi porgeva.

Lo osservai con attenzione, senza riuscire a metterne a fuoco lineamenti: aveva la pelle rossastra e il naso largo e piatto tipici delle Idrometre, ma i capelli color carota e qualcosa nel taglio degli occhi suggerivano invece origini diverse.
«Non sei di queste parti, o sbaglio?»

Mi resi conto mentre lo dicevo che la mia curiosità avrebbe potuto essere scortese. Non ero abituato a preoccuparmi di ciò che pensavano gli altri: se le mie parole li turbavano era un loro problema, se li offendevano ero sempre pronto a renderne conto con i pugni.

Per la prima volta, invece, mi dispiacque rischiare di aver infastidito chi mi aveva salvato la vita senza essere tenuto a farlo.
Lui però si strinse nelle spalle, sorridendo: «mia madre era un'Idrometra, io sono il risultato della passione di una notte tra lei e un mercante venuto da oltremare. Quando lei è morta di febbri un paio di anni fa, mi sono reso conto che non c'era niente a legarmi alla mia terra. Così ho cominciato a viaggiare, imparando tutto ciò che potevo, e ho finito per trovarmi al seguito di Elphitephoros.
Ho iniziato come addetto al carico e scarico merci, e ora sono il suo miglior tiratore».

Che chiacchierone, pensai. Mezz'ora di sproloquio per una domanda la cui risposta avrebbe potuto essere anche solo sì o no. Mi sforzai di sembrare interessato anche mentre una vocina nella mia testa lo canzonava, ricordandomi come il suo popolo d'appartenenza fosse in realtà arretrato e primitivo, quantomeno secondo i libri di scuola. 

Probabilmente l'unica arma a distanza che potesse conoscere quel tizio era la fionda.

Per dissimulare meglio rivolsi di nuovo la mia attenzione all'aeroplano, dove gli operai avevano terminato con le elitre e stavano spiegando le ali membranose attraverso altri verricelli.

«I nuovi modelli avranno dei motori elettrici per fare questo lavoro» spiegò, seguendo il mio sguardo. «Quando hanno costruito il primo prototipo non ne esistevano di abbastanza potenti: gli ingegneri hanno dovuto progettarne uno apposta».

A quanto pareva il mio nuovo compagno era un tipo curioso, oltre che logorroico. Del resto, a uno con le sue origini, tutto doveva sembrare incredibile, come doveva essere stato il fuoco per gli uomini preistorici.
«E così faremo questo viaggio insieme, eh?»
Lui s'illuminò, un sorriso entusiasta stampato in faccia. «Vuoi che ti mostri il veicolo che dovrai pilotare?»
Mi limitai ad annuire, invitandolo con un gesto della mano a farmi strada. 

Venni così guidato a una pista adiacente a quella dei coleotteri, aperta nella giungla d'erba come un'incisione nella corteccia.
Il mezzo che mi si presentò davanti mi lasciò senza parole.

Pur avendolo visto solo nel libro "Storia ed evoluzione del volo", lo riconobbi subito: si trattava di un Tafano, il capostipite di tutte le macchine volanti a motore, concepito dall'ingegnoso popolo dei Ditteri, che aveva abbandonato le nostre terre molto tempo prima.

Al mio fianco, Takoda stava sciorinando ininterrottamente dati tecnici quali potenza, giri al minuto, apertura alare. Alle mie orecchie, però, la sua voce non era altro che un ronzio indistinto.
«Vola davvero?» chiesi ad un certo punto, interrompendolo bruscamente.
«Incredibile, vero? Se ti dicessi dove li ha scovati!»
Era evidente che l'idea di Elphitephoros fosse utilizzarli fintanto che non fosse stata avviata la produzione dei suoi modelli di aeromobile armato.

Ad ogni modo, quell'aereo sembrava tenuto insieme dalla ruggine: il suo posto era un museo, non certo il cielo!

SPAZIO AUTORE

Cari lettori,
ho fatto passare un po' troppo tempo per questa seconda parte e me ne scuso.

Tra l'altro ora, al momento della pubblicazione, mi rendo conto che è parecchio più corta della precedente e forse anche delle altre.

Al momento sto scrivendo la successiva di Duncan e ho anche provato a vedere se un pezzo della nuova potesse essere incluso qui, ma continua a sembrarmi che questo sia il momento giusto per interrompere, quindi... niente, vorrà dire che lo leggerete più in fretta, semplicemente. :p

Contrariamente a tutte le mie credenze, ho inserito due personaggi nuovi nello stesso capitolo. Spero che ciò non porti confusione. A me sembra abbastanza fluido, ma non faccio testo perché io so già dove voglio arrivare. :p

E sempre a proposito dei personaggi e dei loro nomi... Takoda. 
Appartiene  alla tribù delle Idrometre che, anche se lo vedremo meglio dopo, richiama i nativi americani. Per questo, ho cercato un nome che esprimesse ciò che mi serviva in modo appropriato.

In lingua Sioux, Takoda significa "amico di tutti". Almeno, secondo internet. ;)
E non ci può essere nome migliore per il giovane dalla vivace curiosità e dalla lingua lunga, su cui però si può sempre contare
.

Quanto a Duncan... ci metterà un po' per perdere parte della sua spocchia. Per quanto si sforzi di essere aperto e tollerante, non può fare a meno di credere che le Api siano il popolo più evoluto, e volevo che ciò trasparisse anche nei suoi pensieri, al costo di renderlo un po' antipatico. Un indottrinamento durato una vita non può sparire da un momento all'altro.
Ma ora che ha lasciato l'Alveare, presto la verità comincerà a dischiudersi davanti ai suoi occhi, e il nostro eroe è abbastanza sveglio da rendersi conto che le cose non sono proprio come gli hanno fatto credere...

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