15. Caduta

DUNCAN

Non avrei mai pensato di potermi trovare in una situazione simile.

In fuga dalla mia stessa casa alla vigilia di una guerra, senza una meta né un piano, bollato come traditore e spia del nemico. Fortuna che i miei genitori non erano vivi per assistere a quello spettacolo.

Eppure, nonostante tutto, non potevo fare a meno di assaporare il volo. Era come se quelli fossero, per me, gli unici istanti in cui esistevo davvero. Per non parlare del mezzo che mi stava facendo solcare i cieli: personalmente, avevo sempre avuto un amore spassionato per i Fuchi acrobatici. Avevo ormai provato almeno una volta tutti i velivoli in dotazione all'Alveare, tra ore di volo reale e simulazione, ma niente era mai riuscito a trasmettermi la stessa emozione.

Inoltre, per me era evidente che l'aereo del Sergente era stato messo a punto in qualche modo particolare, probabilmente da lui stesso: tutti sapevano, infatti, che trascorreva intere notti affaccendato sul suo caccia, a cui non permetteva a nessuno di avvicinarsi, curandone personalmente anche la manutenzione.
Non avrei saputo dire di preciso di cosa si trattasse, ma il motore aveva una risposta diversa ai comandi e perfino il rumore era leggermente differente.
Le ali poi, questo lo sapevo per certo, erano maggiorate, cosa che in una manovra non perfetta aumentava considerevolmente il rischio di afflosciamento e perdita di portanza.

O'Brian aveva sempre sostenuto che nessuno sarebbe mai stato in grado di pilotarlo al posto suo. Ciononostante, me l'aveva fatto trovare pronto: a quanto pareva, aveva grande stima delle mie capacità di pilota.
Come mi capitava fin troppo di sovente, il crepitare della radio mi riportò alla realtà.

«Veicolo sconosciuto, il tuo decollo non è autorizzato. Identificati immediatamente. »

Mi concentrai sulla mia traiettoria. La strategia migliore mi sembrò prendere quota fintanto che non avevo nessuno alle calcagna, in modo da gettarmi poi in picchiata il più lontano possibile dalla zona controllata direttamente dalle Api, magari tuffandomi nella giungla d'erba in un punto non troppo folto.

Mentre davo gas e cominciavo a puntare il muso verso l'alto, l'operatore ripeté il suo messaggio tale e quale. Quindi, non ottenendo nessuna risposta per la seconda volta, concluse: «Veicolo sconosciuto, ti trovi nello spazio aereo esclusivo dell'Alveare. Identificati e inverti immediatamente la rotta o verrai abbattuto. Ripeto...»

Spensi la radio e cercai di concentrarmi sul modo migliore di restare in vita, proprio mentre un segnale elettronico comunicava l'apparizione di due puntini verdi alle mie spalle, sul radar.

Gli Esploratori erano veicoli di intercettazione a corto raggio snelli, minuscoli ed estremamente agili. Venivano usati per scovare i nemici o per scortare le Bottinatrici, e il loro scopo principale era tenere impegnati gli avversari fino all'arrivo dei Fuchi.

Rispetto a questi ultimi avevano un armamento più leggero, con mitragliatrici di calibro minore e missili esclusivamente aria-aria. Tuttavia, questo non avrebbe fatto alcuna differenza, considerato che io mi trovavo su un aeroplano non corazzato: mi avrebbero spappolato come una sagoma di cartone.

Non potevano raggiungere le folli velocità del mio apparecchio, tuttavia avevano un angolo di virata irrisorio ed erano in grado di fermarsi a mezz'aria.
In sostanza, io ero leggermente più rapido ma, se fossero riusciti ad avvicinarsi, la loro superiore capacità di manovra avrebbe potuto rivelarsi decisiva.

Determinato a proseguire con il mio piano, mandai il motore al massimo e continuai l'ascesa.

Nonostante le mie nozioni teoriche, mi accorsi ben presto che i miei inseguitori guadagnavano terreno. L'Alveare si trovava in cima alla parete rocciosa che faceva da delimitazione naturale del prato. Più esperti di me, i piloti avevano sfruttato tale altezza per azzerare il mio vantaggio.
Anziché cercare di rincorrermi inutilmente in linea retta, avevano fatto una mezza picchiata girandomi intorno, e stavano per tagliarmi la strada.

Mentre studiavo la mia contromossa, i due pallini verdi scomparvero dal mio schermo.

Contando i secondi scorrere, mi vennero in mente le dicerie sullo sviluppo di veicoli invisibili ai radar. Se ne parlava da anni, ma ancora nessuno aveva visto i prototipi.

Che lo studio fosse già a un tale stadio? E soprattutto, possibile che Winthrop tenesse a tal punto ad eleminarmi da mettere in campo un'arma segreta?

Da quel pivello che ero, mentre ragionavo continuai semplicemente a proseguire per la mia strada. All'improvviso, altri due segnali verdi apparvero sul radar. Erano molto più piccoli, più vicini e più veloci di quelli di prima: missili!

Sforzandomi di non cedere al panico, puntai il muso verso il basso e premetti il pulsante per il getto di accelerazione rapida. Con la coda dell'occhio, scorsi il primo proiettile che proseguiva lungo il mio percorso di prima, perdendosi verso le profondità del cielo.

Il secondo invece non si lasciò ingannare e, compiendo una stretta virata, mi tenne dietro.

Stavo per mettere in campo delle manovre evasive, così come avevo imparato all'accademia, quando un esploratore entrò lateralmente nel mio campo visivo, sventagliandomi con una lunga raffica di mitragliatrice.

Proprio come durante l'Air Show, sentii le pallottole fare a pezzi la carlinga come se fosse stata di burro. Alcune aprirono squarci nella membrana alare, e il movimento imposto dal motore li allargò, riducendo in poco tempo l'ala sinistra ad un confuso ammasso sbrindellato.

Lottai per mantenere il controllo e imposi al mio Fuco una stretta virata a sinistra.

La parte anteriore del missile mi mancò di un soffio, ma la sua coda sbatté contro l'altra ala, e tanto bastò per innescare la bomba, che esplose.

Fortunatamente il botto non fu direttamente contro la carlinga: in tal caso non avrei avuto scampo. Anche così, però, gran parte del lato destro del mio apparecchio andò in mille pezzi.

Ormai impossibile da manovrare, ciò che un tempo era stato un veicolo volante precipitò roteando su sé stesso, come un legnetto lanciato da una finestra.

Sopra di me, i due esploratori seguirono lo spettacolo dall'alto: ero spacciato e non c'era più nessuna necessità di intervenire.
Tutto il mondo mi vorticava attorno e, benché a volte fosse sopra di me e altre sotto, di una cosa ero certo: la giungla d'erba era sempre più vicina.

Il tempo scorreva rallentato, i secondi sembravano ore mentre il mio cervello s'affannava a trovare una soluzione.

Azionai convulsamente i comandi, ma ormai erano completamente inservibili. Il motore si era addirittura spento, e in ogni caso non avrebbe fatto alcuna differenza, con le ali ridotte in quello stato. Planare era fuori discussione, anche perché recuperare l'assetto era impossibile.

Febbrilmente, passai in rassegna ogni leva, pulsante o indicatore del quadro comandi.
Al secondo giro, qualcosa richiamò la mia attenzione: un bottone che semplicemente non avrebbe dovuto esserci, di colore rosso, seminascosto sotto la cloche.
Non sapevo a cosa potesse servire, ma a quel punto cosa avevo da perdere? Mi trovavo a non più di un paio di Steli dalle prime foglie.
Lo spinsi.

Per un attimo non successe nulla. Poi, quasi contemporaneamente all'impatto con i primi rami, il cupolino si aprì accartocciandosi come una carta di caramelle, e venne sbalzato lontano dall'inerzia.

Non ebbi nemmeno il tempo di stupirmi che sotto il mio sedere ci fu uno scoppio, e l'intero sedile venne violentemente sbalzato fuori, con me sopra.

Con la coda dell'occhio riuscii a scorgere ancora per un momento il mezzo del Sergente O'Brian che s'inoltrava nella foresta, facendo scempio di foglie e rami.

Poi anche la poltroncina fece lo stesso, io sbattei violentemente il capo e persi i sensi.

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