12. Rapporto

ASHLIE

Mi ero sempre immaginata l'ultimo piano del Formicaio sorvegliato da imponenti misure di sicurezza. Rimasi quindi vagamente delusa quando l'ascensore si aprì su un anonimo corridoio deserto, al punto che lo feci notare perfino ai miei accompagnatori.

«Non ce n'è bisogno.» proclamò il più anziano con fare pomposo. «Chi non è autorizzato semplicemente non potrà mai arrivare qui.»
Quella sua arroganza mi faceva morire dalla voglia di fargli il verso, ma la mia posizione era già abbastanza incerta senza bisogno che aggiungessi l'oltraggio alla legge alla lista dei miei crimini, reali o presunti che fossero.

«E poi, tutto ciò che merita di essere sorvegliato si trova sotto, non sopra!» Esclamò allegramente l'altro.

«Se non tieni chiusa quella bocca sarò costretto a farti rapporto!» Abbaiò il suo superiore, guardandolo malissimo. Quindi mi strattonò bruscamente per il braccio, che non aveva mai lasciato.
«So camminare da sola!» sbottai, incespicando.
«Allora datti una mossa.» ritorse il soldato. «Non si deve far attendere il Consiglio.»

Attraversammo spediti l'ampio corridoio dal pavimento azzurrino. Numerose porte vi si affacciavano, alcune di legno, altre di metallo, ma tutte comunque esageratamente grandi, a due battenti.

Riuscii a sbirciare attraverso una di esse, lasciata sbadatamente socchiusa: si trattava di una semplice sala riunioni, con un comune tavolo ovale intorno a cui erano ordinatamente assiepate delle ordinarie sedie da ufficio. Nessuna traccia di monitor o dispositivi ipertecnologici di qualsiasi tipo: di nuovo, rimasi delusa.

Il nostro percorso terminò di fronte alla porta più grande che avessi mai visto. Era costituita da due pesanti pannelli di legno dipinti di blu scuro; dalla giuntura, perfettamente in centro, si dipanava un meraviglioso bassorilievo raffigurante lo stemma del nostro popolo: uno scudo araldico contenente la figura stilizzata di un "Ant", dipinto di bianco su sfondo rosso. Si trattava di un animale mitologico a sei zampe, con un paio di sottili antenne sul capo vagamente cuneiforme e addome a forma di goccia.

Il mio antipatico custode lasciò finalmente la presa, bussò e, ottenuto il permesso, sporse solo la testa all'interno.
«L'abbiamo trovata.» Lo sentii dire e, nonostante non potessi udire la risposta, il fatto che non avesse avuto bisogno di specificare di chi si trattasse mi sgomentò: pensavo che il Consiglio avesse mille cose ben più importanti di cui occuparsi; se ero al centro della loro attenzione dovevo davvero cominciare a preoccuparmi.

«Parla solo quando sei interrogata, sii rispettosa e tieni sempre a mente quanto sia importante il tempo dei consiglieri» mi raccomandò infine l'ufficiale, tenendo la porta aperta con un braccio mentre mi faceva cenno col capo di entrare.

Lo superai a testa alta, cercando di darmi un tono e di sembrare sicura di me. Appena varcata la soglia, però, lanciai un'ultima occhiata alle mie spalle.
Con mia grande sorpresa, un attimo prima che l'uscio venisse richiuso, il più giovane mi fece l'occhiolino, sorridendo.

Orfana dei miei accompagnatori, dedicai allora tutta la mia attenzione a ciò che mi stava davanti.
A quanto pareva quello era il giorno delle grandi delusioni: al posto dell'immensa sala decorata e piena di sedie che mi aspettavo, mi ritrovai in un modesto e anonimo ufficio. L'unico arredamento era rappresentato da quattro sedie e da una grossa scrivania, grigia e liscia. Le pareti, dello stesso colore, erano tappezzate di ritratti e fotografie di varie dimensioni, raffiguranti molti presidenti del passato.

Tre scranni erano già occupati da degli anziani vestiti in modo elegante ma sobrio, due uomini e una donna. Dal lato del tavolo opposto al loro, praticamente al centro del locale, c'era il posto palesemente riservato a me.

«Si sieda.» mi invitò infatti uno dei due maschi, indicandomela con la mano.

Eseguii, muovendomi a scatti. Sotto quegli sguardi indagatori, l'immagine mentale del mio corpo che veniva squartato per farne fertilizzante si ripresentò ancora più vivida nella mia mente.

«Dunque...» esordì la persona seduta al centro, consultando una serie di appunti assurdamente stampati su carta anziché in formato digitale.
«Così lei è la signorina...» esitò, sollevando gli occhi grigi dal foglio per puntarli dritti nei miei. «Senti, posso chiamarti semplicemente Ashlie e darti del tu? In fondo, potrei essere tua nonna!»
Quel sorriso che sembrava sincero e quel tentativo così inaspettato di mettermi a mio agio mi lasciarono senza parole, al punto che fui capace solo di annuire con vigore.

«Splendido!» proclamò la mia interlocutrice, entusiasta come se ci fosse davvero motivo di rallegrarsi per una cosa tanto insignificante. «allora tu puoi chiamarmi Gwendolyn. Io sono la presidente del Gran Consiglio.» La sua espressione si fece seria per un attimo, mentre studiava attentamente la mia reazione a quella notizia. «È un po' come essere una regina, con la differenza che vengo scelta dai miei collaboratori, anziché essergli imposta.» concluse, strizzandomi l'occhio con complicità.

La fissai come un ebete, sbalordita: davvero non sapevo come comportarmi o cosa rispondere.

L'anziano seduto alla sua destra la guardò storto, ma non intervenne.

«Allora, cara. Sei qui perché c'è una rapporto su di te che ha suscitato il nostro interesse».
Quelli che adesso sapevo essere due membri del direttivo passarono le dita sullo schermo dei loro dispositivi personali; Gwendolyn invece dispose ordinatamente sul piano altre stampe.
«A quanto pare ti sei arrampicata su un girasole... e pare tu abbia sostato sulla sommità per un certo tempo.»
«Sì, signora.» Ammisi.
«Vorresti dirci perché?»

Mi limitai a confermare la versione già data alla polizia: non c'era rischio di cadere in contraddizione, dal momento che si trattava della verità. Mi limitai però a dire che volevo assistere allo spettacolo, augurandomi che nessuno mi domandasse il perché: sicuramente, il rapporto stretto che avevo con un abitante dell'Alveare non sarebbe stato visto di buon occhio, specialmente in quella sede.

«Vedi, Ashlie... Per una fortuita coincidenza, tu sei l'unica persona di cui possiamo disporre ad aver assistito alla scena. Vogliamo che ci racconti tutto ciò che hai visto, senza tralasciare nemmeno il più minuscolo particolare.»

Allora era di questo che si trattava! Pur ritenendo che non fosse granché, descrissi con dovizia di particolari ciò che ricordavo. I presenti mi ascoltarono attentamente, senza mai interrompermi. Al termine, i due sconosciuti mi bersagliarono con una raffica di domande molto precise, che andavano dalla direzione da cui erano arrivati i colpi, al tipo di detriti generati e addirittura alla frequenza degli spari, qualora fossi stata in grado di distinguerla. La presidente invece rimase in completo silenzio, fissandomi impassibile, con il mento appoggiato sulle mani intrecciate.

Quando tutte le curiosità furono soddisfatte calò un silenzio teso, smorzato solo dal sommesso picchiettare delle dita sugli schermi mentre gli amministratori prendevano appunti.

Appena fu evidente che non c'era altro, scambiato un cenno d'intesa con gli altri, Gwendolyn mi congedò. «Grazie, è tutto: ora puoi andare.» esitò solo un istante prima di soggiungere: «Considerata la tua preziosa collaborazione di oggi, darò disposizioni allaCcommissione Disciplinare affinché tutta questa storia venga immediatamente archiviata.»

Quell'affermazione le valse un'ulteriore occhiataccia da parte dei suoi colleghi, ma lei sembrò non darle alcun peso proprio come prima.
«In futuro però cerca di tenerti alla larga dai fiori, d'accordo?» concluse, ridacchiando tra sé e sé.

Salutai, ringraziai e mi alzai in piedi. Ma, giunta alla porta, non seppi resistere e domandai istintivamente: «Signora, cosa sta succedendo?»
«Che impertinenza!» sbottò uno dei due uomini. «Non siamo tenuti a dare spiegazioni a...»
Le parole gli morirono in gola, soffocate dal gesto imperioso della massima autorità del Formicaio. «Il mio popolo ha il diritto di sapere.» proclamò Gwendolyn, decisa.

«Non sappiamo bene cosa sia successo» ammise quindi, rivolta a me. «Ma quasi sicuramente le Api metteranno in atto una rappresaglia contro di noi per l'attentato subìto. Forse scoppierà una vera e propria guerra.»
«Una guerra!» ripetei, a voce più alta di quanto avrei voluto.
«Preparati a fare la tua parte, Ashlie. Presto ognuno sarà chiamato a dare al Formicaio tutto ciò di cui ci sarà bisogno. Possiamo vincere e sopravvivere solo se restiamo uniti, come le dita di una stessa mano.»

Cosa insolita per me, rimasi senza parole. Feci un cenno con il capo e, senza dire altro, lasciai la stanza. In fondo al corridoio, le due guardie mi aspettavano ai lati dell'ascensore, pronte a riaccompagnarmi alla mia banale esistenza.

Fuori da quei muri, il mondo era pronto a cambiare.


SPAZIO AUTORE

Cari lettori,

dopo aver conosciuto la Regina delle Api, ecco quella delle Formiche. Ma per non essere banale, ho deciso di trasformarla in un amministratore delegato. Che ne pensate?

E la mitologica creatura sulla porta, l' Ant ? Io mi sono divertito a immaginarla. :p

La situazione sta precipitando rapidamente, la guerra è alle porte. Come reagirà la nostra Ash, alla quale gli ordini vanno stretti, in questo momento di emergenza?

Spero continuiate a seguirla.

Ho ridotto la frequenza degli aggiornamenti perché sto seguendo più progetti, e ho approfittato di questo momento in cui, per un motivo o per l'altro, i lettori scarseggiano.

A presto con chi vorrà proseguire!

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