Il circo
"Ma... il corpo di nostro padre non si è ancora raffreddato, Walter!"
Vidi mio fratello tirare le labbra fino ad assottigliarle, socchiudendo insensibilmente gli occhi.
Fisicamente gli somigliava davvero molto: stessa statura, capelli corvini, carnagione scura; ma mio padre aveva un sorriso negli occhi che a lui mancava. Cupo e duro, era. Diventato uomo troppo presto, forse, rimasto orfano di madre appena undicenne.
Fin dai suoi tredici anni, poi, aveva preso a combattere con la marea che saliva, ingoiando il nostro vecchio mondo, costringendoci ad arretrare verso un terreno più solido che non la cedevole sabbia, al confine tra sogno e realtà, in cui prima riuscivamo a vivere.
"Ho predisposto ogni cosa", si limitò a rispondermi, sottolineando con ciò che tutto era ormai stabilito e che ogni mia contestazione era irrilevante. "Papà mi ha passato ogni diritto già molti mesi fa, sapendo di essere alla fine".
Certo, ogni proprietà al figlio maggiore. La tradizione del circo, il primogenito che perpetua la stirpe. Come nel medioevo, quando i cadetti erano destinati alla cavalleria errante, in cerca di draghi per diventare paladini e santi, come san Giorgio!
Ovviamente io e Stephen avremmo potuto impugnare l'atto, palese violazione della quota di legittima. Ma non lo avremmo fatto.
"Papà ha tentato disperatamente di salvare il nostro circo", mi ribellai, "e appena chiude gli occhi tu lo smembri!"
Ero ingiusto, lo sapevo, ma lo schiaffo in faccia di quanto Walter ci aveva appena comunicato mi rendeva rabbioso. Aveva atteso che fossimo soli e lontani dalla nostra gente per parlarci. O meglio, per informarci delle sue decisioni che stravolgevano, però, anche la nostra vita.
"Papà era un sognatore", mi rispose: "che rifiutava la realtà. Il circo è cambiato, i numeri con gli animali non fanno più richiamo. Il serraglio è stato piuttosto la macina al collo che ci ha trascinato a fondo, negli ultimi anni, e proprio il suo costo ci costringe a scegliere: se vogliamo provare a salvare davvero questo circo, dobbiamo tenere solo gli artisti che lavorano senza animali. Ho preso accordi con un grande zoo, prenderà tutte le nostre bestie; naturalmente senza pagarle, ma ce ne libereremo senza costi".
Chiusi gli occhi, perché mi bruciavano. Animali. Per Walter pareva fossero solo 'gli animali', quelli che per me erano stati compagni di giochi, maestri di pazienza e rispetto, confidenti, e fratellini di cui essere preoccupato, quando erano stati ammalati.
"Avranno una buona vita. Niente gabbie con le sbarre, minuscole e sporche. È un grande parco con ampie zone recintate, in cui spazieranno liberi; gli ospiti paganti visitano le varie aree in macchina, su tragitti obbligati, per ammirare gli animali senza disturbarli troppo. Avranno un controllo medico costante, cibo adeguato e sufficiente. Godranno d'una vecchiaia migliore dell'intera vita trascorsa con noi. I soli per i quali non ho stretto accordi sono i cavalli".
E aveva guardato nostro fratello, il secondogenito.
I cavalli erano la vita, per Stephen. Fin da giovanissimo era stato addestratore e responsabile del loro numero; lui e sua moglie erano acrobati cavallerizzi, insieme ai fratelli e sorelle di lei. E presto i loro bambini si sarebbero aggiunti, ovviamente.
Dunque, almeno per lui, Walter avrebbe fatto un'eccezione e tenuto i cavalli... Ma no, pareva che non fosse stato il solo, Walter, a guardare nel futuro. Solo io non ero riuscito ad alzare lo sguardo dal volto di nostro padre?
Solo io ero rimasto incatenato a quel viso che si svuotava giorno dopo giorno, con le guance viepiù incavate come se qualcosa le risucchiasse da dentro, stirando la pelle, ovunque, fino a scoprire le ossa sporgenti, vestite d'un velo effimero di rosea trasparenza?
Solo io. Perché Stephen ribatté che lui andava via.
"Hai fatto bene a non disporre dei cavalli. Essi mi sono stati affidati da nostro padre e li porto via con me. Ho trovato un grande parco divertimenti interessato a uno spettacolo giornaliero di cavalleria. Hanno spazi adatti, aprirò anche un maneggio e potremo avere una vita stabile. Per i bambini è la scelta giusta; avranno una casa fissa, una scuola e dei compagni, come tutti".
Walter non replicò nulla, io rimasi senza parole.
Così, la famiglia andava in frantumi.
Walter prendeva il circo, il tendone, la nostra gente.
Stephen i cavalli.
E io? Cosa sarebbe rimasto per me?
"Domani al rientro mi servono le vostre firme, poi sarai libero di andare via con i cavalli, Stephen", disse Walter.
Abbassai lo sguardo sulle mie mani, abbandonate tra le gambe. Seduto a capo chino pensai a quel viaggio che sembrava proprio l'ultimo che avremmo fatto insieme. Avevamo portato il corpo di papà dove aveva chiesto d'essere sepolto, nella città in cui aveva conosciuto mia madre, e dove lei, morta di parto, era sepolta.
Non era nata circense, mia madre, ma giovanetta, appena maggiorenne, si era unita al circo incantata da mio padre e dal fascino del tendone. Per la sua famiglia era stato un rapimento in piena regola, con tanto di denuncia. Avevano dovuto desistere, infine, ma avevano odiato mio padre e mai avevano voluto conoscere noi figli.
Quanto a me, io tutto questo neppure lo avevo saputo, da piccolo. Me lo avevano nascosto, temendo che un bambino avrebbe potuto farsi strane idee, scoprendo d'aver ucciso, nascendo, sua madre; avrebbe potuto vivere sensi di colpa, o rifiutare di legarsi alla donna che lo allevava al posto della madre vera.
Nascondermelo era stato inutile, quanto a questo. La compagna che mio padre aveva preso con sé una volta vedovo, non ero egualmente riuscito ad amarla. Quando era morta, e io dodicenne avevo scoperto la verità, mi ero reso conto di aver sempre saputo, in fondo, che eravamo estranei.
Lei era stata sepolta in Russia, sua patria originaria, mentre mio padre, per sé, aveva scelto di essere infine seppellito accanto alla prima moglie.
Alla tumulazione non era venuto nessuno della famiglia di lei, com'era prevedibile visti i trascorsi, e mentre l'operaio murava il loculo io, che di mia madre avevo visto solo poche foto sbiadite, nascoste all'epoca del secondo matrimonio in una cassetta di legno, e tirate fuori solo nella mia adolescenza, avevo studiato tutto il tempo il suo volto sorridente sulla lapide, in cerca di somiglianze.
Infine ogni formalità si era conclusa, ma, appena usciti dal cimitero, Walter aveva ritenuto giunto il momento di informarci delle sue iniziative.
Sapeva che era necessario il nostro consenso per rendere legale quella spartizione dei beni contraria alle norme vigenti, ma non dubitava che avremmo firmato. Era convinto che, per ossequio alla tradizione, non avremmo contestato quella divisione, benché soprattutto io restassi con nulla in mano.
Se nulla è la vita, mi sembrò mi rimproverasse nel pensiero mio padre.
"Tu non hai mai trovato una tua collocazione, Theodor. Ti avviso che dovrai fare di più, se vorrai restare con me".
La voce dura di Walter mi riscosse. Alzai gli occhi, incredulo di quello che si stava dimostrando capace di dirmi. Collocazione? Non avevo trovato una collocazione?
Non era mia la colpa, se ero nato così tanto tempo dopo di loro! Se, ancora bambino, una caduta mi era costata una frattura e la paura non più superata del trapezio.
Non era stata mia la colpa se avevo provato tanta attrazione per il numero di magia, ma quel vecchio artista, geloso della sua arte, non mi aveva voluto mai come apprendista.
Avevo fatto di tutto, invece. Già bambino avevo accudito le bestie, venduto biglietti, pulito. Quanto avevo pulito in diciotto anni? Quante volte la pista, eternamente insozzata di sterco? I banchi degli spettatori, il tendone, la roulotte, la gabbie... e poi elettricista, falegname, musicante... Come osava dire che non avevo trovato una collocazione?
Solo perché non avevo un mio numero?
Cosa stava insinuando, mio fratello, che avevo approfittato di quel padre che avevo accudito fino all'ultimo respiro? Stava veramente ammonendomi che d'ora in poi non avrebbe giustificato pigrizia? Mi raddrizzai, morso dall'orgoglio.
"Metterò la firma che ti serve, visto che ho compiuto i diciotto anni l'altro ieri, e prenderò il mio. Entrerà in una valigia. Poi non dovrai preoccuparti di giustificare la mia presenza ai dipendenti".
Reagii con durezza, alla durezza con cui mi aveva parlato. Improvvisamente estranei, nonostante il letto a castello che avevamo condiviso. Un castello in rovina, che solo lo spirito di mio padre teneva in piedi, coi suoi sogni. Morto lui, si era ridotto in polvere, all'istante.
Mi alzai dalla panchina di fronte al cancello e tornai dentro. Tornai a salutare la tomba appena chiusa.
Era singolare come, infine, mio padre avesse scelto di essere sepolto lì, dove non era nato, né vissuto, né morto. Avevamo rispettato il suo desiderio, ma era tempo di ripartire.
"Io vado, papà. Non credo che tornerò presto; anzi, non so bene cosa farò, ora. Con Walter non voglio restare. Cambierà tutto, nel circo, e la cosa non mi piace.
Stephen ha trovato un posto per sé e per la sua famiglia, ma non mi aveva detto nulla, né mi ha invitato ora, a seguirlo. Forse la mia presenza non è gradita, e poi io non sono un cavallerizzo.
Quindi, metterò in valigia i miei abiti, prenderò i pochi spiccioli che mi hai insegnato fin da bambino a tenere da parte, e cercherò la mia strada. Da qualche parte porterà... se c'è una cosa che mi hai insegnato a non temere, è di viaggiare".
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