3. D'Ora In Poi Odierò La Pizza

Ogni giorno qualcuno si affanna per arrivare agli obiettivi prefissati, affrontando molteplici fatiche sempre più ardue e piene di ostacoli.

Ogni ora qualcuno chiama la persona a cui è più legato, con cui ha un rapporto più affine, che sia un amico o la sua anima gemella.

Ogni minuto qualcuno inizia a soffrire, a consumare pacchetti di fazzoletti a non finire, magari per la morte improvvisa di qualche parente o per un lacerante senso di delusione.

Ogni secondo qualcosa inizia a mettersi in moto, ad escogitare piani oscuri, per far diventare una giornata serena un disastro.

Non c'è niente di peggio, però, di quando una complicazione apparentemente innocua comporta un danno, un cambiamento, per il proprio sempre.

Pochi giorni prima non sono mai stata capace di liberarmi dal pensiero che forse non sarei mai più andata via dall'ospedale. Nella stanza in cui sono stata pedissequamente controllata da quegli uomini austeri la temperatura non è mai salita oltre i diciassette gradi. Freddo a non finire, specialmente di sera. A dire il vero, non so nemmeno se sia stato meglio uscire da quella struttura o entrare nella macchina di mia madre. Non che mia madre tenga la vettura in disordine, ma stare seduta su un sedile ha riportato la mia mente a quel giorno indimenticabile. Spesso mi viene spontaneo voltarmi verso i sedili posteriori, come a ricordare ciò che è successo quella notte a causa di un catastrofico accidente. Non è facile liberarsi da un mostro del passato, un passato recente, soprattutto quando ti ha quasi fatto stringere la mano alla morte. Ma grazie alle prescrizioni del medico e alla mia forza di volontà sto imparando a gestire le emozioni, in modo da rendere meno frequenti le allucinazioni.

Per fortuna adesso sono a casa seduta a gambe accavallate sul mio divano, a bere la mia cioccolata. Gli occhi sono puntati su un libro che voglio leggere da tempo e la mente proiettata in quel mondo alternativo, tutto è nella norma. Si tratta de "Il Cacciatore di Aquiloni" di Khaled Hosseini, pubblicato nel duemilatre. Spesso mi capita di immedesimarmi così tanto nel povero Sohrab, un bambino finito in un orfanotrofio in seguito all'omicidio dei suoi genitori. Ma non è tanto questo ciò che mi trafigge l'anima spingendomi quasi a piangere, quanto la paura che emerge dal testo. Ecco che mi chiedo come possa un bambino innocente sopportare la perdita dei suoi genitori, che sono la cosa più importante che si ha al mondo. Di conseguenza, mi viene da riflettere su come possa io superare questo trauma. Come fare? Forse dovrei parlare con un amico o semplicemente con mia madre o mio padre, ma non ne trovo la forza. Esatto, sono pavida un po' come Amir, quando non è riuscito a difendere il suo fratellastro Hassan dalla violenza dei bulli. È difficile da spiegare, ma ogni qualvolta che provo ad abbattere il muro che blocca la mia mente mi sento debole, fragile, nuda. Ho l'impressione che coloro che mi circondano possano leggermi nell'anima attraverso gli occhi, ormai spesso dominati dalle fiamme.

Un'altra domanda che mi pongo spesso da quando sono tornata a casa è perché la foto delle persone che più amo al mondo sia ribaltata. Nessuno si è mai curato di alzarla e, dopo che lo faccio, uno dei due la riabbassa. Ciò ugualmente mi limita, perché sarei capace di domandare qualcosa che potrebbe far aumentare la tensione già presente in famiglia. Non voglio vedere mio padre diventare alcoolizzato e far passare mia madre in secondo piano, come se per lui il loro matrimonio fosse terminato. Non voglio, dunque, che la mia famiglia si trasformi in quella orribile di Bobby, protagonista principale de "La piccola biblioteca con le ali" di David Whitehouse. Anche io voglio fuggire assieme alla mia famiglia a bordo di una miriade di storie in cerca di una vita migliore. Ma adesso sembra un piano utopico.

D'improvviso, sono richiamata alla realtà da dei gridi di sottofondo che non fanno altro che destare la mia curiosità. Sembrano provenire dallo studio di papà. A passo felpato arrivo accanto alla porta socchiusa di quest'ultimo e di nascosto origlio la loro conversazione, volendo saperne di più. Fortunatamente non si stanno scannando, il che mi rasserena notevolmente, ma sono sicura ci sia qualcosa di più interessante sotto. Alle mie orecchie giungono parole confuse, quasi disconnesse, anche perché, furbi come sono, discutono animatamente sottovoce. Se non avessi scoperto qualcosa nell'arco di due minuti, avrei fatto irruzione nella stanza senza battere ciglio. Niente, nessuna notizia rilevante. Parlano di affari della casa, tasse da saldare, cibo da comperare, cose inutili. Dannazione, strofino le mani tra loro spostando decisa la destra verso la fessura tra lo stipite e la porta, quando le mie orecchie odono una parola chiave: pizza. Entrambi si accusano vicendevolmente di non essere rimasti al momento del mio incidente a sorvegliare la vettura, di non essere stati al mio fianco. Non ci posso credere. Non può essere. La mia mente non può accettare questo.

«Allora, la fonte della loro distanza sono io» sussurro tra me e me sconvolta.

La mia voce è impercettibile, lacrime copiose sgorgano dai miei occhi, mentre mi accascio per terra facendo scivolare la schiena sul muro. Le mani tra i capelli, le labbra increspate e i gomiti poggiati sulle ginocchia a soffrire. Non riesco a resistere un minuto di più, devo fare qualcosa affinché i miei genitori possano tornare assieme, ma non so da dove iniziare. Disperata, faccio leva sulle gambe e vado a rifugiarmi nella mia stanza soffocando le lacrime nel mio candido cuscino. Gemiti soffocati si fanno strada nella mia gola, mentre pensare di essere un problema, una fonte di unione ma anche di divisione, mi fa stare male. Il mio cuore palpita velocemente e in me si diffonde una rabbia e una sofferenza tale che prendo cose per me inutili e le lancio contro il muro. Tanti oggetti di ceramica e di vetro si schiantano contro di esso con forza frantumandosi sulle note sofferte dei miei lamenti.

Nell'arco di cinque minuti sento dei passi pesanti calpestare i gradini delle scale che portano alla mia camera. Subito corro verso la porta chiudendola a chiave. I miei genitori, immensamente angustiati, pronunciano il mio nome cercando di aprire invano la porta e sbattono su di essa il palmo. Non si arrendono, vogliono sapere cosa mi succede. Mi riempiono la testa di perché, tra cui il motivo per cui nella casa si sia diffuso quel rumore di oggetti rotti. Ma non m'importa adesso di essere compatita, non me ne può fregare di meno. Sento mia madre accasciarsi per terra facendo aderire la schiena alla porta, mentre mio padre tenta di consolarla con i fatti. I gemiti della donna si fanno quasi ovattati, come se si trovasse tra le possenti braccia di suo marito che nel profondo tiene tantissimo a lei, la ama. Di pari passo i miei genitori si dirigono in un'altra parte della casa a me ignota. Avrei tanto voluto pochi minuti prima girare la chiave nella serratura e abbracciare forte quella guerriera, baciarle il capo e sussurrarle parole di conforto. Lei lo fa da sempre, per coccolarmi, per risollevarmi il morale, per farmi percepire la sua vicinanza, di cui in questa fase della mia vita necessito. Ma anche tuttora non mi sento pronta, non dopo la coltellata ricevuta indirettamente da quella rivelazione. Non voglio vedere nessuno, desidero restare sola assorta nei miei stessi pensieri. Sì, sola, immersa nel buio della mia camera. L'oscurità, la mia attuale anima gemella, capace di tenermi a braccetto per non farmi accasciare al suolo accorata e di aprire il lucchetto del mio cuore. Mi butto sul letto a guardare il soffitto, parzialmente illuminato dalla luce soffusa dell'abat-jour collocata sul comodino. Mi sento come un vaso di coccio tra tanti vasi di ferro, nascosta in un antro mai illuminato dalla luce degli astri. Esatto, mi sento un po' come Don Abbondio, nel senso che all'interno di queste mura in questo momento ritengo di essere l'anello debole. Un vulnerabile bicchiere di vetro che con un delicato e maldestro schiocco di dita sulla sua superficie si rompe in mille pezzi.

Chiudo gli occhi per istanti che sembrano infiniti, al fine di fare quanta più chiarezza possibile nella mia povera mente afflitta e traumatizzata. A pensarci bene, scappare di casa non ha senso, bensì sarebbe un'ulteriore fonte di divergenza e patimento per i miei cari. Di conseguenza, opto per l'opzione più veloce, l'unica che mi avrebbe consentito di esprimermi al cento per cento. Una, due, tre, quattro prove, eppure non trovo mai le parole giuste per comunicare loro come mi sento, quando nella mia mente balena un'idea azzardata. Rifletto che non servono chissà quali alte parole per scrivere loro una lettera, perché si può dire tanto anche con poco. Lo ammetto, è un forte ossimoro della mentalità umana, ma spesso funziona. La mia penna, accompagnata da una tempesta interiore dalle sfumature più varie, si muove sul foglio tingendolo di nero con un tratto leggero e curato. Sei semplici parole con un retrogusto di abnegazione nei confronti del mondo e dei suoi familiari.

Finito di vergare quelle parole, chiudo la penna e mi infilo sotto il piumone, tirandolo su fino a coprire il naso per riscaldarmi completamente. Ma, prima che io possa abbandonarmi totalmente al sonno, nella mia mente figurano le parole che l'indomani cercheranno di far riappacificare i miei genitori. Un umile dono natalizio per il bene della famiglia, la mia.

"D'ora in poi odierò la pizza"

Con amore, vostra figlia, Emma.

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✍ Spazio autrice ✍

Ciao, popolo! Oggi dopo tantissimo tempo dalla creazione di questa seconda opera, in realtà continuazione della prima, stasera sono qui per farvi un bellissimo regalo natalizio: il terzo capitolo della storia "Il Dolore dell'Incomprensione", che è leggermente più breve rispetto ai precedenti. Che dire, questo capitolo permette di comprendere il perché della foto capovolta, ma ha come file rouge una tematica fondamentale: la famiglia. Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo nei commenti e se per voi la decisione presa da Emma è giusta, visto lo scopo per cui la prende. Scoperto da parte vostra lo scopo, vi chiedo soltanto: "Voi fareste una cosa simile per il bene e per amore dei vostri genitori?". Non esitate assolutamente a correggere il capitolo, qualora doveste trovare degli errori. Spero anche che il capitolo vi sia piaciuto. Buona lettura! :3

-PowerOff PSY ❣

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