1. L'inizio Della Fine

Spesso si crede di essere sani e salvi se si è in casa con la propria famiglia e si pensa di trovarsi nel rifugio più sicuro del mondo, dell'universo.

Spesso ci si rintana tra le braccia materne o paterne, solo per il piacere di sentire il battito del proprio cuore tornare normale nell'udire quello altrui tamburellare a ritmo regolare senza alcuna fretta.

Quando, però, si scopre che la realtà non è sempre come la si è immaginata ogni giorno, si avverte una sensazione grave, come se il mondo cominciasse a gravare sulle proprie spalle.

Quando si perdono le certezze riguardo alle cose in cui si è creduto con fermezza, ci si inizia a sentire confusi, disorientati.

Ad un certo punto, quando meno ce lo si aspetta, arriva qualcosa o qualcuno a distruggere, lacerare, frantumare la vita altrui.

Una volta cambiata, non si può più tornare indietro e ci si avvia in un percorso diverso, turbolento, con ricadute e momenti di estrema fragilità.

Proprio questo è quello che mi è accaduto. D'improvviso la mia esistenza è mutata in peggio e da quel fatidico momento tutto ciò in cui ho sempre creduto ha perduto importanza e valore.



E' la notte del 21 luglio 2015. A differenza di luoghi mediamente popolati, come Milano, Roma, città in cui sono nata e vivo tuttora, ha un numero di abitanti maggiore. Proprio per questo motivo, nelle strade si creano sempre ingorghi e lunghe file di macchine incolonnate ad aspettare di svincolarsi, per riprendere il viaggio verso la propria meta. Oggi anche io sono costretta a sopportare il supplizio del blocco stradale assieme alla mia famiglia. 

Centinaia, se non migliaia di clacson suonano ininterrottamente, come per incitare chi sta davanti a darsi una mossa, ma la verità è che così si crea solo più confusione. Per fortuna ho portato con me gli auricolari del telefono e, dopo averli messi alle orecchie, faccio partire un po' di musica, riuscendo a rilassarmi. Le parole dei cantanti viaggiano dentro il mio orecchio e da lì invadono il mio corpo di energia positiva, arrivando fino al cuore e mantenendolo in vita, così come la linfa trasporta nutrimento alle foglie. Il mio sguardo, invece, segue con attenzione ciò che accade all'esterno e, nel frattempo, ammira con aria sognante e meravigliata la città nella sua immensa bellezza. Una miriade di luci colorate illuminano le strade, persino quelle più anguste, rendendo l'atmosfera magica. Se si alza lo sguardo al cielo, si possono scorgere delle stelle, quasi invisibili a occhio nudo a causa dell'inquinamento luminoso della città.

Dopo una mezz'oretta il traffico inizia a diminuire e le vetture si muovono ad una velocità maggiore. Essendo di ritorno da un viaggio e non avendo ancora cenato, i miei genitori fanno una piccola sosta davanti una pizzeria, andando ad ordinare d'asporto. Io decido di restare in macchina sia per l'eccessivo freddo esterno sia per il sonno che mi ha portato a chiudere gli occhi per una decina di minuti. 

Ma, proprio in quella piccola frazione di tempo, la mia vita cambia radicalmente. Nel dormiveglia la mia mente viene invasa da un incubo: sono in viaggio verso casa in compagnia della mia famiglia, quando noto un incendio nella corsia laterale. Continuo a dormire in macchina serenamente, quando avverto un botto improvviso, che provvede a squarciare la mia tranquillità, come un fulmine a ciel sereno. Il mio cuore inizia a farsi pesante, mentre l'ansia aumenta. Panico. Smarrimento. Migliaia di emozioni si affollano nella mia mente, cercando di prevalere come in una lotta accanita l'una sull'altra. I miei occhi subito si spalancano e si precipitano con estrema curiosità a guardare all'esterno. Ciò che ho sognato non è stato solo frutto della mia immaginazione: una macchina, essendosi scontrata con un camion contenente liquido infiammabile, inizia a bruciare e salta in aria. Resto imbambolata con le mani e la faccia appiccate al finestrino, mentre le mie piccole orbite vengono conquistate dalle fiamme. Quando l'auto inaspettatamente si nasconde alla mia vista, sporgo la testa dal finestrino per pochi attimi e la cerco disperatamente. All'orizzonte non c'è traccia di essa, ma, quando alzo la testa, mi accorgo che, come in un moto parabolico, ha raggiunto l'altezza massima e ora sta precipitando a velocità nella mia direzione. Il mio cuore perde un battito. Spaventata e più preoccupata di mettermi in salvo, dimentico il finestrino aperto e mi avvio verso la portiera opposta. Spingo la maniglia, ma non si apre, perché mio padre, come al solito, ha messo le chiusure. Cerco di farmi venire qualche idea in testa e di inspirare ed espirare, per calmarmi, ma ho bisogno urgentemente di un'idea. Devo avvertire in qualche modo i miei genitori, così prendo il  cellulare dalla tasca posteriore dei miei pantaloni. Esso trema tra  le mie mani, che sembrano avere il Parkinson, quando la sfortuna interferisce con i miei piani. L'iPhone finisce sotto il sedile del guidatore e, nonostante io stia cercando di prenderlo, non riesco forse per l'ansia, forse perché non ci arrivo. Di conseguenza, ovvio all'incidente con un'azione avventata. Prendo una delle mie scarpe e la sbatto con veemenza sul vetro del finestrino fino a romperlo del tutto. In questo modo scatterà l'allarme e mio padre verrà. Io, però, adesso devo provvedere ad uscire. Lentamente provo ad uscire dal finestrino, sporgendo prima la testa e facendo leva con le braccia per far uscire il busto. Ma il tempo che in questi pochi istanti sembra mi abbia voluto dare una chance per continuare a vivere, rallentando il suo corso, ora scorre di nuovo regolarmente. Non riesco più a muovermi, perché il cardigan si incastra accidentalmente sotto il sedile. Faccio spallucce, facendo strappare il vestito, ma riuscendo almeno a svincolarmi. Sul mio viso si forma un piccolo sorriso, perché ci sono quasi. Manca poco e sarò salva. Ma subito la mia felicità si tramuta in disperazione e tristezza, mentre i miei occhi si ricoprono di un velo scuro. Oggi il destino ha preservato altro per me. L'auto viene addosso a quella di mio padre, schiacciandola totalmente. 

I miei occhi subito si chiudono, mentre avverto un liquido denso uscire a fiotti dal mio orecchio e dalla mia bocca, mentre il mio cranio, avendo sbattuto, ne risente molto di più. Non molto tempo dopo, ancora leggermente cosciente, seppur stordita, avverto dei suoni confusi in lontananza: forse sono voci oppure i miei genitori hanno chiamato l'ambulanza o i vigili del fuoco. Appena delle mani fredde come il ghiaccio e tremanti gentilmente mi sorreggono, dopo avermi sicuramente tirata fuori dalla vettura, il mio cuore si alleggerisce, perché forse ciò che ho supposto sta veramente accadendo. Qualcuno è accorso in mio aiuto e sta cercando di sottrarmi alla morte, a una fine che non penso di meritare in questo momento.

Dopo qualche ora, le mie palpebre stanche di stare chiuse e vogliose di riprendere in mano la loro vita, così come il mio corpo desidera, si aprono e iniziano a mettere a fuoco tutto ciò che hanno di fronte. Ugualmente, anche il mio cervello inizia a far girare le rotelle e a pensare, per poi accorgersi dopo cinque minuti di silenzio tombale di essere in ospedale. Giro la testa di lato e noto che mia madre mi tiene la mano con dolcezza, ma allo stesso tempo con aria preoccupata. Mi piacerebbe parlare e dire qualcosa per farla sorridere e donarle un po' di felicità, ma subito i miei occhi si appannano. Da essi iniziano a sgorgare lacrime come in una fontana. Evidentemente scossa dall'accaduto, guardo mia madre come se il filo che ha sempre equilibrato la mia vita sia stato tagliato. Porto una mano alla testa, dove sento maggiore dolore, e al tatto i miei polpastrelli riconoscono delle bende. Mentre la frustrazione si insinua nelle mie vene, palpo la mia testa e cerco di capire perché io abbia tutte quelle bende ad avvolgermi il capo. Provo a cercare nella mia memoria qualcosa, ma sembra che manchi un tassello importante. Più mi sforzo, più aumenta il mal di testa. Mia madre si alza velocemente dalla sedia, mettendomi le mani sul viso per farmi calmare e dicendomi di guardarla negli occhi. Ma in quelle orbite in cui non ho mai smesso di vedere la luce, ora vedo solo il buio. Mentre la osservo, il mio sguardo si ferma e la mia mente si blocca a quell'istante, ripercorrendolo rapidamente: fuoco, fiamme, poi sangue e, infine, il buio. Ancora traumatizzata, mi metto le mani sulle orecchie e inizio a gridare a squarciagola, tenendo gli occhi chiusi.

Avverto all'improvviso le braccia amorevoli e preoccupate di mia mamma che mi avvolgono in un abbraccio così rassicurante e intenso, calmandomi fino a mettere a tacere le mie grida.

"Tesoro, va tutto bene, la mamma è qua con te e non ti lascerà mai" mi bacia la testa, sussurrando sottovoce  parole rassicuranti, anche se posso immaginare quanto lei stia soffrendo dentro nel vedermi così debole, fragile.

"Mamma, ho avuto paura di perderti per sempre" la stringo forte a me, piangendo tra le sue braccia per la situazione pessima in cui mi trovo adesso.

"Non mi perderai mai, piccola Emma, tesoro della mia vita" mi accarezza i capelli e mi alza di un po' il viso, sorridendomi, per poi riprendere ad abbracciarmi.

I miei occhi, felici di avere davanti una mamma così premurosa e bella, osservano attentamente i suoi azzurri come il mare, nei quali spesso mi piace rivedere la barchetta della mia infanzia navigare in quell'infinita distesa di onde. I suoi capelli biondi come l'oro ricadono a boccoli sulle spalle, ricoprendo il seno.

Dopo circa cinque minuti fa il suo ingresso nella sala un dottore non troppo alto, con i capelli corti e neri, gli occhi a mandorla e il volto leggermente squadrato e si avvicina a me e a mia mamma. Tiene uno stetofonendoscopio al collo e un blocchetto in mano con una penna, sicuramente per annotare informazioni sulla mia condizione. La donna, di nome Clarissa, mi continua ad accarezzare i capelli, mentre il dottore mi fa delle domande. Tutto sembra essere apposto, quando i miei occhi si soffermano su un punto a caso della parete, vedendo ancora quelle fiamme divampare. Grido di nuovo a squarciagola, mentre delle lacrime di terrore mi rigano il volto.

Il dottore, vedendomi in quello stato pessimo, prova a chiedermi come mi sento o che sta succedendo di così spaventoso da farmi gridare in questa maniera, ma è come se le mie orecchie e la mia mente siano in due emisferi del globo diversi. Nonostante io abbia udito la sua voce, inizio a parlare a ruota libera, porgendogli la risposta al suo quesito su un piatto d'argento.

"Fiamme, fuoco, fiamme, fiamme" continuo a ripetere, senza mai fermarmi, quando interviene mia mamma.

"Ehi, piccola, tranquilla, va tutto bene" mi stringe di nuovo a sé più forte di prima "Sono qua con te, in ospedale"

Non riesco a mettere fine così facilmente a quell'allucinazione. Avverto lo sguardo preoccupato e un po' disperato di mia mamma che scruta attentamente la mia figura apparentemente uguale a prima, ma cambiata dentro.

"Signora, dovremmo fare degli ultimi accertamenti per comprendere il motivo preciso per cui sua figlia ha queste allucinazioni, che si presentano come dei flashback. Faremo un'anestesia leggera" il dottore volge lo sguardo verso di me.

Mi distendo di nuovo sul letto supina, mentre il dottore mi inietta l'anestetico. Sento quest'ultimo liquido iniziare a scorrere dentro al mio corpo, quando le mie palpebre si fanno pesanti e si chiudono, facendomi addentrare in un sonno breve, ma profondo.

Quando l'effetto dell'anestetico finisce, lentamente il mio corpo si inizia a risvegliare: le mie orecchie cominciano a sentire delle voci di sottofondo discutere animatamente; le mie mani stringono la stoffa leggera del lenzuolo, facendomi comprendere di essere in ospedale; i miei occhi fanno apri e chiudi all'inizio, come per riabituarsi alla luce.

Ad un certo punto volto la testa di lato e noto mia madre riempire di domande il dottore con aria mista tra la disperazione e la rabbia con gli occhi rossi per la mia condizione, sicuramente problematica.

"Mi vuole dire che devo lasciare che mia figlia soffra, senza che io faccia nulla per aiutarla?" ribatte mia madre, tenendo le mani sui fianchi, mentre il dottore cerca di tranquillizzarla parlandole pacatamente.

"Signora, questa cosa che ha sua figlia richiede tempo e un'assunzione molto attenta di farmaci atti a curarla" le accarezza un braccio, cercando di darle conforto.

"Mamma,..." la chiamo alla mia attenzione, chiudendo a momenti un po' gli occhi "Cosa ha detto il dottore? Perché ho queste allucinazioni?"

"Emma, tesoro della mamma, il dottore, dopo aver fatto i vari controlli, ha visto che il lobo occipitale del cervello è danneggiato" mi stringe forte la mano per darmi sicurezza e forza, ma so che lei è più fragile di quanto non stia volendo dimostrare adesso.

"Mamma, stai scherzando, spero! Insomma, un dottore mi ha praticamente fatto capire che posso andare a farmi fottere, perché il mio cervello e danneggiato! Ciò ne consegue che chiunque mi starà accanto, se vivrò momenti del genere, mi prenderanno per pazza! Ti rendi conto che non è uno scherzo questa situazione? Diventerò lo zimbello della scuola e, soprattutto, sarò passerò sempre per la vittima di turno! Ma che cazzo di vita mi è toccato di vivere? Me lo spieghi che senso ha ora essere ancora in vita in un mondo in cui tutti inizieranno a disprezzarmi ed escludermi? Non so, dimmi tu se devo iniziare a diventare una talpa che trova piacere solo a rintanarsi in qualche buio angolino sotto terra." apro le braccia leggermente come per accoglierla e stringerla in un caloroso abbraccio.

Clarissa si fionda su di me con la sua solita dolcezza, accarezzandomi i capelli e lasciando dei baci sul mio capo, come a voler marcare il terreno. Dopo questo breve attimo di paranoia, causato dalla notizia ricevuta dal medico, Emma arcua le labbra in un piccolo sorriso.

Sapere di poter contare su qualcosa ogni istante della propria vita è un'ancora di salvezza anche per chi, come me, purtroppo deve adattarsi a una nuova realtà difficile, ma specialmente piena di debolezze.

All'improvviso qualcuno bussa alla porta della sala in cui mi trovo e, dopo essermi liberata dalla stretta di mia mamma, mi metto seduta sul letto pian piano e rispondo.

"Avanti" attendo.

Strabuzzo gli occhi incredula su chi è venuto a trovarmi in questo momento, come per capire se si tratta di un miraggio. La realtà, però, è che lui era davanti ai miei occhi in carne e ossa.

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Spazio autrice ✍
Ciao a tutti, ragazzi. Questo primo capitolo è importante sia per la storia della protagonista sia per le vicende successive. Ho creato questa nuova storia per il concorso "Wattpad's got Talent Contest", il quale prevede, nel mio caso, la creazione di una storia con una patologia mentale. Questo certamente è solo l'inizio di quello che soffrirà sul serio la protagonista, ma spero di essere riuscita a cogliere la vostra attenzione. Cosa vi ha maggiormente attratto di questo capitolo? Chi pensate che sia la persona che è andata a fare visita a Emma in ospedale? Non esitate assolutamente a correggere il capitolo, qualora doveste trovare degli errori. Spero anche che il capitolo vi sia piaciuto. Buona lettura! :3

-PowerOff PSY ❣

📌[REVISIONATO☑ - 20/07/2019]

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