38. Ogni tanto sogni anche tu, lo so, e sogni di noi
E più ti penso, più ti voglio
Tutto il casino fatto per averti
Per questo amore che era un frutto acerbo
E adesso che ti voglio bene io ti perdo
Ancora, ancora, ancora
Mina, Ancora, ancora, ancora
Claire Bertrand mi ha contattata sul serio.
Con tono professionale, come l'amministratrice delegata della multinazionale di famiglia che si appresta a diventare, si è presentata come Anita Mattei e chiesto se avessi bisogno di una coinquilina, aggiungendo di aver avuto l'informazione da un paio di persone fidate.
Per tutta risposta, le ho proposto di incontrarci per pranzo, facendo il nome del locale dove ci siamo già incontrate una volta. Solo che lei non lo sa, perché mi sono presentata come Alba Moratti. Se il cognome delle madri vale quanto quello dei padri, non ho neppure mentito.
Intrigata mio malgrado da tutta questa segretezza, trascorro la mattinata lavorativa in attesa del meeting, come sono sicura lo definirebbe lei, facendo una ricerca approfondita sulle questioni di cui ho discusso stanotte con il contino Sant'Orsola. E ultimando un pezzo sulla presunta liason tra la mia potenziale futura coinquilina e Timothy Gambler, stella nascente del tennis che, però, sorry not sorry, non ha un'unghia del fascino di Sirio Sant'Orsola. Tuttavia, se ci ho visto giusto, miss Bertrand è una di quelle tipe tutte d'un pezzo che credono alle boiate sulla bellezza interiore. O al sacrificio in nome di un bene superiore, come potrebbe essere un'alleanza commerciale tra la propria famiglia e un'altra altrettanto potente.
La Ferraris sostiene che i Gambler siano grandi amici dei Giuliacci della Rovere, alias la famiglia detentrice della holding che controlla una parte di Athena Group, di cui fa parte anche Feminine. Mi basta poco per scovare qualche foto di gruppo e rimarrei volentieri a documentarmi sul punto se non fosse ora di andare.
La mia potenziale futura coinquilina è già seduta al tavolo, nonostante io spacchi il secondo. Smanetta freneticamente sul suo smartphone con aria contrariata, che diviene neutra quando posa lo sguardo su di me.
‹‹La volta scorsa faceva Pavesi di cognome, se non ricordo male›› esordisce.
‹‹E lei Bertrand›› ribadisco l'ovvio con un sorriso falso quanto una moneta da tre euro, sedendole di fronte.
‹‹Non posso presentarmi con il mio vero nome a un'estranea›› afferma ‹‹Ne va della mia sicurezza. Sa quanti tentativi di rapimento, ricatto ed estorsione subiscono i figli di gente famosa come i miei genitori?››
‹‹A maggior ragione non dovrebbe voler andarci a vivere, con gente che non conosce, seguendo questo ragionamento›› obietto.
‹‹Le mie fonti sostengono che lei è un tipo a posto›› dichiara l'inglesina ‹‹E io ho bisogno di vivere per conto mio, qui, lontano dall'influenza di mio padre››.
‹‹Perché?›› le chiedo, diretta.
‹‹Come faccio a sapere che le mie confidenze non verranno spiattellate sulla stampa?›› rilancia la piccola miss ‹‹In fondo lei è una giornalista››.
Potrei offendermi, spiegarle che va contro la deontologia professionale e la mia etica invece scelgo di bluffare: ‹‹Deve fidarsi almeno un po', è così che funziona tra coinquiline››.
‹‹Sapevo che avrei dovuto chiedere a Yael di ospitarmi›› sbuffa, alzando gli occhi al cielo. Apro la bocca per rifilarle un'altra risposta tranchant ma Claire Bertrand, a sorpresa, vuota il sacco:
‹‹Ho delle questioni in sospeso e devo chiarirle prima di tornare in UK, da sola››.
‹‹Con Sirio Sant'Orsola?›› indago.
Scuote la testa: ‹‹Con lui è già tutto chiaro, lo è sempre stato››.
Potrei farmi bastare queste parole criptiche ma sono pur sempre una giornalista, nonché amica del contino, quindi insisto: ‹‹In che senso?››
‹‹So che siete amici ma non gli farò sconti per questo›› esclama ‹‹Sirio sarebbe pure quello giusto per me ma tra noi non funzionerà mai››.
Abbassa lo sguardo ma non ci vuole un genio per comprendere che la cosa le dispiaccia. Vuoi vedere che la piccola Miss non è l'algida arpia che credevo?
‹‹Per lui è tutto un gioco, mi vuole solo perché gli resisto. Se dovessi cedere, mi scaricherebbe nel giro di poco e io non posso permetterlo›› sentenzia ‹‹Rovinerebbe l'amicizia tra le nostre madri, mi distrarrebbe dallo studio, spezzerebbe il mio cuore e passerebbe oltre, come fa sempre con tutte››.
Soffoca un singhiozzo e prosegue: ‹‹Tra l'altro, io non ho bisogno di un uomo al mio fianco.
Mio fratello Basil erediterà il titolo di baronetto e la tenuta ma sarò io la prossima amministratrice delegata di Bertrand Company, la prima nella storia dell'azienda, e dovrò essere sempre infallibile, sul pezzo, al cento percento, perché a una donna viene richiesto il doppio degli sforzi per mostrarsi all'altezza di un ruolo, specie se si trova a ricoprirlo per mero diritto di nascita, senza esserselo guadagnato sul campo››.
‹‹Su questo siamo d'accordo ma non credi che Sant'Orsola potrebbe essere d'aiuto in questo senso?›› le faccio notare ‹‹In fondo sa cosa significa lavorare sotto pressione quando devi essere all'altezza delle aspettative di qualcuno››.
‹‹Sirio ha la naturale tendenza di riuscire bene in tutto ciò che fa senza il minimo sforzo e, quando il gioco si fa duro, preferisce mollare il colpo anziché impegnarsi›› sentenzia Claire Bertrand ‹‹Hai mai visto i modelli di Lego che colleziona? Sono la sua passione, a parte le feste e le belle ragazze››.
Scuoto la testa ma non ha bisogno di nessun incoraggiamento per continuare, è come ispirata: ‹‹Sarebbe stato un ingegnere fantastico, considerando pure lo sport che pratica, ma ha preferito seguire le orme del padre come economista perché era la strada più comoda, nonostante le mie insistenze››. Torno di nuovo a guardarmi, con un'espressione dura: ‹‹E mi ha delusa, in tutti i modi in cui una ragazza può esserlo da un tipo che le piace, quindi non intendo averci ancora a che fare››.
Sto per protestare ma poi sarei io a tradire le confidenze di un amico, quindi mi trattengo.
‹‹Devo mettermi alla prova e capire se posso farcela da sola, Alba›› esclama e la determinazione con cui pronuncia il mio nome mi mette i brividi. ‹‹Per questo ho bisogno di un posto che sia solo mio, lontano dalla mia famiglia ingombrante e senza contare sul nome che porto. Puoi aiutarmi?››
Emilia ha ragione, la nota di supplica è troppo evidente per resistere e siamo già passate al tu con una rapidità sconcertante, considerando il tipo.
Le do l'indirizzo di casa: ‹‹Ci vediamo lì per le otto, prima non riesco. Se l'appartamento ti piace, puoi parlarne con il proprietario e portare le tue cose non appena avrai firmato il contratto››.
Il viso austero di Claire Bertrand viene attraversato da un sorriso che scompare rapido come è apparso.
‹‹Grazie›› replica soltanto e ci salutiamo prima di tornare alle rispettive occupazioni. Recupero un'insalata al volo da mangiare alla scrivania, visto che mi sono bruciata tutta la pausa pranzo in chiacchiere, letteralmente, dopodiché torno in redazione e scrivo a Stefano, con cui avevo in programma una seratina Netflix and chill:
A: Stasera salta, devo far vedere casa a Claire Bertrand
S: Peccato, avevo una sorpresa
S: Ma so contento che l'hai chiamata, è la cosa migliore
A: Per chi delle due?
S: Entrambe. L'inglesina c'ha una bella testa
A: Solo quella?
S: E dai, regazzina, non esse' subito gelosa
A: ...
S: Passa al locale quando hai finito. Non è mai troppo tardi, per te
L'accenno al locale mi fa tornare in mente le accuse di zio Ambrogio, che ritengo del tutto infondate, ma il mio animo da giornalista scalpita per saperne comunque di più.
A: Sapresti consigliarmi un bravo commercialista in città? O a Como?
S: Problemi con le tasse?
A: Una cosa del genere
Mentirgli mi fa sentire in difetto ma, vista la difficoltà nel parlarmi della sua famiglia, non me la sento di ripetere l'esperienza, specie se le probabilità di trovare qualcosa di losco sono davvero basse.
Mi gira il contatto dello studio di professionisti che cura la contabilità dei pub dei Kittander, anche questo con più sedi.
Se riuscissi a prendere un appuntamento in giornata sarebbe fantastico ma, ovviamente, non è così semplice.
Così, a fine giornata, mi accontento di avere una nuova coinquilina con cui dividere le spese a partire dalla prossima settimana e di un drink al pub gestito dal mio ragazzo. Che non scherzava sulle sorprese perché, quando gli comunico che Claire Bertrand ha apprezzato l'appartamento, se ne esce con:
‹‹Magari potresti lasciarglielo. E venire a stare da me››.
Quasi soffoco con il gin tonic che mi ha appena preparato: ‹‹Cosa?!››
‹‹Ho comprato l'appartamento di Patrizia, quello vicino al Duomo dove sei già stata›› annuncia ‹‹Ti avevo detto che non avevo un posto mio in città››.
‹‹E io ti avevo proposto di venire a vivere da me, considerando quanto mi facesse comodo un coinquilino ma tu hai rifiutato›› gli faccio notare ‹‹Cosa è cambiato?››
Sono spiazzata, delusa e faccio fatica a nasconderlo.
‹‹Scusa se non voglio abitare in un trilocale da universitari in affitto quando posso avere di meglio›› ribatte Stefano.
‹‹Sesto piano senza ascensore dalle parti del Duomo, quando invece qui saresti potuto venire al lavoro a piedi›› obietto ancora.
‹‹Senti, se non ti va di convivere bastava dirlo›› taglia corto ‹‹Come spendo i miei soldi non sono affari tuoi››.
Il tono della conversazione mi lascia allibita.
‹‹Prima mi chiedi di iniziare una convivenza e poi mi dici di non impicciarmi? Ma ti ascolti mentre parli? E comunque non mi hai risposto››.
Molla lo straccio con cui stava pulendo il bancone, poggia le mani sul piano e mi guarda: ‹‹Sto qui più che in altri posti, la donna che è stata la mia unica famiglia negli ultimi anni se ne è andata portandosi dietro pure il cane e la mia ragazza abita in città, mi sembravano tutti buoni motivi per comprare casa ma a quanto pare mi sbagliavo››.
‹‹Ma se sei sempre in viaggio›› replico ‹‹E fino a qualche giorno fa dicevi di voler tornare a Roma e stabilirti lì››.
Il mio ragazzo scuote la testa, imprecando fra i denti e sparisce nel retro.
‹‹Stefano›› lo richiamo, senza ricevere risposta ‹‹Step!››
Una parte di me è tentata di seguirlo e continuare la discussione, l'altra, quella che ha la meglio, vorrebbe defilarsi e tornare a casa per schiantarsi a letto.
Sono nel pieno della fase REM quando la suoneria del cellulare mi sveglia di colpo.
È una chiamata da parte di mamma:
‹‹Alba, amore›› esordisce ‹‹Lo zio e io siamo in ospedale con Sveva, il bambino sta arrivando››.
Guardo l'orologio: ‹‹Ma è notte fonda››.
‹‹Tesoro, i bebè non guardano a queste cose quando decidono di venire al mondo›› mi fa presente lei ‹‹Torna quando puoi››.
Ecco, in questo momento rimpiango di non essere andata dietro Stefano e aver risolto, magari finendo la serata insieme qui. Ma poi ricordo il motivo per cui abbiamo discusso e mi dico che è meglio non sia andata così.
Non ho bisogno di un uomo su cui contare, da sola me la sono sempre cavata. E lo farò anche questa volta.
Preparo una borsa con poca roba, chiamo un taxi e all'alba sono sul primo regionale per Como. Dormicchio, poi scrollo i social per non addormentarmi di nuovo e mancare la fermata. E la leggo, la notizia.
Claudio Castelli e Alice Andreatta si sposeranno oggi in Costiera Amalfitana. Non so se Sveva lo sappia eppure qualcosa mi dice di sì.
Personalmente, mi sono sempre tenuta alla larga da tutte le notizie che riguardavano la coppia e l'organizzazione delle nozze, felice di concentrarmi su altri VIP come i Sant'Orsola per i miei pezzi. È quantomeno ironico che il figlio nasca il giorno in cui il padre impalmerà una donna che non ne è la madre. L'Universo ha proprio uno strano senso dell'umorismo.
Quando arrivo in ospedale, però, non c'è spazio per pensieri tristi, ché l'atmosfera è già cupa di per sé.
La mia migliore amica, infatti, è diventata mamma di un bel maschietto che, però, essendo nato in anticipo sui tempi, non è nella culletta accanto a lei bensì ricoverato nel reparto prematuri dell'ospedale.
‹‹Dicono che sia una prassi, che Fulvio sta bene ma non posso vederlo adesso›› bofonchia Viv, ancora intontita dall'anestesista del cesareo. ‹‹Spero che sia vero››.
‹‹Ma certo, fidati dei medici›› provo a rassicurarla ‹‹Andrà tutto bene, siete fortissimi tu e il mio figlioccio››.
Sveva mi sorride, poi chiude gli occhi, sfinita, e la lascio riposare.
In corridoio incontro il dottor Pascucci, con un mazzo di fiori.
‹‹Alba, sei già arrivata›› mi apostrofa ‹‹Ho appena riaccompagnato a casa i tuoi››.
‹‹Grazie, Sveva dorme›› esclamo ‹‹Hai notizie del bambino?››
‹‹È nato prematuro ma sta bene, ho un amico a Neonatologia che mi tiene informato›› mi aggiorna ‹‹Se vuoi ti accompagno a vederlo, dietro il vetro è possibile››.
‹‹Mi piacerebbe, sì›› accetto ‹‹Anche se mi dispiace conoscerlo prima di sua madre››.
‹‹La accompagnerò io, quando sarà abbastanza in forze›› dichiara ‹‹Non sarà sola ad affrontare tutto››.
Nel frattempo, siamo arrivati al reparto e, dopo aver preso le giuste precauzioni, siamo ammessi a osservare i neonati da dietro il vetro.
L'amico di Gabriele, un infermiere rubizzo, si avvicina:
‹‹La signora non è la madre del neonato, vero?›› vuole sapere.
‹‹No, io sono un'amica›› mi affretto a precisare.
‹‹E io non sono il padre›› aggiunge Pascucci.
L'infermiere fa un cenno di intesa, poi induca una culletta in mezzo alle altre:
‹‹Il neonato che cercate è quello nella seconda fila a sinistra››.
Stringo gli occhi, avvicinandomi ancora un po' e lo vedo, finalmente.
Fulvio Dalmasso, un chilo e novecento grammi di dolcezza. La testolina è ricoperta da una cuffietta, quindi non so se i suoi capelli siano effettivamente rossicci come quelli di Sveva ma lo spero con tutto il cuore. Non augurerei a nessuno un padre a cui non importa della tua esistenza.
‹‹Ehi, tutto bene?›› mi chiede Gabriele e solo in questo momento mi accorgo di avere le lacrime agli occhi.
‹‹Sì, sì è che sono solo un po' emotiva›› lo rassicuro.
Annuisce: ‹‹Lo capisco, è una grande emozione anche per me››.
Usciamo dal reparto e lo costringo a guardarmi negli occhi: ‹‹Sveva è la mia migliore amica, la sorella che non ho mai avuto, quindi voglio solo il meglio per lei e, adesso, per suo figlio›› esclamo ‹‹Non so nulla del vostro rapporto né di come si sia evoluto in questi ultimi mesi ma se non sei sicuro di poter essere quantomeno una persona su cui contare, Gabriele, sarebbe meglio che li lasciassi in pace››.
‹‹Hai detto giusto, Alba, non sai niente›› mi rimbecca ‹‹Perciò non hai diritto di venire qui a sputare sentenze››.
Si allontana a grandi passi, recuperando il mazzo di fiori per la neomamma prima di girare l'angolo.
Sono indecisa se fare un salto a casa e accertarmi che Sveva abbia tutto quello di cui ha bisogno durante il ricovero in ospedale oppure tornare direttamente a Milano. L'aspro confronto avuto con zio Ambrogio mi brucia ancora parecchio e non ho nulla di nuovo da aggiungere ai registri recuperati a Villa Diamante per smentire le gravi accuse contro il mio ragazzo.
Parli del diavolo e spuntano le corna, perché il rombo del motore di una Harley Davidson annuncia l'arrivo di Stefano Borghi davanti l'ospedale.
‹‹Che ci fai qui?›› lo interrogo mentre si sfila il casco ‹‹Chi ti ha detto dove trovarmi?››
‹‹Miriam Pascucci mi ha avvisato che Sveva ha partorito e sono venuto a farle gli auguri›› comunica ‹‹Ma sono contento che sei qui, se mi aspetti parliamo un attimo e ti do un passaggio per tornare in città››.
‹‹Ho già il biglietto del treno per il ritorno, grazie tante›› ribatto ‹‹E comunque Sveva deve riprendersi dal cesareo, il bambino è prematuro, quindi aspetterei a congratularmi››.
‹‹Okay, ma andrà tutto bene, no?›› D'un tratto sembra un bambino in cerca di rassicurazioni e non capisco più se stia parlando della situazione della mia migliore amica o della nostra.
Non ho comunque il tempo di replicare perché il nome di Isabella Ferraris appare sul display dello smartphone, che squilla imperioso. Non credo che l'assistente di Mariele mi abbia mai chiamato, prima.
Dev'essere successo qualcosa di davvero grave, perciò non posso non rispondere.
‹‹Pavesi, dove sei finita?›› abbaia all'altro capo del telefono ‹‹Ti voglio al Four Seasons di Via del Gesù, entro un'ora››.
‹‹Veramente io...›› balbetto.
‹‹Niente scuse›› sentenzia lei ‹‹O trovi il modo di imbucarti alla conferenza stampa con cui i Kittander annunciano la separazione oppure ti trovi un altro lavoro››.
Riattacca senza darmi modo di aggiungere nulla e resto con lo smartphone in mano, sotto shock per la bomba che mi è appena stata sganciata.
Non ero in vivavoce ma il tono della Ferraris era talmente alto e concitato che non ho dubbi Stefano abbia sentito comunque.
La tensione che emana, il tormento nella sua espressione, il rifiuto di incontrare il mio sguardo, tutto suona come una conferma.
‹‹Tu sapevi›› lo accuso.
‹‹Avevo suggerito a Franz di aspettare›› ammette ‹‹Partiamo subito, se vuoi››.
Vorrei sbroccare male e mandarlo al diavolo ma non è il momento di una scenata da drama queen.
Devo tenermi stretto il lavoro a Feminine e capire cosa sta succedendo.
Perciò accetto il casco che mi offre e, nonostante non l'abbia mai sentito così distante da quando facciamo coppia, sgasiamo via insieme.
Spazio autrice
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