25. Vorrei una domenica pomeriggio per ogni lunedì che non ho saputo iniziare

Vorrei una domenica pomeriggio
Per ogni lunedì che non ho saputo iniziare
Ma siamo una storia che non si può dire
Non abbiamo niente di speciale

Lo Stato Sociale, Niente di speciale

Sono impietrita.

Non so che fare.

La tv continua a ronzare in sottofondo mentre la mia mente elabora un milione di possibilità diverse.

Lancio un'occhiata all'ora sul telefono. Sveva dovrebbe essere arrivata a Bradighera, ha senso che le scriva?

Forse dovrei correre in stazione e prendere il prossimo, giusto per informarla di persona e starle vicino mentre elabora la notizia.

Nella Dalmasso non sarebbe molto felice di vedermi ma posso gestirla.

Lo sapevo di dover fare più attenzione al Grande Chef e invece mi sono fatta incantare dalle rassicurazioni della mia migliore amica.

Afferro lo smartphone e comincio a smanettarci su.

La notizia è già virale sui social, con tanto di spezzoni dell'intervista non ancora andata in onda. La fiamma di Castelli è una broker finanziaria, tale Alice Andreatta, epigone di una dinastia di industriali a cui, di certo, non mancano appoggi e agganci. E che, tra parentesi, è la fotocopia sputata di Viv.

Mi documento ancora un po' e l'occhio mi cade sulla data di registrazione del programma televisivo, ossia quella del giorno della festa a casa di Sant'Orsola junior, prima della quale avrebbe dovuto tenersi la cena di presentazione.

Un sospetto atroce si sta facendo spazio nella mia mente: possibile che Sveva già sapesse e non abbia voluto confidarsi?

È l'impulso di un attimo, andare in camera sua e dare un'occhiata in giro.

Strano che l'abbia fatto solo di sfuggita da quando siamo diventate coinquiline, ma non avevo avuto motivo per frugare tra le cose della mia migliore amica. Né lo avrei adesso, peraltro, se non fosse che non so come comportarmi. Alla fine, sarebbe una questione che non mi riguarda personalmente ma la tentazione è più forte.

La porta non è chiusa a chiave, la camera è parzialmente a soqquadro di un disordine che, tuttavia, mi è familiare.

Ci sono vestiti sul letto, trucchi sulla scrivania, foto sulle mensole. Ce n'è una con i suoi, una con me e una pure con il Grande Chef Fedifrago.

La prendo in mano per osservarla meglio.

Mi verrebbe quasi da spaccare la cornice che la contiene. Non succede intenzionalmente ma capita e, tempo zero, mi tocca raccogliere i cocci di vetro dal pavimento.

Sbuffo, poi mi armo di scopa, paletta, aspirapolvere e tanta pazienza sperando di non violare il regolamento condominiale sull'ora delle pulizie. A riservare un'amara sorpresa, tuttavia, non è un inquilino borbottone bensì la pattumiera in un angolo della stanza. Quando vado a vuotare il sacco, in senso letterale, ci trovo dentro un test di gravidanza. Positivo.

Stavolta non penso. La chiamo e basta.

Risponde al secondo squillo, la linea si sente a tratti.

‹‹Alba›› esclama ‹‹È successo qualcosa?››

‹‹Ho visto...›› esordisco.

‹‹La tv?›› chiede ‹‹È andato in onda in anticipo?›› chiede con voce spenta. Quindi sapeva.

‹‹No, non quello›› chiarisco ‹‹Il test. Nella spazzatura››.

Comincia a piangere, avverto con chiarezza che tira su col naso all'altro capo del telefono.

‹‹Volevo dirtelo›› mormora tra i singhiozzi ‹‹Non so che fare››.

‹‹Non andare a Bradighera›› esclamo, immaginando la reazione di Ornella Dalmasso di fronte alla notizia.

‹‹Ci sono già stata›› mi informa ‹‹Mia madre mi ha cacciata››.

Scoppia in un pianto dirotto, che mi stringe il cuore.

‹‹Torna qui›› le suggerisco ‹‹Ti prometto che troviamo una soluzione››.

‹‹Mi ha urlato in un modo...›› balbeta Sveva ‹‹Sai com'è mamma, ma così... era troppo››.

‹‹Dove sei?›› domando ‹‹Ti vengo a prendere?››

‹‹No, no›› borbotta lei ‹‹Aspetto la coincidenza in stazione per il ritorno. Qui non ho più niente da fare, ormai››.

‹‹Fammi sapere a che ora arrivi›› insisto ‹‹Ti aspetto al binario. Non sei sola, Viv››.

‹‹Grazie, Alby›› sussurra ‹‹A dopo››.

Non appena mi scrive di essere sul treno, mi precipito.

La stazione centrale di Milano è grandissima e rischio di perdermici almeno due volte ma, alla fine, riesco a mantenere la promessa e Sveva mi trova pronta ad accoglierla tra le braccia.

Ci stringiamo per un tempo che non so quantificare mentre singhiozza sulla mia spalla. Insisto perché prenda qualcosa al bar prima di tornare nel nostro appartamento, ché è pallida come un cencio.

Solo quando è al sicuro tra le mura della stanza in cui ho scoperto il suo più grande segreto, qualche ora fa, sembra riacquistare un po' di lucidità. Dopo averla praticamente costretta a mangiare una pasta in bianco, la lascio dormire tranquilla.

Appena sarà abbastanza lucida e riposata, ragioneremo sul da farsi.

Fingo che vada tutto bene con mamma e zio Ambrogio nella nostra videochiamata serale quotidiana, poi mi accoccolo accanto alla mia migliore amica. Non mi va di lasciarla sola, non stanotte.

A un certo punto, devo essermi appisolata, perché, quando riapro gli occhi, il letto è vuoto, l'abat jour accesa e si sente il rumore dello sciacquone provenire dal bagno.

Sto per alzarmi e andare ad accertarmi che sia tutto okay quando Sveva ricompare.

È ancora pallida, ha gli occhi rossi e gonfi per il pianto ma pare stare meglio rispetto a quando siamo tornate dalla stazione.

‹‹Alby›› mormora, sprofondando di nuovo tra le coperte ‹‹Grazie per essere rimasta››.

‹‹Ma ti pare›› minimizzo.

‹‹Scusa se non ti ho detto niente›› bofonchia ‹‹Ma ero convinta che l'altra sera sarebbe venuto qui, avrebbe ufficializzato la nostra relazione e accettato...›› Si indica la pancia.

‹‹Non devi spiegarmi niente, se non vuoi›› taglio corto ‹‹Per ora riposati, poi vedremo il da farsi››.

‹‹Non posso restare qui›› borbotta ‹‹Ieri mi sono licenziata, ho nausee tutto il tempo e non ho idea di come contribuire alla mia parte dell'affitto senza i miei genitori››.

‹‹Lo sapevi già di essere incinta, quando siamo andate alla festa?›› le chiedo.

Annuisce: ‹‹Sono svenuta per quello, credo››.

‹‹Ma hai bevuto, ti ho vista con il vino›› esclama ‹‹L'alcol fa male in gravidanza e tu eri completamente sbronza››.

‹‹No, mi hai vista bere un analcolico›› mi corregge ‹‹E poi mi è mancata l'aria per la calca››.

Mi passo una mano sul viso: ‹‹Da quanto lo sai?››

‹‹Dal giorno precedente›› conferma lei ‹‹Avevo dei sospetti, quindi prima di andare al ristorante sono passata in farmacia a comprare un test. Era positivo ma avevo delle perdite, così ne ho fatto un altro, quello che hai visto tu››.

Fa una pausa prima di proseguire: ‹‹L'ho detto a Claudio e non voleva crederci. Mi ha mandato da un ginecologo amico suo che però ha confermato››.

Questa parte deve essere la più dura da digerire, perché Viv si allunga a prendere un bicchiere d'acqua dal comodino e ne sorseggia un po' prima di riprendere:

‹‹Allora Claudio è andato fuori di testa, dicendo che era colpa mia, che avevo fatto tutto per incastrarlo, che già mi aveva dovuto assumere per non dare scandalo›› racconta ‹‹Gli ho proposto la cena e lui si è messo a ridere, dicendo che non gliene fregava un cazzo di me e dei miei amici. Piuttosto, mi avrebbe dato i soldi per una clinica in Svizzera che si sarebbe occupata del problema e io gli avrei fatto il favore di non tornare, dopo››.

‹‹Che bastardo›› esclamo ‹‹E sono pure gentile››.

‹‹E quella sera stessa è andato a registrare l'intervista con Lei dalla Riva››.

‹‹La conosci?›› indago ‹‹Alice Andreatta››.

‹‹L'ho vista spesso al ristorante, è una donna di classe›› rivela la mia migliore amica ‹‹Credevo fosse una cliente abituale, non la sua ragazza››.

Su questa puntualizzazione, la voce le si spezza e ricomincia a piangere.

‹‹Ehi, meglio perderlo che trovarlo uno così›› provo a rincuorarla.

‹‹Non con un bambino in viaggio›› obietta lei ‹‹Come farò a crescerlo da sola, Alby?››

Sto per fare una domanda difficile ma qualcuno deve, a questo punto: ‹‹Sei proprio sicura di tenerlo, Viv?››

Annuisce: ‹‹Non voglio darla vinta né a lui né a mia madre, che pensa sia un disonore››.

‹‹È tutto molto bello e avrai il mio sostegno qualunque cosa tu decida, ma per crescere un bambino serve molto più che una questione di principio›› le faccio notare. ‹‹Nessuno ti giudicherebbe se scegliessi in maniera diversa, ecco››.

‹‹Ma tu da che parte stai?›› domanda Sveva.

‹‹Dalla tua, e da quella di questo bambino, sempre›› la rassicuro.

‹‹Allora aiutami a farlo venire al mondo›› mi supplica ‹‹Sei l'unica supporter della squadra››.

Mi stringe una mano e io ricambio la stretta, dopodiché si addormenta di nuovo.

Io invece mi tiro su e vado a farmi una camomilla, ogni traccia di sonno ormai scomparsa.

Domattina potrei chiamare mamma e zio Ambrogio, chiedendo loro di ospitare Sveva per un po'.

Oppure...

A: Ehi

A: Dicevi sul serio sulla Rinaldi che avrebbe potuto aiutare Sveva?

S: Pavesi

S: Non ce la facevi ad aspettare altre dodici ore prima di sentirmi? ;)

A: Scusa, non credevo fossi sveglio a quest'ora

A: Nei miei piani avresti dovuto visualizzare domani mattina

S: Tranquilla

S: Comunque sì, ero serio

A: In che modo?

S: Cosa?

A: Potrebbe essere utile la Rinaldi

S: Che succede?

A: Una situazione complicata

A: Comunque non preoccuparti

A: Ne parliamo domani, se puoi

S: Se è urgente, vieni al locale

A: Il Blondie?

S:

S: No aspetta

S: Passo io

A: Okay, fra quanto?

S: Quando sei pronta, scrivimi

A: Dammi dieci minuti

Ho perso il conto del numero di cambi della giornata e questo è ancora più traumatico, perché mi tocca passare da un pigiama caldo a maglia e jeans freddi, coperti da una giacchetta recuperata al volo dall'appendiabiti dell'ingresso.

A: Sono pronta

S: Anche io

Sto per inviare un punto interrogativo ma poi, scendendo le scale, lo vedo.

Stefano Borghi è già qui, mi aspetta davanti al portone del palazzo nonostante siano le quattro del mattino.

‹‹Ciao›› lo saluto ‹‹Grazie per esserti precipitato››.

‹‹Nessun problema›› replica lui ‹‹Ero di turno al locale e non volevo che uscissi da sola a quest'ora››.

‹‹A volte dimentico che lavoro fai›› esclamo ‹‹Che sei più un animale notturno››.

‹‹È un complimento?›› vuole sapere.

Faccio spallucce: ‹‹Una semplice constatazione››.

Segue un attimo di silenzio, poi aggiungo: ‹‹Ho parlato troppo difficile?››

Fa cenno di no con la testa ma capisco che è in imbarazzo, quindi tento di rimediare ma lui mi precede: ‹‹Dimmi qual è il problema››.

‹‹Magari passeggiamo un po'›› propongo ‹‹Che a stare fermi fa freddo››.

Accetta, perciò ci incamminiamo e gli riassumo la situazione.

‹‹Patrizia ha dei contatti di alto livello, anche e soprattutto nella ristorazione›› riferisce ‹‹Ma quando me ne hai parlato, la situazione della tua amica era diversa››.

‹‹Ossia non era incinta›› traduco ‹‹Il che potrebbe essere un grosso, ulteriore problema, perché questo Paese non è a misura di donna, figurarsi di madre con figlio a carico››.

Stefano fa per replicare ma, stavolta, sono io ad anticiparlo: ‹‹Sono cresciuta senza un padre, con mamma che faceva lavori saltuari in nero, quindi so benissimo com'è››.

‹‹Forse una soluzione per quando sarà nato il bambino la troviamo›› ipotizza lui ‹‹Ma per il periodo della gravidanza mi sembra difficile››.

‹‹Se Ornella Dalmasso non cambia idea, e la vedo dura, chiederò a mamma e zio Ambrogio di ospitare Sveva›› dichiaro ‹‹E mi cercherò un doppio lavoro, anche se dovessi entrare a Feminine››.

‹‹C'è davvero la possibilità che non entri?›› si informa.

‹‹In ogni caso, sarebbe solo un tirocinio›› affermo ‹‹Non è detto che mi facciano un contratto vero e proprio dopo, anzi››.

‹‹E che faresti, in caso?›› domanda.

‹‹Non lo so›› ammetto ‹‹Non sono ancora arrivata a quella parte del piano››.

Noi però, nel frattempo, siamo giunti sulla Darsena che a vederla così, di notte, fa un certo effetto.

‹‹Tu?›› gli rigiro il quesito ‹‹Cosa faresti al posto mio?››

‹‹Non importa›› taglia corto ‹‹Tu sei più intelligente di me, più studiata. Sai meglio cosa fare››.

‹‹No, non è vero, altrimenti non mi sarei rivolta a te›› gli faccio presente ‹‹E poi il quoziente intellettivo non ha niente a che fare con i titoli di studio. Sai quanta gente laureata conosco, con master, specializzazioni e chi più ne ha più ne metta, che non sa fare due più due?››

Non mi aspettavo questa vulnerabilità su un argomento del genere e penso di non essere riuscita a convincerlo fino in fondo, ma poi noto le labbra curvate in su e l'idea di essere stata io a provocare una simile reazione mi smuove qualcosa dentro.

‹‹Sì, ma fanno carriera lo stesso›› osserva ‹‹Io ho lasciato la scuola a sedici anni, ho sgobbato sodo dietro un bancone e se mio zio prima e Franz poi non credevano in me, chissà dove ero adesso››.

‹‹Ma ci hanno creduto, quindi qualcosa di buono devi pure averlo›› commento ‹‹Non si diventa per caso general manager di una catena di pub con birrifici a chilometro zero››.

‹‹Quindi sei sempre così carina quando ti interessa qualcuno?›› domanda ‹‹Non ci sono abituato››.

‹‹Ecco, vedi di non farlo›› lo ammonisco ‹‹Perché abbiamo ancora una questione in sospeso››.

‹‹Tipo?›› si informa.

Alzo gli occhi al cielo: ‹‹Se continui in questo modo, sarò io a pensare di non piacerti abbastanza››.

Ride, il volto trasfigurato rispetto alla solita espressione corrucciata, poi mi porta una mano dietro la nuca e, finalmente, le nostre labbra si incontrano.

Restiamo così, a pomiciare come due adolescenti, con la Darsena sullo sfondo finché non sorge il sole.

E penso che vorrei un'alba così per tutte le giornate storte che non ho saputo iniziare.

Perché nonostante tutto la vista da qui, comprensiva di compagnia, non è affatto male.

Spazio autrice

Plot twist!
Ve lo aspettavate? ;)

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