16. Triste pensare che noi, noi due non saremo niente

Tanto lo so che lo sai che non so

Che cosa si scorda la gente

Triste pensare che noi

Noi due non saremo niente

Quanto silenzio sui tetti fra mille discorsi

e la tua Coca Light

Non ti ho detto mai quello che mi fai

Calcutta, Tutti

L'indomani, all'ora dell'appuntamento, sono un fascio di nervi.

Per fortuna Sveva è uscita prestissimo diretta all'accademia, così non ho dovuto darle spiegazioni.

Stefano Borghi, invece, sembra essere fresco come una rosa.

Wrangler che lo fasciano come un cowboy del Mid West, Vans e camicia blu, passerebbe per un qualche giovane imprenditore rampante di belle speranze non fosse per il chiodo di pelle e i Rayban tra la selvaggia chioma di ricci castani, molto più casual.

‹‹Mi aspettavo di vederti spuntare su un trabiccolo d'epoca›› lo apostrofo ‹‹La metro è così sporca e kitsch››.

‹‹Magari te faccio fare un giro sulla mia Harley, quando torni a Como››.

Alzo gli occhi al cielo.

Ma certo che ha una Harley, è la quintessenza dello stereotipo del biker uscito direttamente da Sons of Anarchy.  Ed è uno dei motivi per cui non andremo mai d'accordo. Io detesto i motociclisti.

‹‹Come se avessi accettato›› taglio corto ‹‹Andiamo?››

Borghi annuisce e, in modo molto cavalleresco, mi fa segno di precederlo.

Le vetrine dell'Atelier Monti sono un sogno a occhi aperti ma gli interni ancora di più.

Una campanella mi fa sussultare non appena mettiamo piede in negozio, una boutique vintage ricreata alla perfezione con una vertiginosa scala a chiocciola al centro dell'edificio.

Una donna che indossa una divisa dai toni pastello ci viene incontro.

‹‹Domiziana Ceretti, responsabile commerciale›› si presenta ‹‹Come posso aiutarvi?››

‹‹Siamo Stefano Borghi e Alba Pavesi›› ci introduce il mio partner in crime ‹‹Abbiamo appuntamento con la signora Rubenstein››.

Sarà il tono basso e seducente con cui lo pronuncia oppure il savoir faire, ma la responsabile commerciale dell'Atelier Monti rivolge al Tamarro - che sa comportarsi non da tale, gliene va dato atto - un sorriso smagliante: ‹‹La avverto subito››.

Alzo gli occhi al cielo, sbuffando con fastidio mentre lui, per tutta risposta, se la ride.

Dopo qualche minuto, Ceretti ricompare e ci fa segno di seguirla verso quella che, a primo impatto, sembra una sala fitting, con le pareti rosa confetto, il pavimento ricoperto di parquet e un grande specchio intarsiato davanti al quale sta un piccolo palchetto rialzato simile a un piedistallo. In fondo, invece, una serie di camerini con le porte di legno chiaro.

‹‹La signora Rubenstein ci raggiungerà tra un attimo›› annuncia la dipendente.

Ed è di parola, perché proprio un attimo dopo la stilista fa il suo ingresso.

Blusa bianca di chiffon dentro una gonna a tubino di pelle coordinata da tacchi vertiginosi dello stesso colore e materiale, la donna che sta avanzando verso di me assomiglia a una bambola di porcellana, bionda, boccolosa e dai grandi occhi chiari oltre a essere praticamente una fotocopia della madre, Serena Riva. La sua espressione, però, è la stessa del padre, Pietro Valderamo Sant'Orsola, di cui ho visto un ritratto a Villa Diamante.

‹‹Mrs Rubenstein, grazie per averci ricevuti›› esordisce Borghi.

‹‹Veramente sarei la signora Malaguti, adesso›› precisa lei, ostentando con un certo orgoglio l'anulare sinistro, su cui splende un solitario di fidanzamento sovrastato da una vera nuziale in oro bianco. ‹‹Ma chiamatemi solo Stella e tagliamo la testa al toro››.

"Solo Stella" si rivolge a me: ‹‹Tu devi essere la nipote di Moratti››.

‹‹Colpevole›› ironizzo e lei scoppia a ridere: ‹‹Io adoro tuo zio, sono certa che diventeremo grandi amiche››.

‹‹Bene, adesso che vi siete presentate non c'è più bisogno di me›› si inserisce Borghi ‹‹Ci si vede››.

‹‹Aspetta›› gli intimo ‹‹Non abbiamo neanche cominciato a vedere gli abiti››.

‹‹Mi hai chiesto di accompagnarti, non di restare›› puntualizza il Tamarro ‹‹E ti lascio con la massima esperta in materia››.

Vorrei obiettare ancora ma sarebbe scortese nei confronti di Stella, che è ancora nella stanza sebbene stia fingendo di non origliare.

‹‹Grazie›› mormoro a denti stretti ‹‹A stasera››.

‹‹Passo a prenderti alle otto›› mi informa ‹‹Non farmi aspettare››.

‹‹Te lo meriteresti›› replico, e poi lo ignoro ostinatamente finché non ho la certezza che se ne sia andato davvero.

‹‹Allora, cara›› esordisce la stilista ‹‹Dimmi dove vai e ti dirò cosa dovresti indossare››.

‹‹A una cena da Chez Castelli, in Galleria›› dichiaro ‹‹Pensavo a qualcosa di scuro, dal taglio classico. Magari un tubino nero con scollo a barca? Niente di eccessivo››.

‹‹Ristorante stellato›› nota Stella ‹‹È per lavoro oppure una cena galante?››

Ci penso un attimo e il piano che abbiamo messo su col Tamarro mi appare ancora più insensato di quanto non sembrasse mentre ne parlavamo, io con due gin tonic in corpo.

‹‹È complicato›› confesso ‹‹Ci vado con Borghi ma...››

‹‹Non sei sicura di quello che provi per lui›› conclude lei, fraintendendo ‹‹O magari non sai a che punto siete. Stai parlando con la regina dei drammi sentimentali, quindi hai tutta la mia comprensione››.

‹‹Beh, in realtà...›› provo a correggere il tiro, ma non mi lascia finire:

‹‹È lui che non si sbilancia? Allora dovremo osare››.

Si dirige verso uno dei camerini, che non lo è, per premere il tasto nascosto di un interfono interno: ‹‹Izzy, porta subito il Julia rosso››.

‹‹Rosso?›› ripeto, non proprio convinta.

‹‹Rosso›› conferma Stella ‹‹È il colore dell'amore, della sensualità, della passione. E a me ha portato benissimo, perché indossavo un abito carminio quando il mio attuale marito si è deciso a baciarmi, dopo quindici anni che ci rincorrevamo senza neppure ammettere quanto ci amassimo››.

Sul volto le si dipinge un'aria sognante che non mi fa dubitare nemmeno per un istante della veridicità delle sue parole.

Chissà se questo dettaglio si troverà nel prossimo libro di Elizabeth Jane, penso, invidiandola un po'.

Per fortuna la fida Ceretti giunge con l'abito indicato, mettendo fine alle mie elucubrazioni. E ad ogni altro pensiero razionale, perché quest'abito è un sogno.

Scollo bardot, spalle scoperte e un punto vita ben marcato, questo è il vestito della vita. Mancano giusto un paio di guanti di seta bianchi e una collana di rubini e diamanti per trasformarmi in una sosia di Vivian Ward.

‹‹È meraviglioso, Stella, davvero›› esclamo ‹‹Ma è troppo per me, in tutti i sensi››.

‹‹In conformità con il nostro codice etico e ambientale, l'abito Julia è disponibile al noleggio per una sera›› mi informa Domiziana Ceretti.

Stella la fulmina con lo sguardo e sta per obiettare però stavolta sono io a prendere la parola per prima: ‹‹Se fosse possibile lo preferirei, sì››.

‹‹Non farti nessun problema, per la nipote di Moratti questo e altro›› mi assicura la stilista ‹‹Possiamo spedirlo direttamente a Como oppure...››

‹‹No, davvero, grazie›› tengo il punto ‹‹Mi sono trasferita in città da poco per seguire un master e non voglio dare problemi allo zio più di quanto non ne abbia già››.

‹‹Va bene, come vuoi›› cede ‹‹Però questo abito è perfetto per te, nessuna, nemmeno le nostre brand ambassadors, lo indossa come fai tu. Ascolta il mio consiglio e non te ne pentirai. Almeno una volta nella vita tutte ci meritiamo un abito che pare ci sia stato cucito addosso. Indossalo, anche solo per questa sera››.

Mi rimiro nel grande specchio intarsiato in fondo alla sala, dritta sul piedistallo, e la mia vanità lusingata finisce per acconsentire al posto mio.

Con quest'abito addosso mi sento potente, viva, capace di tutto.

Una Cenerentola che andrà al ballo, principessa per una sera. La sensazione è amplificata dai sapienti trattamenti Kitty Fashion MUA nel salone di bellezza adiacente all'Atelier Monti, di cui usufruisco in quanto cliente dello stesso secondo Stella, che si è autoproclamata mia fata madrina per oggi.

Quando finisco, si è fatto talmente tardi che decido di dirigermi direttamente in Galleria, avvisando Borghi di conseguenza.

Per fortuna Sveva è presissima dai preparativi della cerimonia di diploma e forse non rientrerà nemmeno a casa.

Faccio un respiro profondo e mi dico che è per lei che lo faccio.

Per noi.

Perché possiamo rimanere qui, a Milano, a vivere la vita che sognavamo da ragazzine di provincia.

Chez Castelli è il ristorante stellato pretenzioso che immaginavo. Sembra essere uscito da una rivista di arredamento ma non mi faccio impressionare; l'obiettivo, a fine serata, sono le cucine.

‹‹Ammazza, Pavesi, te sei proprio impegnata››.

Volto la testa in direzione della voce e Stefano Borghi mi abbaglia con un suo solito sorriso carico di sottintesi.

‹‹Anche tu›› ammetto, notando il suo, di makeover. Del Tamarro, infatti, sembrano essersi perse le tracce: l'uomo che mi sta di fronte, con indosso un abito sartoriale grigio fumo coordinato da una cravatta di una gradazione più chiara, ha domato la massa di ricci indisciplinati tagliandoli quel che bastava da renderli più ordinati così come i baffi, spariti del tutto.

Questa versione azzimata e sbarbata, che fa risaltare in primo piano i lineamenti cesellati, mi colpisce non poco e restiamo imbambolati a fissarci, di nuovo, per un attimo di troppo.

Una coppia che chiede permesso di passare ci riporta con i piedi per terra e Borghi mi apre la porta del locale, facendo segno di precederlo.

‹‹Hai imparato a memoria il Galateo per l'occasione?›› ironizzo ‹‹Zio Ambrogio sarebbe fiero di te››.

‹‹Diciamo che frequentando gente come i Landmann o i Sant'Orsola qualche cosa l'ho imparata sul campo›› rivela lui, mentre un assistente di sala ci viene incontro chiedendoci i nomi, per poi scortarci a un tavolo vicino a una vetrata vista Galleria.

‹‹Tipo che è bene scostare la sedia alla donna che porti a cena››. A dimostrazione, esegue, aspettando che mi sia seduta per fare il giro del tavolo e prendere posto a sua volta, davanti a me.

‹‹Un po' antiquato›› osservo ‹‹Ma sono colpita››.

‹‹Perfetto›› commenta lui, tutto tronfio ‹‹Perché ci contavo proprio, di fare colpo su di te››.

‹‹Questa non è una cena romantica›› puntualizzo ‹‹Siamo qui solo per...››

IlTamarro ripulito per una sera tenta di zittirmi con un gesto della mano: ‹‹Sì, ho capito, ma non ci facciamo riconoscere subito››.

Sono oltraggiata: ‹‹Detto da te, suona paradossale››.

Faccio per afferrare una bottiglia, magari di vino, tuttavia il cameriere non è ancora comparso a prendere le ordinazioni.

‹‹Non ti agitare troppo, regazzina›› mormora ‹‹Spicchi già abbastanza tra queste mummie imbalsamate››.

Mi guardo intorno e, in effetti, ha ragione. Sono l'unica di rosso vestita in mezzo a over sessanta a lutto.

‹‹Così non mi aiuti›› sibilo.

‹‹E io che pensavo di meritare una medaglia solo perché ti ho accompagnata qua stasera›› ironizza lui ‹‹Comunque sei bellissima››.

Alzo gli occhi al cielo ostentando fastidio, in realtà i suoi complimenti mi mettono in imbarazzo perché inattesi.

Non so davvero cosa aspettarmi da questa serata improbabile con un uomo che lo è altrettanto, almeno per me.

Per fortuna il personale di sala si palesa e salva la situazione.

O almeno credo, finché non leggo il menù.

Metà delle opzioni è in francese e il resto ha ingredienti improponibili, per non parlare dei costi. Menomale che c'è il fondo studi di zio Ambrogio, altrimenti mi sarei dovuta presentare con un rene in meno, stasera.

Guardo di sottecchi Borghi e lo vedo sillabare escargots tra sé, un po' in difficoltà.

‹‹Prendiamo un risotto con l'ossobuco›› decido io per entrambi. Ma Borghi non si fa mettere in un angolo: ‹‹E una bottiglia di Barolo Monfortino Riserva del 2013››.

È un vino da migliaia di euro, porca miseria!

Sveva dovrebbe farmi una statua d'oro, altroché.

‹‹Non preoccuparti, regazzina›› esclama il mio commensale, quando il cameriere è fuori portata d'orecchio. ‹‹Va in nota spese al mio capo››.

Boccheggio, trovando assurda la situazione: ‹‹In che senso? Perché Franzlander dovrebbe pagarci la cena?››

Fa spallucce: ‹‹Hai detto tu che non è un appuntamento galante››.

‹‹Sì, ma da qui a trasformarlo in una cena di lavoro ce ne vuole››.

‹‹Nel mio caso, non tanto›› mi smentisce ‹‹Tu vuoi raccogliere abbastanza informazioni per tutelare la tua amica e a me interessa capire se Castelli può diventare un concorrente per il mio principale oppure no››.

‹‹Ma non ti occupavi di gestire una catena di pub con birrifici a chilometro zero?›› lo interrogo ‹‹Mi sembra chiaro che non c'è partita con questo tipo di clientela››.

‹‹Franz Landmann è sempre alla ricerca di investimenti interessanti›› dichiara Borghi ‹‹Dopo le partecipazioni nella multinazionale del cugino che si occupa di tè, caffè e bevande energetiche e la gestione dei birrifici Landmann potrebbe voler espandersi anche ad altri tipi di prodotto››.

Colgo lo spunto: ‹‹Come il vino, ad esempio?››

‹‹Sei sveglia, regazzina›› si complimenta lui.

‹‹Non chiamarmi così›› lo ammonisco ‹‹Scommetto che non sei molto più vecchio di me››.

‹‹Dodici anni non sono troppi, secondo te?››

‹‹Dipende›› temporeggio.

‹‹Da cosa?›› vuole sapere lui.

‹‹Da tanti fattori›› resto sul vago ‹‹Ma in questo caso non ha proprio importanza››.

‹‹Perché?›› domanda, e la risposta pare essere di particolare importanza.

‹‹Perché noi non saremo mai niente più di quello che siamo adesso›› sentenzio.

‹‹E cosa siamo adesso, secondo te?›› Il suo sguardo è così intenso che non riesco a sostenerlo.

‹‹Due conoscenti con interessi convergenti che si aiutano a vicenda?›› ipotizzo.

‹‹Parli difficile, regazzina›› ripete lui, come ha già fatto durante la festa dei Sant'Orsola a Como ‹‹Come questo menu. Ti troverai bene in questa città››.

‹‹Non mi sembra che tu abbia avuto difficoltà di adattamento›› osservo, e proprio ora arrivano le nostre ordinazioni da milanesi DOC.

‹‹Anche se bazzico certi posti per lavoro, non sarò mai uno nato con la camicia›› afferma Borghi ‹‹Ci sono cose che a gente come i Landmann o i Sant'Orsola, nati e cresciuti coi soldi, vengono naturali come respirare. Io provo a imitarli però non ci riesco sempre››.

‹‹Ed è un problema?›› indago.

‹‹No, di solito non mi interessa mostrarmi meglio di chi sono›› afferma ‹‹Ma ci sono delle volte in cui vorrei››.

‹‹Benvenuto nel mondo reale›› ironizzo ‹‹Tutti lo hanno voluto, almeno una volta nella vita. È per questo che andiamo a cena in questo genere di locali, noleggiamo abiti da favola o facciamo sacrifici enormi in nome di sogni che potrebbero non avverarsi mai››.

‹‹Noleggiato?›› Di tutto il mio bel discorso, pare che questa sia l'unica parte rilevante per Borghi.

‹‹Sì›› confermo, sorseggiando un po' di vino, nella speranza che mi renda meno nervosa ‹‹La cena sarà pure a carico tuo ma sarebbe stato uno spreco acquistare un abito del genere non avendo più occasione di metterlo››.

‹‹Sei a Milano, regazzina›› esclama lui, irritato ‹‹E vuoi lavorare nel giornalismo patinato. Di sicuro avresti altre occasioni per usarlo››.

‹‹Perché ti sta tanto a cuore questo vestito?›› lo interrogo.

‹‹Perché mi sono attivato per fartelo avere›› ammette ‹‹La contessina Sant'Orsola non è così amichevole con le sconosciute, di solito››.

‹‹Beh, con me lo è stata per via di zio Ambrogio›› taglio corto ‹‹E comunque non voglio usare le sue conoscenze né le tue per ottenere quello che voglio, grazie tante››.

‹‹Non sembrava così la sera che ci siamo conosciuti›› obietta Borghi ‹‹Quando mi hai praticamente implorato per due domande a Franz››.

‹‹Era il mio idolo, piombato dal nulla davanti a me nel posto in cui lavoravo›› gli faccio presente ‹‹Era un'occasione irripetibile e tu, in ogni caso, me l'hai portata via››.

La piega presa dalla conversazione mi irrita da morire, perciò mi alzo in piedi: ‹‹Ho bisogno del bagno, scusa››.

In verità voglio solo allontanarmi da lui e rifiatare ma forse potrebbe anche essere l'ora di fare quello per cui sono qui, ossia tentare di parlare a chi dirige la baracca.

Per fortuna la toilette è vicina alle cucine, quindi posso sempre fingermi la svampita che ha scambiato le due porte.

Ma non ce n'è bisogno, perché nel corridoio adiacente la mia destinazione, intravedo una sagoma familiare gesticolare verso il celebre chef stellato.

‹‹Non ti permetterò di rovinarmi la vita e la carriera solo perché non riesci a controllare i tuoi presunti sentimenti››. Le parole di Castelli rivolte a Sveva sono uno schiaffo in pieno viso, che mi pietrificano sul posto. Mi nascondo dietro una pianta d'arredo per ascoltare meglio, fuori pista.

‹‹Quello che c'è stato tra noi è stato un errore, siamo d'accordo›› ammette la mia migliore amica, a occhi bassi ‹‹Ma è ingiusto farmi terra bruciata attorno per questo. Sai che sono una valida sous chef››.

‹‹Non capisci?›› sbotta Castelli ‹‹Lo sto facendo per tutelarti››.

Il tipo cambia approccio tuttavia mantiene la stessa faccia da culo.

‹‹Se si sapesse in giro, passeresti per la raccomandata di turno e nessuno ti offrirebbe un posto nella propria brigata››.

‹‹Certo, perché adesso stanno facendo la fila›› ironizza amara Viv ‹‹Ma forse è quello che vuoi, anche se non hai le palle per chiedermi di lavorare con te, per via del tuo stupido codice etico autoimposto››.

‹‹Credimi, Sveva, la cosa migliore per tutti è che tu ti diplomi e torni al paesello, a gestire la locanda con i tuoi genitori››.

‹‹No, non è vero›› lo smentisce lei ‹‹Che io sparisca è soltanto la soluzione più comoda per te. Però non ti lascerò più decidere della mia vita, Claudio Castelli››.

Sfatta, sconvolta, con ancora addosso la tuta da casa e le scarpe da ginnastica, Sveva si allontana a grandi passi, sotto lo sguardo attonito del suo mentore, che sbuffa risentito prima di tornare nelle cucine.

Personalmente sono troppo scioccata da quel che ho visto e udito per fare qualcosa che non sia aggrapparmi alla pianta come se ne andasse della mia vita.

‹‹Si sente bene, signora?›› mi chiede un cameriere di passaggio.

‹‹Sì, tutto okay›› trovo la forza di replicare. ‹‹Per favore può accompagnarmi al guardaroba e poi riferire all'uomo al tavolo laggiù che sono dovuta andare via?››

L'impiegato annuisce ed esegue quanto richiesto ma ho già trovato un taxi diretto a casa quando avverto lo smartphone vibrare nella tasca del cappotto.

Ci sono diverse chiamate perse e messaggi da parte del mio più uno per la serata:

S: Che cazzo è successo, regazzina?

S: Visto che non rispondi al telefono, puoi almeno scrivermi che stai bene?

A: Sto bene

A: Ma questa cena è stata un errore. Questa serata lo è stato. Ho bisogno di chiarirmi le idee

A: Scusa

A: Ciao

Digito il saluto e mi sento in colpa.

Mi sono comportata da stronza ma anche lui lo ha fatto quando ci siamo incontrati per la prima volta, quindi immagino siamo pari. O almeno lo spero, perché non necessito di altre sfighe karmiche, soprattutto in questo momento.

Quella che mi serve adesso è la forza d'animo necessaria a guardare negli occhi la mia migliore amica e parlarci sul serio, a cuore aperto.

Il suo sguardo da cucciolo ferito non appena apro la porta di casa, ritrovandola scalza in mezzo alla stanza, a mangiare gelato direttamente dalla vaschetta, non rende le cose più semplici. Eppure prendo un bel respiro ed esordisco: ‹‹Sveva Dalmasso, ora tu mi spieghi che diavolo sta succedendo››.

Spazio autrice

E qui finisce il capitolo fiume.

Vi aspettavate questa ambiguità da parte di Sveva? Secondo voi cosa nasconde?

E di Alba e del Tamarro, che mi dite?

Se vi va, aspetto le vostre ipotesi nei commenti.

A presto con i prossimi capitoli, grazie per per essere arrivate fin qui ;)

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