6.
Quando Parris salì sul pulpito, la congrega tacque. Le mani delle donne si congiunsero sui grembi, gli occhi e gli orecchi degli uomini si spalancarono. Smisi di prestare attenzione ai miei genitori ed imitai la congrega, prestando la massima attenzione.
«E il castigo di Dio giungerà su ali di morte», tuonò Parris, «per punire coloro che hanno peccato.»
La congrega pendeva dalle sue labbra. E quale fuoco bruciava negli occhi del reverendo. Sembrava pervaso da un sacro fuoco.
Non so dire quanto durò quel suo sermone, ma ricordo lucidamente cosa accadde in seguito.
Emily Watson, figlia di Amos e Rose Watson, sollevò lo sguardo. Si alzò, giunse ai piedi del pulpito e si chinò a quattro zampe, come un cane. Iniziò a ringhiare: un suono basso e roco.
Parris divenne cereo e si azzittì.
Emily Watson ringhiava, ventre a terra, fissando Parris dal basso.
«William, che succede?» mormorò Anne Hawthorne, spaventata.
La schiena incurvata di Elisabeth fremeva. I piccoli denti erano esposti, il labbro superiore tremava. Con fare studiato, la giovinetta raschiò le assi del pavimento con le unghie. Il basso ringhio crebbe d'intensità fino a trasformarsi in un acuto latrare.
«Elisabeth, smettila!» guaì Rose Watson.
Guardò per un istante Hawthorne, che ricambiò inviandole un'occhiata che avrebbe potuto uccidere un essere umano, poi lanciò un ululato da mettere i brividi.
«Tutto ciò è inammissibile!» tuonò Keene, alzandosi in piedi e brandendo il suo bastone da passeggio.
Solo a quel punto Hawthorne si levò in tutta la sua mole. Non appena Emily lo vide muoversi, riprese a ringhiare. Un rivolo di bava le gocciolò dall'angolo della bocca quando sollevò il labbro ed espose i denti. Hawthorne restò impassibile. Fissò negli occhi Emily e, come se quell'occhiata torbida l'avesse smossa, la giovinetta si trasse dalla sua posizione a quattro zampe e tornò a stare eretta. Si sollevò d'un colpo, le labbra piatte, il viso indecifrabile e parlò in una lingua incomprensibile. Ed ogni sillaba aveva un sapore arcano.
Sembrava sapere esattamente ciò che diceva, perché l'espressione del viso mutava in considerazione di quegli strani suoni gutturali che le uscivano di bocca.
«Guardate bene!» tuonò Hawthorne indicando la giovinetta. «Ecco cosa accade a chi giace col demonio! Questa giovane donna ha ceduto alle tentazioni del Serpente, così come Eva prima di lei! Magistrato! Arrestatala!»
«No! Emily!» urlò Rose Watson.
Si lanciò su sua figlia con l'intenzione di proteggerla dagli uomini di Keene, che dopo aver ricevuto un segnale dal magistrato si stavano avvicinando, ma Emily la aggredì. Scattò in avanti e, mentre sua madre provava a cingerla tra le braccia, le morse una mano. Rose si tirò indietro, sconvolta.
Gli uomini di Keene accerchiarono Emily sotto gli occhi avidi della congrega. I quattro accoliti del magistrato la accerchiarono e, quando Emily comprese di non avere vie di fuga, attaccò. Spiccò un balzo e finì tra le braccia di uno dei quattro sgherri. L'uomo la immobilizzò ma, prima che riuscisse a rimetterla a terra, Emily gli morse un orecchio. L'uomo gridò mentre gli altri tre gli andavano in soccorso. Dopo diversi tentativi riuscirono a staccare Emily dal loro compagno, ma non poterono impedire che la piccola si portasse dietro un macabro trofeo: un pezzo d'orecchio.
«Buon Dio!» gemette Anne Hawthorne.
La congrega risucchiò aria. Emily masticò il pezzo di carne tra i gemiti di orrore dei presenti e le urla del povero disgraziato al quale l'aveva reciso.
«Portatela via!» tuonò Hawthorne. «Muovetevi, branco di incapaci!»
Due degli accoliti di Keene trascinarono Emily Watson fuori dalla Meeting House, mentre un altro aiutava il compagno ferito. La giovane uscì urlando oscenità che non oso ripetere, e dibattendosi come una disperata. Terminato lo spettacolo, Hawthorne salì sul pulpito e prese la parola. Parris si fece da parte con fare ossequioso.
«Il Serpente cela la sua vera natura sotto insospettabili spoglie», esordì Hawthorne. «La giovane Watson ha ceduto alle lusinghe dell'Oscuro Incantatore, ma il Padre Celeste, che veglia sulla nostra comunità come il buon pastore veglia sul proprio gregge, l'ha costretto a rivelarsi.»
La congrega accolse le parole di Hawthorne con un chiacchiericcio sommesso.
«Quella alla quale abbiamo assistito è una dichiarazione di guerra», disse Hawthorne. «Il Serpente vuole le nostre anime, brama nuovi accoliti per le sue schiere già nutrite di servi infernali. Ma noi non lasceremo che abbia la meglio.»
Calò il pugno sul legno del pulpito.
«Non ci faremo corrompere!»
Molti visi guardavano Hawthorne con timoroso rispetto. Nessuno osava parlare.
«Ora tornate a casa. Pregate e digiunate. Saziate anima e corpo con la parola di Dio.»
In queste ultime parole risiedeva il potere di Hawthorne. Sapeva parlare come un ministro di Dio. Con quella lingua forcuta avrebbe potuto convincere il diavolo a convertirsi.
Pronunciate quelle ultime parole, Hawthorne congedò la congrega. Si attardò un attimo a parlare con Keene, poi ci fece segno di andare. Ripresi a spingere la sedia di Anne Hawthorne e tornammo alla Casa Nera.
Charity aiutò la padrona di casa a salire le scale mentre Hawthorne si defilava e John la precedeva per tornare nella sua stanza. Aiutai Charity a riportare di sopra quella diavoleria su ruote e fui spedita in camera mia. Entrai e trovai Abigail seduta sulla branda. Quando mi vide abbassò lo sguardo. Non persi tempo a confortarla, né le chiesi come si sentisse dopo i giorni di convalescenza. La odiavo.
Non avevo dimenticato il modo in cui quella mattina mi aveva ignorata, fingendo che non stesse accadendo nulla a pochi passi dal suo giaciglio.
Finsi che quella figura ingobbita seduta sulla branda fosse una presenza eterea, uno spettro innocuo, e quando Charity mi chiamò uscii. Mentre lasciavo la stanza udii un mormorio, ma non mi attardai ad ascoltare con attenzione.
Io e Charity iniziammo così la giornata, e poco dopo Abigail si unì a noi. Zoppicava.
«Guarda un po' chi è caduta dalla branda», disse Charity, sprezzante. «Bentornata tra i viventi.»
Abigail si limitò a prendere lo straccio che Charity le porse e si mise all'opera, lo sguardo basso.
Charity restò per un po' a osservarci, poi andò via.
Eravamo lì che lavoravamo in un silenzio opprimente, quando udii queste parole: «Mi dispiace.»
Sulle prime feci finta di nulla, ma quando Abigail si ripeté, mi trovai costretta a guardarla. Sospirai.
«Non è colpa tua», dissi, assolvendola.
«Se avessi detto qualcosa, qualsiasi cosa...»
«Avrebbe punito anche te», conclusi. «Lo so.»
Per un po' ce ne restammo in silenzio.
«Meriterebbe di essere impiccata», dissi.
Le ombre si addensavano fuori e dentro la Casa Nera, e giunse infine il momento di ritirarci nelle nostre stanze.
Theresa andò alla pagina successiva.
Quella notte accadde qualcosa di inaspettato. Ero distesa, incapace di dormire per via dei pensieri che mi vorticavano in testa come uno stormo di uccelli, quando mi parve di udire l'uscio di casa che si richiudeva. Pensai di essermi sbagliata, ma poi risuonarono dei passi dabbasso. Posai i piedi in terra e aprii bocca per chiamare Abigail, ma feci appena in tempo a mordermi la lingua. Non potevo coinvolgerla. Una nuova punizione non era quello di cui aveva bisogno.
Muovendomi con fare furtivo misi il naso fuori dell'uscio. Il corridoio era illuminato dalla luce delle candele. Le ombre danzavano sulle pareti come spettri inquieti. Uscii dalla stanza e mossi in punta di piedi fino a raggiungere la sommità della scala. Lì mi arrestai e tesi l'udito. Mi parve di carpire qualcosa. Un mormorio, flebile come la voce di un fantasma. Ero sul punto di decidermi a scendere dabbasso quando il rumore di un uscio che veniva dischiuso mi fece tremare.
Mi volsi e vidi John.
«L'hai udito anche tu?» chiese in un sussurro, mentre mi raggiungeva.
«Iniziavo a pensare di averlo sognato», risposi.
Lo vidi scuotere la testa. «Non è stato un sogno. C'è qualcuno, di sotto.»
«Cosa facciamo?» chiesi.
«Dobbiamo svegliare mio padre», disse e mosse verso la stanza dei suoi genitori.
Lo fermai afferrandolo per un braccio. «Se mi trova a girovagare per casa in piena notte mi farà punire», dissi.
Lui mi guardò e vidi una fulgida consapevolezza sgorgargli in viso.
«Non deve sapere che sono uscita dalla mia stanza», mormorai.
Lui annuì e muovemmo assieme. Si fermò dinanzi alla porta della stanza dei suoi genitori, quindi aspettò che io tornassi nella mia. Richiusi l'uscio e lo sentii mentre entrava. Restai in ascolto, l'orecchio premuto sul legno, incapace di sopprimere la curiosità.
Dopo alcuni secondi che si protrassero per un'eternità, udii un cauto bussare di nocche, e mi accorsi con enorme sorpresa che la mano che provocava quel rumore si trovava al di là dell'uscio contro il quale stavo acquattata. Restai ferma. Poi udii una voce, soffice come una piuma.
«Ehi, sono io.»
Riconobbi la voce di John e aprii.
«Mio padre non è nella sua stanza», mi disse.
Non sapevo cosa pensare. Anche John sembrava interdetto.
Udimmo un tonfo al piano di sotto che ci fece trasalire.
«Cos'è stato?» chiesi.
«Non lo so, ma ho intenzione di scoprirlo», disse lui, e si allontanò prima che potessi fermarlo.
«Aspetta», dissi. Lui si girò a guardarmi. «Vengo con te.»
Iniziammo a scendere in punta di piedi. A circa metà della scala, John si fermò.
«Ascolta», sussurrò. Tesi l'udito e carpii un mormorio. «C'è qualcuno di sotto.»
Continuammo a scendere. Arrivati di sotto ci attardammo un attimo nel tentativo si stabilire da dove provenisse quel vociare furtivo.
«Sono nella stanza da pranzo», sussurrò John. Muovemmo ancora qualche passo e ci schiacciamo contro la parete.
«... la nave arriverà tra pochi giorni.»
«Molto bene.»
«Come la mettiamo con la mocciosa?»
Le due voci sussurravano, ma grazie al silenzio che ammantava la Casa Nera eravamo in grado di distinguere ogni parola.
«Dov'è, adesso?»
«In cella. Gli uomini di guardia mi hanno informato che ha seguitato ad urlare ed abbaiare per tutto il giorno, e un paio di volte l'hanno sorpresa che cercava di arrampicarsi sulle mura della cella. Sorta la luna ha smesso di colpo, e l'hanno vista inginocchiarsi sotto la luce che filtrava tra le sbarre come se si accingesse a pregare. Dicono che parlava con qualcuno, ma nella cella non c'era nessuno oltre a lei.»
Mormorarono qualcosa, ma stavolta fu talmente flebile che John si volse a guardarmi con aria interrogativa. Scossi il capo. Non ero riuscita ad udirlo con chiarezza.
Li sentimmo muoversi e facemmo appena in tempo a rannicchiarci sulle scale, coperti dalla parete. I passi mossero allontanandosi, poi udimmo l'uscio di casa aprirsi e richiudersi. Restammo in ascolto per un lungo minuto e, quando fummo certi che si fossero allontanati, riprendemmo a respirare.
«Di chi erano le voci che abbiamo udito?» chiesi, forse più a me stessa che a John.
«Di mio padre e del magistrato Keene», rispose John.
«Come fai a dirlo?»
«Non è la prima volta che...»
Udimmo rumore di passi al piano di sopra. Ci azzittimmo di colpo. La mia mano strinse quella di John.
«Chi c'è?» chiese una voce che riconobbi all'istante.
Mi strinsi a John, cercando di farmi piccola come uno gnomo. Lo guardai implorante e lui fu lesto a rispondere: «Sono io.»
«Signorino? Cosa fate in giro per casa a quest'ora?» chiese Charity.
La udii muoversi. Dalla sommità delle scale balenò un fioco bagliore tremolante.
John mi costrinse a spostarmi. Mi nascosi dietro l'angolo mentre un'ombra magra faceva la sua comparsa sui gradini.
«Oh, eccovi qui. Si può sapere cosa vi ha spinto fuori dalla vostra stanza nel bel mezzo della notte?» domandò Charity e, con grande orrore, mi accorsi che stava venendo giù.
«Io... avevo sete», disse John.
L'ansia nella sua voce era palpabile.
«Potevate chiedere a me. È per questo che vostro padre mi ha assunta. Vado subito a...»
«Non importa», intervenne John, sbrigativo. «Mi è passata.»
Ci furono alcuni secondi di silenzio, poi Charity disse: «Quand'è così, vi riaccompagno di sopra.»
Udii i passi di entrambi su per le scale. Poi il suono di cardini che cigolavano.
«Buonanotte, signorino», disse Charity dal piano di sopra.
La porta si chiuse e i passi risuonarono lungo il corridoio, fino a dissolversi. Rimasi ferma, al buio, a respirare piano. C'era mancato poco. Se quella strega mi avesse sorpreso, credo che mi avrebbe portata nei boschi per frustarmi a morte.
Attesi per quella che sembrò un'eternità, poi mi decisi ad andare di sopra. Salii in punta di piedi e sbirciai prudentemente. Non vidi nessuno in corridoio, e allora mossi rapida e silenziosa. A un passo dalla porta della mia stanza, un asse del pavimento cigolò. In quella quiete, il sinistro cigolio che emise fu come il rintocco di una campana in un cimitero. Varcai la soglia nello stesso istante in cui una porta si apriva. Mi infilai rapida sotto le lenzuola e mi voltai su un fianco, fingendo di dormire.
Pochi secondi e la porta si aprì. Finsi di dormire. Non sapevo chi fosse la presenza sulla soglia, ma sentivo che mi guardava. Una voce interiore mi disse di restare immobile e così feci. Quegli attimi durarono un'eternità e, quando finalmente la porta si richiuse e udii i passi in corridoio, riaprii gli occhi.
Il cuore mi batteva come un tamburo da guerra indiano.
Riuscii infine ad addormentarmi, ma mi ci volle un po'. Sognai ancora quella nera presenza che mi inseguiva, ma nel sogno non riusciva a trovarmi, perché John mi nascondeva al sicuro nel grembo di un tronco tranciato a metà. E quando la presenza nera gli ordinava di rivelarle dove fosse la piccola mocciosa a cui dava la caccia, lui la indirizzava nel folto dei boschi, lontano da me.
E mentre la tetra figura si allontanava, una voce che emergeva dalle profondità del sogno continuava a ripetere un nome...
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