Senza tregua (parte 6)


All'alba ero pronto per rimettermi in marcia. Scolai mezza bottiglia d'acqua e mandai giù qualcosa, una schifezza non meglio identificata preparata da Miriam, poi sacca in spalla mi incamminai di primo mattino. Il sole era già rovente: dopo neanche un chilometro ero zuppo di sudore, ma non potevo farci niente. Procedevo con cautela in mezzo ai cumuli di ossa, misere carcasse semi polverizzate o annerite dal calore, dall'aspetto sempre più terrificante, seguendo con testardaggine quella scia di morte che in teoria avrebbe dovuto portarmi alla salvezza.

Ad un certo punto arrivai in una zona pressoché sgombra da resti umani, un'ampia distesa di bianca polvere mortifera e nient'altro. Qualcosa non andava, me ne accorsi subito. Mi fermai, incerto su quale direzione prendere, quando vidi crearsi all'improvviso un paio di depressioni nella non – sabbia, proprio di fronte a me. Le due conche, di forma circolare e dal diametro di un paio di metri, si fecero più profonde ad ogni istante che passava, per poi vomitare, simili a bocche deformi, la polvere d'ossa verso l'alto, formando una sorta di foschia.

Mi voltai d'istinto, sapendo già chi avrei rivisto. Zosser era lontano, eppure la sua figura era perfettamente riconoscibile, come sempre. Teneva ambo le braccia sollevate verso il cielo, in un gesto primitivo da sciamano. Era pura potenza. Capii allora che avrebbe potuto raggiungermi in qualunque momento, e fare di me ciò che voleva. E l'avrebbe fatto prima o poi, ma nel frattempo si sarebbe divertito a torturarmi. Miriam aveva ragione, quell'uomo era un demonio. Tornai a fronteggiare la foschia, che nel frattempo si era fatta più densa: minuscoli granelli di polvere bianca fluttuavano in aria mentre si ammassavano fra loro, a formare delle figure. Non passò molto prima che si modellassero due scheletri, che senza preamboli arrancarono nella mia direzione, pronti ad attaccarmi.

Ebbi appena il tempo di lanciare la bisaccia contro il teschio di uno dei due abomini, facendolo arretrare, anche se di poco, quando l'altro mi affondò i denti senza vita nella spalla destra, causandomi un dolore lancinante. Il silenzio del deserto fu turbato dalle mie urla. Non so come, ma riuscii a scrollarmi quello schifo di dosso, mentre sanguinante cadevo nella polvere, senza più speranza di potermi difendere. Ma quando tutto sembrava ormai perduto, i due scheletri presero fuoco dall'interno, annerendosi fino a ridursi a sottili ombre, sbriciolandosi a vista d'occhio, lasciando vistose tracce scure nella polvere biancastra. Il puzzo di bruciato si diffuse con rapidità nell'aria cocente, dandomi la nausea.

Mi alzai a fatica, tamponando la ferita alla spalla destra con l'altra mano. Non sembrava grave, perdevo poco sangue, ma quel morso bruciava come l'inferno. Zosser non si era mosso, e mi osservava da lontano; teneva ora le braccia conserte, e soddisfatto si gustava lo spettacolo. Mi sentii solo e perduto. Raccolsi la sacca e la caricai sulla spalla buona, gemendo per il dolore. Mi avviai nella direzione opposta a quella del mio tormentatore, ostinandomi nonostante tutto a cercare una via di fuga.

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