Senza tregua (parte 4)


Uccisi mia moglie quasi per caso. A volte le coincidenze decidono per noi, avviene più spesso di quanto non si pensi; è piuttosto sconcertante, ma è vero. Era una sera di fine novembre, e il freddo ormai si faceva sentire già da qualche settimana; avevo appena finito l'ennesimo turno in studio di registrazione, quando chiamai il cantante della mia band per avvertire che avrei saltato le prove. Mi inventai la più classica delle scuse, ovvero che mi sentivo poco bene. In verità ero più che altro stanco, quel doppio impegno cominciava a gravarmi sulle spalle. Ma non era solo questo: stavo perdendo interesse per la musica, ormai i miei pensieri erano rivolti alla vendetta. Tornai a casa molto prima del solito, ad un orario quasi decente, come non succedeva da secoli.

Martina era in casa: dalla camera da letto arrivava la solita musica da classifica, oltre a dei rumori non meglio identificabili. Sembrava quasi che stesse facendo pulizie, ma a quell'ora di sera non era possibile. Era invece probabile che non mi avesse nemmeno sentito arrivare, tutta presa da quello che stava combinando, sicura che sarei rincasato a notte inoltrata. Stavo per raggiungerla, quando notai un biglietto sul tavolo del soggiorno. Ne lessi in fretta il contenuto, attraversato da varie sensazioni, anche contrastanti, la più intensa delle quali era lo stupore.

Si trattava del classico biglietto d'addio. Di quel banale ammasso di parole non mi restò nulla, se non la sua immediata conseguenza: Martina stava per abbandonare il nostro tetto. Per il resto il messaggio mi scivolò addosso come acqua, senza lasciare alcuna traccia nella memoria. Ma un particolare mi colpì con tale violenza da scuotermi dall'apatia: non c'era scritto a chi quell'addio fosse indirizzato, insomma il mio nome non compariva sul biglietto nemmeno per sbaglio. D'altronde chi altri avrebbe potuto leggerlo in casa nostra? Era fin troppo ovvio che fosse per il sottoscritto. Quindi niente formule come "Caro Manuel" e simili... Evidentemente per la mia futura ex moglie non servivano. Il messaggio cominciava con "Ho deciso", un incipit che somigliava parecchio al carattere volitivo della mia poco dolce metà.

Non poteva saperlo, ma aveva appena commesso il più grande errore della sua vita: un piano, che fino ad allora non ero riuscito a realizzare, si formò con impressionante rapidità nella mia mente tanto sconvolta quanto attiva; in quegli attimi concitati riuscii a comporre il diabolico mosaico che mi era sfuggito per settimane, decidendo in modo drammatico e definitivo della mia vita e di quella altrui. E tutto avveniva per puro caso, solo perché ero tornato a casa prima del solito: Martina era ancora lì con me, la tenevo in pugno.

Erano passati solo pochi minuti, non mi ero ancora tolto il giubbotto, tantomeno i guanti. Questi ultimi mi sarebbero serviti, come la pistola che da settimane portavo sempre addosso. Estrassi la beretta e la pulii accuratamente con un fazzoletto, per cancellare qualsiasi impronta ci avessi lasciato sopra. Fatto questo mi diressi verso la camera da letto, con l'arma puntata davanti a me. Spinsi con violenza la porta lasciata socchiusa, per il solo gusto di spaventare la mia vittima. Sorpresi Martina mentre faceva le valigie, pronta a lasciarmi come un povero stronzo: ecco il perché di quegli strani rumori! Con la mano libera spensi la musica che arrivava dal tablet, senza mai perdere di vista il mio bersaglio.

Mia moglie era rimasta bloccata come una statua, con ancora in mano un reggiseno che stava per infilare in una valigia. Le cadde di mano senza emettere alcun suono. I suoi occhi verdi si fecero grandi, enormi, ipnotizzati dalla pistola che stringevo nella destra. Pareva una bambina spaventata da una fiaba truculenta.

- Che fai, Manuel? - ebbe la forza di dire con un filo di voce.

- Faccio quello che devo. - mi limitai a rispondere, mentre esplodevo un unico colpo che le trapassò il petto sulla sinistra. In quel momento esatto sentii schiantarsi anche il mio cuore, e capii nelle più oscure profondità di me stesso che non sarei più stato la stessa persona.

Martina cadde esanime sul pavimento, senza un lamento, morta sul colpo. Controllai le pulsazioni sul collo, al livello dell'arteria carotide per accertarmene: attraverso il tessuto del guanto non riuscii a percepire nulla. Una chiazza rossa, sempre più larga, si spandeva con rapidità sotto il cadavere, i cuoi occhi fissi sul nulla sembravano accusarmi. Glieli chiusi più per paura che per pietà. Soffocai ogni emozione, o sarei stato perduto. Dovevo restare lucido. Sollevai il corpo stando bene attento a non sporcarmi di sangue, e lo stesi sul letto, in modo che chi fosse entrato nella stanza l'avrebbe visto immediatamente. Quindi mi fermai ad ascoltare con attenzione, ma nel silenzio che seguì lo sparo non udii il suono delle sirene che tanto temevo. Forse i vicini erano fuori, o forse si facevano gli affari loro. Bene, poteva partire la seconda parte del piano.

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