Senza tregua (parte 3)
Quando il buio arrivò mi sorprese in mezzo a carcasse di ogni tipo. Mi allontanai da quei miseri resti, e mi sistemai per la notte in una zona sgombra da ossa. Tirai fuori la coperta donatami da Miriam: non intendevo usarla per ripararmi dal freddo, ma come barriera fra me e quella polvere disgustosa: non mi sarei steso sulle briciole d'ossa per niente al mondo. Nonostante l'ombra che mi gravava sul cuore riuscii ad addormentarmi, e sognai.
Un uomo scavava in un campo, dandomi le spalle. Portava un cappello a tesa larga. Con colpi rapidi e precisi della sua vanga staccava senza fatica grosse zolle di terra, per poi buttarle in giro alla rinfusa. Aveva scavato abbastanza da creare una fossa piuttosto grande e profonda. Ad un tratto si fermò, ammirando il suo lavoro. Il sole era alto nel cielo, eppure nel giro di poco nuvole nere di inchiostro lo oscurarono quasi del tutto, facendoci piombare di colpo nelle tenebre. Gli alberi presero a tremare come scossi da un attacco epilettico, con i rami che si contorcevano in pose assurde, impossibili, finendo per assomigliare ad artigli di legno. Lo sconosciuto si scostò, mettendosi di profilo, ma il cappello calato sulla fronte impediva di poterlo guardare bene in faccia. Sogghignava, ma non c'era nessuna vera allegria in quella smorfia. Mi parve di intravedere un paio di baffi, ma non ne ero certo. Ero troppo terrorizzato per badare ai dettagli.
Delle mani arrancavano dalla fossa. Una donna si issò dal buco nella terra, nuda e terribile. Ancora sporca di fango si stagliava nella scarsa luce rimasta come il peggiore degli incubi. Era bianca di un pallore mortale, simile ad un fantasma, e la putrefazione aveva agito su di lei segnandola in modo orribile: i vermi le avevano divorato le palpebre, lasciando del tutto scoperti i globi oculari, rendendo il suo sguardo folle, allucinato; la parte destra delle labbra non c'era più, scoprendo in quella zona gengive nere e denti guasti, da cui colava un rivolo scuro giù fino al mento. Le costole avevano bucato il torace in più punti, e la mano sinistra penzolava in modo grottesco, prossima a staccarsi. Era Martina.
Si avvicinava con fare lento e inesorabile. Non riuscivo a muovermi, ero inchiodato lì, in preda al terrore.
- Non ce l'ho con te, Manuel. - fu la sua finta rassicurazione, a cui non potevo credere. La sua voce suonava distante, pareva arrivare da molto lontano, lì dove riposano i morti. Quando mi raggiunse proclamò trionfante: - Niente può separarci, nemmeno la morte. Staremo sempre insieme. Sempre. - e accostò il suo viso sfigurato al mio. Avvertii il fetore nauseabondo della tomba, eppure neanche allora riuscii a muovere un muscolo. Il suo bacio fu un morso animalesco, con cui mi staccò il labbro inferiore, lordandosi di sangue fresco.
Mi svegliai urlando come un ossesso. Mi alzai dalla coperta all'istante, neanche fossi stato morso da un serpente. Mi guardai attorno in preda al panico, mentre una risata ultraterrena copriva le mie grida disperate. Quel riso malefico riempì tutto, propagandosi in ogni angolo di quel mondo perduto, per poi spegnersi piano piano, come un'eco maligna. Capii che Max Zosser era vicino, e ci teneva a farmelo sapere.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top