Senza tregua (parte 2)


Il tizio che mi aveva fregato la donna si chiamava Mario. Aveva 43 anni, faceva il dentista ed era divorziato da alcuni mesi. Si diceva in giro che la rottura con la sua ex fosse dovuta al fatto che la povera donna non potesse avere figli. Che fossero malignità o meno, ritenni probabile ci fosse del vero, e che il cavadenti piacesse a Martina anche e soprattutto per questo: con lui avrebbe potuto finalmente mettere in cantiere il bebè tanto desiderato. Avevo ottenuto quelle informazioni facendo un po' di domande in giro in modo discreto, sperando di non suscitare sospetti. Sempre ammesso che i miei informatori non sapessero già delle mie corna... Ma lo ritenevo poco plausibile: ero abbastanza sicuro che il tradimento di mia moglie fosse cosa recente, e che andasse avanti al massimo da qualche settimana. Non potevo non accorgermene (come in effetti era successo) per troppo tempo.

Ormai io e Martina vivevamo più come coinquilini che come marito e moglie: ci vedevamo poco e parlavamo ancora meno, comportandoci come due estranei che dividono cordialmente lo stesso tetto. Lei non affrontava mai l'argomento, e non capivo cosa aspettasse; era evidente che non potevo non sapere o quantomeno sospettare, ma forse voleva che facessi io il primo passo. Verso la separazione, ovvio.

Ma erano questioni che mi sfioravano appena; arrivato a quel punto, passavo la maggior parte del tempo a progettare l'omicidio che mi avrebbe vendicato, oppure a spiare i due amanti. Anche al lavoro rendevo meno del solito, la mente occupata a fantasticare il delitto perfetto. Covavo un odio che si faceva di giorno in giorno sempre più intenso, e faticavo a tenerlo a bada: a volte ero tentato di rintracciare quel Mario e massacrarlo con una mazza da baseball, oppure passavo in auto per le vie frequentate dalle prostitute, pronto a rendere pan per focaccia. Ormai facevo sempre più fatica a dominarmi. Altre volte, molto più rare, ero tentato di rinunciare a tutto e andarmene, lasciando la nuova coppia al suo destino. Ma durava poco, poi la rabbia spazzava via ogni tentativo di buon senso, e l'odio tornava più bruciante che mai. Non riuscivo ad accettare l'idea che la felicità che mi aveva donato Martina non esistesse più. Ero troppo immaturo per fare i conti con la realtà.

Mi procurai una pistola. Non avendo il porto d'armi, fui costretto a rivolgermi a dei criminali. Anni prima avevo suonato con un batterista che si faceva di eroina: fu allontanato dal mio gruppo di allora perché ormai fuori controllo; inoltre ciò che rimaneva del suo modesto talento si stava rapidamente trasformando in qualcosa di simile al rumore. Provai a contattarlo dopo tanto tempo, e scoprii che era ancora vivo. Quando lo vidi di persona stentai a riconoscerlo: era poco più di uno scheletro con i vestiti addosso. Essendo un drogato, mi aspettavo che bazzicasse ambienti tutt'altro che puliti, e infatti fu lui, dietro compenso, a mettermi in contatto con il tizio che mi vendette la pistola.

Lo incontrai di notte in un vicolo buio e sporco, l'ambiente adatto per quel tipo di transazione. Era un biondino giovane e belloccio, il classico tipo che piace alle donne. Eppure la sua espressione aveva qualcosa di ripugnante, sembrava perverso. Mi chiesi se la mia malvagità fosse altrettanto evidente. Mi vendette una vecchia beretta, facendomela pagare il doppio del suo reale valore. Ma non potevo fare altrimenti.

- Ha la matricola abrasa. - mi informò con fare professionale. Mi fece vedere come scarrellare e infilare i proiettili, e come puntare l'arma.

- Dopo che l'avrai usata, liberatene. Fa' in modo che nessuno possa trovarla. - mi avvisò alla fine, trattandomi come il novizio che ero. Afferrai la beretta con autentica bramosia. Stavo per andarmene, quando fui trattenuto per una spalla.

- Tu non mi conosci, chiaro? Ricordatelo, se vuoi continuare a campare. -

Gli puntai la pistola a diretto contatto con lo stomaco.

- Come hai detto che si toglie, la sicura? - lo minacciai a mia volta. Ma invece di intimidirsi o tentare una reazione violenta, il biondo scoppiò a ridere.

- Impari presto, tu! -

Nelle settimane successive consultai la rete in cerca di informazioni su come usare le armi da fuoco. Non potendo frequentare un poligono di tiro, presi l'abitudine di andare all'alba nei campi incolti all'estrema periferia della città. Allineavo su delle pietre le lattine di birra che scolavo con la band durante le prove, usandole come bersagli improvvisati. All'inizio ero una frana, ma migliorai in fretta. Ad ogni centro immaginavo di aver beccato la testa di uno dei due amanti. Negli ultimi tempi capitava sempre più spesso, e non riuscivo a non sorriderne.

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