L'oasi nera (parte 5)
Una delle tante volte che rincasavo all'alba, non trovai mia moglie nel nostro letto. Non era in casa... A quell'ora! Guardai in bagno e poi ovunque, anche in un posto improbabile come lo sgabuzzino; scattavo da una parte all'altra dell'appartamento come un matto, senza fare ipotesi, guidato solo dall'angoscia e dalla frenesia. Dove diavolo era? Cos'era successo? Le stanze vuote e tristi parevano riverberare le mie domande come un'eco maligna, lasciandomi sgomento. Tuttavia non durò molto: stavo per chiamare Martina al cellulare, quando sentii girare la chiave della porta d'ingresso. Mi precipitai nel corridoio, e la sorpresi mentre chiudeva piano la porta.
- Dove sei stata? - chiesi precipitosamente, come il più classico dei mariti preoccupati. O gelosi.
- Da mia madre. - rispose senza guardarmi negli occhi – Mi ha chiamato un paio d'ore fa, non si sentiva bene. Adesso sta meglio. - e si allontanò senza aggiungere altro, dirigendosi in bagno – Sono distrutta. Vado a dormire. - aggiunse sbadigliando con studiata noncuranza.
Non le credetti. A parte che era chiaro che mentisse come il sole a mezzogiorno, il modo in cui era acconciata non lasciava spazio a dubbi: era elegante come chi va ad una cena, altro che dalla madre, bella come non la vedevo da parecchi mesi. E tutto quel trucco e parrucco non era certo per me, ma per qualcun altro. Stavo per prendere a calci la porta del cesso, quando mi fermai a metà del corridoio. A che sarebbe servito? Una scenata non avrebbe fatto altro che allontanarla ancora di più, rafforzando i suoi intenti con il mio rivale... Già, chi era costui? Con chi avevo a che fare? Volevo sapere chi fosse quel bastardo, ma ero certo che Martina avesse cancellato qualsiasi messaggio compromettente dallo smartphone. L'unico modo sicuro era seguirla, e capirci finalmente qualcosa.
Il giorno dopo saltai le prove con la band. Alle sette e mezzo di sera ero già appostato di fronte alla palazzina in cui vivevo: mi trovavo al volante di una macchina non mia, una baracca su quattro ruote che mi ero fatto prestare dal bassista del gruppo, in modo da poter seguire Martina senza farmi sgamare. Da dove mi trovavo potevo vedere la sua Yaris blu parcheggiata poco più in là, sul marciapiede opposto. Non aspettai molto: dopo quasi mezz'ora la vidi uscire dal palazzo tutta in ghingheri, che si dirigeva tranquilla verso la propria auto. Mi acquattai nell'abitacolo temendo potesse guardare dalla mia parte, ma andò tutto liscio come l'olio.
La seguii per mezza città tenendomi a distanza di sicurezza, e quando finalmente parcheggiò non lontano da un noto ristorante, la osservai turbato uscire dalla macchina e varcare la soglia del locale, mentre mi allontanavo con discrezione. Feci il giro dell'isolato con le mani che tremavano, ma mi imposi la calma o non sarei neanche più riuscito a guidare quella vecchia carretta. Da quando andava avanti quella storia? Ero stato così cieco, tutto preso dai miei impegni!
Poco dopo tornai dalle parti del ristorante, e proprio in quel momento un tizio si allontanava con la sua auto, lasciando un posto libero di fronte al locale, ad una distanza di circa venti metri. Colsi l'occasione e mi fermai, godendo di un ottimo punto d'osservazione.
Quella sera il caso giocava a mio favore: non dovetti nemmeno aspettare che Martina e il suo amante uscissero dal ristorante; avevano preso posto ad un tavolo prossimo ad una delle vetrate, consentendomi di osservarli piuttosto bene nonostante la distanza. Se non ebbi difficoltà a riconoscere mia moglie, il tipo che era con lei non mi diceva nulla, anche se in effetti aveva un'aria familiare. Era abbastanza ben messo, spalle piuttosto ampie e pareva alto anche da seduto; dimostrava giusto qualche anno in più del sottoscritto, e vestiva in maniera curata, elegante. Dovetti fare uno sforzo per recuperare il suo ricordo dalla memoria: era il fratello di un'amica di Martina, che non molto tempo prima mi era stato presentato ad un festa. Si chiamava Marco o Mario, faceva il dentista ed aveva divorziato da poco. Era in cerca di una seconda possibilità, ma certo non avrei mai potuto immaginare che ci avrebbe provato con mia moglie... Mi era sembrato un tipo pratico, concreto, ma senza troppa fantasia. Insomma il mio contrario, forse il genere di uomo da cui ora Martina si sentiva attratta, dopo essere stata delusa da me.
Più li guardavo e più sentivo montare una rabbia cupa, senza pietà. Stringevo il volante con troppa forza, facendomi sbiancare le nocche, immaginando fosse un collo da torcere. Non pensai nemmeno per un momento di provare a riconquistare mia moglie, o magari lasciarla per rifarmi una vita. I miei pensieri, sempre più neri, prendevano ben altre direzioni. Qualcosa emerse dalle mie profondità, qualcosa che aveva sempre dormito e che ora si destava furioso, reclamando vendetta.
Li avrei ammazzati, tutti e due. Il pensiero mi attraversò netto come una coltellata nel cervello: faceva male, ma una volta arrivata quell'idea non voleva sapere di andarsene. Mi dissi che era pazzesco, che non era da me, eppure capii che era ciò che avrei fatto. Non sapevo ancora come e quando, ma era solo una questione di tempo. I due piccioncini si sorridevano a vicenda, irradiando felicità neanche fossero una coppia da spot televisivo... Eppure erano già morti.
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