L'oasi nera (parte 3)
Quando mi svegliai vagai con lo sguardo, in preda alla confusione. Sdraiato su quel lurido letto osservai incredulo le pareti nude di quella catapecchia di pietra, per poi soffermare la mia attenzione sulla barella vuota, dove con ogni evidenza aveva dormito chi mi ospitava; mi chiesi se stessi ancora sognando, non riuscendo del tutto ad accettare quella realtà deprimente. Mi misi seduto sul materasso senza difficoltà: fisicamente stavo molto meglio, mi ero ripreso, ma dentro l'angoscia mi rodeva l'anima.
- Hai dormito tutta la notte e tutta la mattina. E' pomeriggio inoltrato, ormai. - disse la donna che mi aveva recuperato nel deserto, quasi mi stesse accusando di poltroneria. Era seduta dalla parte opposta del tavolo, e pareva non avesse altro da fare che aspettare il mio risveglio.
- Sto meglio, grazie. -
Speravo che il sarcasmo riuscisse a scalfire la sua corazza, ma non fu così.
- Lo vedo. - si limitò a constatare, indifferente. Quella donna mi irritava: sembrava che niente riuscisse a toccarla, era un muro di gomma in sembianze femminili. Mi alzai, e recuperai i vestiti appoggiati alla bell'e meglio su una delle sedie. A parte le mutande ero nudo come un verme: mi aveva spogliato mentre dormivo, e la cosa non mi garbava neanche un po'. Ma mi aveva salvato la vita, non potevo dimenticarlo.
- Senti... - tentai di esprimerle la mia gratitudine, ma mi fermò subito con un gesto della mano.
- Aspetta a ringraziarmi. Datti una rinfrescata e poi mangia, piuttosto. Ne hai bisogno. -
Non lontano dal letto c'era un catino pieno d'acqua. Lo tenni sollevato con una mano, e con l'altra mi lavai il viso. L'acqua che scivolava sulla pelle era una bella sensazione. Quando ebbi finito raggiunsi il tavolo, dove mi aspettavano un piatto con una brodaglia a base di riso, e una caraffa piena d'acqua.
- Mangia. - ordinò atona - Poi parleremo. - aggiunse con un tono vagamente minaccioso. Feci quanto mi era stato detto: avevo fame e anche sete, e poi ero certo che quella Cassandra nera non avesse buone notizie da darmi. Insomma, non faceva certo venir la fretta di ascoltarla.
- Mi chiamo Miriam. - si presentò di punto in bianco, senza porgere la mano, non appena ebbi finito di mangiare – E non mi interessa sapere chi tu sia. Per me siete tutti uguali. Il mio compito è dirvi la verità, e anche con te non farò niente di più. -
- Siamo tutti uguali!? Tutti chi? -
- Voi assassini. -
Quelle parole galleggiarono nell'aria immobile come una maledizione. Per un attimo mi sembrò quasi di poterle vedere, di poterle toccare. Il volto di Miriam era imperscrutabile, pareva un totem.
- Cosa credi di sapere su di me? - alzai la voce, in realtà più spaventato che in collera.
- Solo il necessario. Non so chi hai ucciso, né perché, e nemmeno mi interessa. Ma se sei qui, non può esserci che un motivo. -
Si carezzò un paio delle lunghe treccine che le incorniciavo il viso con aria seccata. Per lei era tutto normale, pura routine, magari anche noiosa.
- Dove siamo? -
La domanda mi sfuggì dalle labbra come un'imprecazione trattenuta a lungo.
- All'inferno. - rispose guardandomi dritto negli occhi – L'inferno degli assassini che non hanno pagato il loro debito. -
Era vero, il sottoscritto aveva un debito con la giustizia, ma mai avrebbe pensato che nell'universo esistesse un luogo apposta per quelli come lui...
- Tu sei pazza! - gridai terrorizzato, alzandomi con tanta foga da rovesciare la sedia – Non sono mica morto! Dì un po', ho forse l'aria di un cadavere? – la sfidai a contraddirmi.
- No che non sei morto, idiota. Ma sei comunque qui. –
Per lei la faccenda era semplice e chiara come il sole.
- E l'inferno cosa sarebbe, una grande spiaggia dove prendere la tintarella? – ironizzai, continuando a contestare la sua stramba teoria. Gesticolavo come un pazzo, non ero più padrone delle mie azioni.
- Quella non è sabbia. -
Miriam non si scompose nemmeno un po'. Quanti reazioni simili alla mia aveva visto? Ad un tratto mi sentii perduto.
- Ma che dici? - balbettai, confuso. Tentavo in tutti i modi di portare quella conversazione dalle parti del razionale, ma ero destinato a fallire miseramente. – I deserti sono fatti di sabbia, cos'altro vuoi che sia? -
- Polvere di ossa. - fu la risposta che mi scaraventò nel delirio. Provai ad immaginare quanti milioni o miliardi di morti e di ossa sbriciolate occorressero per riempire con la loro macabra polvere un intero deserto... Non ci riuscii. Mi girava la testa, il mio cervello sovraccarico si era riempito di immagini troppo orribili da sopportare. Crollai sul letto per non svenire.
- Hai trovato dei resti umani, vero? - mi provocò quella donna diabolica, mentre tentavo di restare almeno seduto sulla brandina, le gambe molli come gelatina – Ti stai rendendo conto di dove ti trovi? Eh? -
Mi limitai ad annuire, sconfitto, mentre facevo mente locale. La sua spiegazione, per quanto orrenda, chiariva il perché dello strano colore bianchiccio di quella sabbia che non era sabbia, nonché le ossa in cui mi ero imbattuto.
- Hai visto un uomo... - continuò senza pietà – Un uomo che fa paura? - aggiunse, quasi divertita. Un sorrisetto, per quanto appena accennato, le mosse gli angoli della bocca. Avrei tanto voluto darle un pugno e farla sanguinare.
- Se lo sai già, che me lo chiedi a fare? - rintuzzai pieno di risentimento.
- Si chiama Max Zosser, ed è il padrone di questo posto. E' qui per te. –
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