L'oasi nera (parte 1)
La prima cosa che vidi fu il cielo in fiamme: non appena riaprii gli occhi ammirai un tramonto rosso fuoco, che mi fece venire l'idea un po' bizzarra che il sole fosse appena esploso, e che stesse irradiando tutto il calore che gli restava, prima di spegnersi per sempre. Poteva anche essere l'ultimo dei giorni, per quanto ne sapevo. Ero steso pancia all'aria, stordito come non mai, la bocca arida, la gola ridotta a un forellino strozzato. Mi resi vagamente conto di muovermi: osservavo il cielo cremisi scorrere davanti ai miei occhi inquieti, senza capire come fosse possibile, quando finalmente recuperai un po' di lucidità, e fui in grado di capire che qualcuno mi aveva steso supino, e mi trascinava sulla sabbia.
- A... ua... - farfugliai con difficoltà. La lingua mi si appiccicava al palato senza saliva. – A... Acqua! - ripetei un po' più forte. Il movimento cessò all'istante.
- Ah, ti sei svegliato. - sentii dire a una voce femminile. Non mi piacque: in quelle parole si era insinuato qualcosa che sapeva di sconfitta, di rassegnazione. La donna mi si accostò con atteggiamento sbrigativo, facendomi ombra, e mi porse una borraccia. Mi sollevai a stento sulla barella improvvisata (mi accorgevo solo in quel momento di essere adagiato su una rozza tela, ai cui lati erano attaccate due lunghe stecche di legno) senza che la sconosciuta mi aiutasse, e bevvi come l'assetato che ero, tracannando in men che non si dica l'intero contenuto della borraccia. Poi crollai esausto, sudando copiosamente.
La mia salvatrice mi osservava senza curiosità, né mostrava sollecitudine. Era una donna di colore di mezza età piuttosto magra, con lunghe treccine che le arrivavano fin oltre le spalle. Indossava un vestito bianco alquanto sporco e malmesso, tutt'altro che candido.
- Chi sei? - riuscii a dire ancora, in un soffio appena udibile.
- Non sono nessuno. - rispose la donna senza cortesia – Non sforzarti, sei ancora debole. Sei rimasto chissà quante ore svenuto sotto il sole. – aggiunse con fare spiccio, per poi tornare a trainarmi. Fui sballottato per un tempo che non seppi calcolare; non degnai l'orologio nemmeno di un'occhiata, mi limitai a tenere gli occhi chiusi per il resto del tragitto, cercando di riposare. Mi appisolai.
Quando mi svegliai ero davanti ad una singolare abitazione squadrata, non molto grande, col tetto piatto, fatta di pietra. Non aveva porta, ma un'entrata ad arco piuttosto tozza che mi ricordò l'ingresso di una caverna. Ai lati c'erano due aperture più o meno circolari, più simili ad occhi ciechi che a delle finestre. Quella costruzione era tutta nera, come il brutto sogno di un bambino, e non riuscii a capire se fossero nere le pietre usate per metterla insieme, o l'avessero pitturata apposta di quel colore. Certo che era un'oasi molto particolare, per un deserto altrettanto unico!
- Prova a tirarti su. - disse la donna porgendomi la mano, che afferrai con un certo sforzo. Non l'avevo neanche vista, tutto preso com'ero a contemplare quella strana casa. Riuscii in qualche modo a mettermi in piedi e mi ressi alla sconosciuta, che dovette sopportare una parte del mio peso.
- Hey, vacci piano! - protestò – Non sei mica un peso piuma. - finì con voce piatta. Mi condusse alla sua assai umile dimora, deponendomi non appena poté sull'unica brandina. Il resto del mobilio consisteva in un semplice tavolo di legno e due sedie. Notai in un angolo un bel po' di roba ammucchiata alla rinfusa: vestiti, cibo e oggetti vari. Questo era tutto: più che una casa pareva la cella di un condannato. Steso su quel letto di fortuna guardai chi mi ospitava con fare interrogativo, cercando di intercettarne lo sguardo sfuggente.
- Ho un sacco di cose da chiederti. – provai di nuovo, sperando mi desse qualche informazione.
- Dopo. - si limitò a dire – Adesso riposa. Ti aspetta una dura prova. -
Di che diavolo blaterava? A che si riferiva? Ma non ebbi la forza di fare altre domande, ero troppo stanco. Gli occhi si chiusero da soli, e scivolai nell'oblio.
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