Il volto della morte (parte 1)
Una crepa si aprì nel cielo, spezzando in due una nuvola nera. Osservai il fenomeno senza provare particolare stupore, da quelle parti ero stato testimone di spettacoli assai peggiori. Dopo qualche istante si aprì un'altra lesione, non molto lontana, e poi un'altra e un'altra ancora: nel giro di pochi secondi le crepe si moltiplicarono, nel cielo e nella terra, si aprivano simili a ferite nell'ambiente sempre più irreale, che ricordava ormai una finzione di cartone, prossima a collassare su se stessa. E così fu: dopo non molto quel panorama da incubo crollò davanti ai miei occhi, dissolvendosi per rivelare la realtà di tutti i giorni. Ovvero le solite strade affollate di veicoli e passanti, negozi, palazzi e banalità varie. Eppure il sottoscritto si trovava ancora nella "tomba del mondo", ad osservare stupito quello spettacolo inatteso, come lo spettatore in un cinema rapito dalle immagini sullo schermo. La gente dall'altra parte non dava segno di accorgersi di me e del paesaggio fantastico che ancora mi circondava, ma ero certo che potessi raggiungerli. Bastava fare due passi, no?
Potevo tornare a casa, finalmente. Lo pensai per una manciata di secondi, davvero per attimo mi illusi che fosse tutto finito. La speranza è dura a morire, anche se ci si trova all'inferno. Ma poi mi accorsi di riconoscere un uomo che si nascondeva in mezzo alla folla, il cui cappello a larghe falde era impossibile non notare. Il lungo spolverino, lasciato aperto, gli arrivava fino alle ginocchia, e ad ogni passo si gonfiava dietro la schiena a mo' di mantello, rivelando una camicia bianca, sporca in più punti di rosso, sangue che ero certo non fosse suo. Come al solito portava il cappellaccio calato sulla fronte, a celare la parte superiore del viso, ma il suo ghigno malefico restava comunque bene in vista. Sapeva che l'avevo individuato, era ciò che voleva, illudermi per poi godere della mia sofferenza: con una paio di ampie falcate superò la calca e oltrepassò l'invisibile confine che separava i due mondi.
Per la prima volta ci trovammo faccia a faccia: Zosser sollevò il cappello, quel tanto che bastava a rivelare il volto dai lineamenti duri, spigolosi, incorniciato da folti baffi neri e ricurvi che gli arrivavano fino al mento. Un paio di occhi azzurri quasi bianchi, forse sbiaditi dall'ostinato sole del deserto o dalla follia di quella mente perversa, mi scrutarono senza pietà, e provai paura come mai prima. Miriam mi aveva avvisato che poteva far impazzire con un solo sguardo, e in quel momento le credetti. Quel tipo pareva uscito da un film di Sergio Leone, ma invece di estrarre una colt e puntarmela contro, disse minaccioso: - Basta giocare. Adesso si fa sul serio. –
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