Capitolo 1 - la punizione


Mi sveglio di soprassalto respirando affannosamente, mi gira la testa e vedo sfuocato.

Mi passo una mano tra i capelli e mi accorgo di essere quasi completamente bagnato di sudore. Sbuffo, tremendamente infastidito, l'incubo ha ricominciato a tormentarmi.

È da quando avevo tredici anni che questo incubo mi perseguita, ma quando ha iniziato era tutto indefinito sia la conversazione che le immagini e man mano che crescevo diventava sempre più nitido fino a qualche settimana fa, quando non l'ho più fatto. Pensavo di essermene liberato e di poter finalmente dormire sonni tranquilli. La cosa più sconvolgente è che sta volta era più chiaro che mai, le immagini perfettamente "reali" per non parlare della conversazione. Cosa mi sta succedendo? Che significato ha questo incubo? Perché lo sogno in continuazione? Si dice che i sogni siano influenzati anche dalle esperienze belle o brutte che siano, soprattutto quelle brutte, ma io non ho mai avuto esperienze così significative, la mia vita è sempre stata molto tranquilla, quasi noiosa, sicuramente sarà tutta colpa dei miei compagni che non fanno altro che prendermi in giro e starmi alla larga, sì, dev'essere per forza così.

La flebile luce dell'alba penetra dalla finestra illuminando il mio letto, guardo la sveglia che segna le cinque e mezza, mi alzo e mi dirigo in bagno ancora con la testa che mi gira. Una bella doccia fresca basterà per farmi passare di mente questo maledetto incubo.

Mi tolgo il pigiama e entro nel box doccia, l'acqua fresca che scende dal telefono della doccia mi rigenera e mi rilassa completamente i muscoli, e penso alla noiosa giornata di scuola che mi aspetta. Tra poco mia madre dovrebbe chiamarmi per la colazione.

Già i miei genitori sono sempre stati molto carini e gentili con me, mi hanno aiutato quando ne avevo bisogno a scuola, a judo quando i miei compagni mi prendevano in giro e mi evitavano. Lei si chiama Helen, è piuttosto bassa ma ha dei bellissimi capelli rossi e ricci e gli occhi verde, acceso, invece mio padre si chiama James, lui è piuttosto alto e ha i capelli misti tra il grigio e il castano, e gli occhi sono di color cioccolato. Sono entrambi delle splendide persone, anche se sono parecchi anni che ho come l'impressione di non essere loro figlio... insomma, siamo praticamente opposti sia come aspetto fisico che di carattere. Sono entrambi molto estroversi e sempre carichi di energia, a differenza mia che sono il contrario, ovvero introverso, chiuso in me stesso e mi riesce parecchio difficile essere felice e sorridere e sono spesso inespressivo e indifferente.

Esco dalla doccia, mi asciugo e mi infilo un paio di boxer. Entro in camera e mi vesto mettendo un paio di semplici jeans fino al ginocchio e una maglietta nera, anche questa molto classica e infine le mie Vans nere.

«Clay, sveglia è ora di alzarsi!» sento mia madre chiamarmi e entrare in camera con la sua solita vestaglia arancione che risalta le sue curve, quando mi vede alza gli occhi al cielo.

«Clayton*, insomma, perché non dormi come tutti i ragazzi normali? Su forza che la colazione è pronta.» accenna ad una punta di ironia. Detto questo se ne va, mi piacerebbe essere come gli altri, riuscire a divertirmi e esprimermi come fanno i normali diciottenni come me, ma non ci riesco.

Prendo lo zaino e scendo in cucina, c'è già papà che legge il giornale e beve contemporaneamente il caffè, mentre la mamma sta bevendo una tazza di latte.

«Buongiorno figliolo, un'altra giornata di scuola...» sbuffo e mi siedo al mio posto cominciando a mangiare un po' di biscotti bevendo il thè.

«Goditela, perché sono gli anni migliori.» non per me, ma non lo dico. «Sì, papà.» finisco la colazione e esco avviandomi a scuola.

Davanti a scuola c'è, come sempre, Shawn ad aspettarmi. Shawn è un bel ragazzo corteggiato da parecchie ragazze per il suo ciuffo biondo e gli occhi azzurri, ma è anche l'unico che è riuscito a buttare giù il muro che mi ero creato per non fare amicizia con nessuno, è semplicemente unico, un vero amico, quando ho bisogno c'è sempre e con la sua positività riesce sempre a tirarmi su di morale.

«Ehi amico, cos'hai? Non hai una bella cera...» e ovviamente sa sempre riconoscere il mio stato d'animo, anche se cerco sempre di nasconderlo restando indifferente. «Non sono riuscito a dormire, tutto qua.» lui alza un sopracciglio, tipico di quando non crede a quello che gli viene detto, sbuffo scocciato dalla sua curiosità.

«È successo di nuovo.» sorride. «Ora è tutto chiaro, più tardi mi racconti ora dobbiamo correre in classe.» la campanella è già suonata da un po', quindi insieme corriamo verso la nostra classe.

Finalmente dopo ben sei ore di noiose lezioni la campanella si decide a suonare, tutti i ragazzi si alzano e escono dalla classe come razzi. Cerco Shawn con lo sguardo, ma non lo trovo. Sarà già uscito. Prendo le mie cose e mi dirigo verso l'uscita, ma poco prima vado a sbattere contro qualcuno che mi fa cadere i libri che avevo in mano.

«Oh cielo, scusami tanto!» dice la ragazza cercando di rimediare raccogliendo i libri, aiutandomi. «Tranquilla, scusami tu, non ti avevo proprio vista.» dico distaccato.

Mi alzo e la osservo meglio: è abbastanza alta e con un fisico da modella, i capelli biondo chiaro che ricadono dolci e mossi sulle spalle, gli occhi invece sono molto particolari di colore grigio, ma non il solito grigio spento, sono molto più chiari, quasi cristallini. La osservo un ultima volta e poi mi giro e torno per la mia strada. Vedo Shawn sul cancello e dopo averlo salutato, torno a casa più stanco che mai.

Apro la porta di casa e sto per annunciare il mio arrivo come faccio di solito, quando sento delle voci provenire dalla cucina. Mi avvicino silenziosamente alla porta della cucina e ascolto. Respiro piano cercando di non fare rumore e il cuore comincia a battermi molto velocemente per qualche strano motivo. Le voci sono sicuramente dei miei genitori, ma parlano in un modo così strano...

«Non possiamo farlo, James no!» dice mia mamma piangendo, non l'ho mai sentita così, deve essere qualcosa di veramente importante. «Sai che non abbiamo scelta, dobbiamo farcene una ragione.» il ritmo del mio respiro comincia ad aumentare, di cosa stanno parlando? Su cosa non hanno scelta?

«Ma...» non riesce a finire la frase che ricomincia a piangere senza controllarsi «Cosa ti ha scritto di preciso?»

«Che lo verrà a riprendere oggi stesso e che non lo rivedremo mai più.» chi? Che significa mai più?

«Forza Hel, adesso basta piangere, sarà qui da un momento all'altro.» stanno per caso parlando di me?

Troppe domande e zero risposte, comincio seriamente ad irritarmi.

Apro lentamente la porta trattenendo il fiato ed entro in cucina. Li trovo abbracciati e papà le sta accarezzando i capelli. Sono molto belli insieme una coppia innamorata e molto affiatata anche se hanno più di quarant'anni. Mi guardano stupefatti, non si aspettavano la mia comparsa. Io li guardo confuso ed entrambi cercano di forzare un sorriso, ma il risultato non è molto soddisfacente.

«Vieni con noi, è arrivato il momento che tu sappia come stanno veramente le cose.»

Mi trascinano in salotto dove ci sediamo tutti e tre sul comodo divano.

Il cuore mi martella sul petto, sto impazzendo, cosa devo sapere? Come stanno le cose veramente? Quindi sono io quello di cui parlavano poco fa?

«Prima di tutto, devi sapere che non siamo noi i tuoi genitori...» mi fissano parecchio sorpresi, non si aspettavano che l'avessi notato.

«Mamma, papà ho diciotto anni era da un bel po' che lo sapevo, ma non ve l'ho mai chiesto.» chiarisco perché per loro sono ancora il loro bambino piccolo che non riesce ad accettare certe situazioni, ma non è così sono adulto ormai. E forse nemmeno più di loro...

«Tesoro devi sapere che il tuo vero padre ti ha affidato a noi quando avevi tredici anni, non sappiamo come mai non ricordi nulla della tua infanzia. Ti abbiamo fatto credere di averti cresciuto noi, ma la verità è che non sappiamo niente di te, della tua famiglia, il nostro compito era quello di crescerti e di farti un brav'uomo...» sono scioccato, davvero non sanno chi sono i miei genitori e chi sono io? E sono veramente qui da quando avevo tredici anni? Come faccio a non ricordarmi nulla della mia infanzia?

«In questo ci siamo riusciti, sei diventato grande ormai, hai perfettamente ragione, hai imparato le cose essenziali e ora sei pronto per tornare dalla tua famiglia che vuole rivederti, gli sarai sicuramente mancato...» James ha gli occhi lucidi mentre Helen ha centinaia di lacrime che le bagnano le guance e io niente...

Possibile che neanche in un momento del genere riesca a versare una singola lacrima? Mi sento un mostro, in effetti non ho ricordo di aver mai pianto, chissà se da piccolo mi è successo almeno una volta... Servirebbe per tirarmi un po' su di morale.

«Figliolo ricordati sempre che ti vogliamo un mondo di bene.» vorrei rispondere sfoderando un enorme sorriso e dicendo che anch'io gli voglio bene, ma non ci riesco tutto quello che mi esce fuori e un "Anch'io" freddo e indifferente. Perché sono così... freddo? Non è assolutamente normale.

Ad interrompere i miei pensieri ci pensa il campanello, sto forse per incontrare il mio vero padre? Diciamo che incontrare il proprio padre dopo che ti ha lasciato ad una coppia che non conosce nemmeno per cinque lunghi anni non dovrei essere molto felice...

Helen si mette a piangere abbracciata a James, sanno anche loro che probabilmente sarà l'ultima volta che li vedrò.

Mi alzo dal divano e vado lentamente ad aprire la porta. Prendo la maniglia, faccio un respiro profondo e altre domande si insinuano nel mia mente. Come sarà? Gli assomiglio? Si ricorderà di me?

Apro la porta e rimango letteralmente scioccato da quello che vedo...

«Ciao, ti ho riportato il quaderno di chimica che ti era caduto prima» è la ragazza con cui mi sono scontrato, com'è possibile? Come fa a sapere dove abito?

«Ehm...grazie davvero, ma devi scusarmi, non è un buon momento questo...» dico con un moto di sorpresa nella voce e prendo il quaderno che aveva in mano, faccio per chiudere la porta e tornare dentro ma lei mi blocca.

«Non ci siamo nemmeno presentati, io sono Evelyn e tu sei Clayton, giusto? ...Non credi di essere un po' scortese chiudendo la porta in faccia alle persone che ti riportano le cose che perdi?» ma quanto parla? E soprattutto chi si crede di essere per dirmi cosa devo fare?

«No, visto che ho problemi più importanti a cui pens-» non c'è nulla da fare, entra in casa senza lasciarmi il tempo di finire la frase «Carina la tua casa, ci sono i tuoi?»

Non so più che cosa fare, senza aspettare risposta si dirige in salotto dove si trovano Helen e James allora io richiudo la porta e la seguo.

«Salve voi siete i genitori di Clayton, giusto? Io sono Evelyn, una sua compagna di scuola.» dice solare. Almeno non c'è bisogno di presentarla...

I miei genitori adottivi mi guardano sia sorpresi che confusi e io rispondo alzando le spalle non sapendo che dire.

«Sì, siamo noi.» dice Helen cercando di chiarirsi la voce. «Signora va tutto bene? Ha gli occhi arrossati?» che impicciona, adesso la mando fuori di qui con la forza, come si permette di ficcare il naso dove non deve?

«Non ti preoccupare, è tutto a posto, tesoro.» mia madre è troppo buona, per fortuna da una parte e sfortuna dall'altra, il campanello suona di nuovo, ma questa volta so di chi si tratta...

«Vado io» dico avviandomi verso la porta, faccio un altro respiro profondo e apro la porta...

Mi ritrovo davanti un uomo parecchio giovane, ma la cosa che più mi colpisce è la tremenda somiglianza tra i suoi capelli e i miei, la barbetta, il fisico alto e allenato e infine gli occhi, ma questi ultimi sono più stanchi e spenti. «Posso entrare o preferisci che rimanga fuori dalla porta?» mi domanda, con il mio stesso modo totalmente indifferente. Non ci sono dubbi, dev'essere lui...

«Sì sì, entra pure» mi lancia un'occhiataccia, che ho detto di sbagliato?

Si dirige in salotto come nulla fosse e si accomoda sulla poltrona, io lo osservo in silenzio e noto che rispetto a quando era davanti alla porta sembra più inquieto, ma non è l'unico ad avere un comportamento sospetto, c'è anche Evelyn che sembra intimorita e allo stesso tempo disgustata, quando fino a poco fa sprizzava gioia da tutti i pori. La storia comincia a puzzare. Resto con lo sguardo nel vuoto aspettando che qualcuno cominci una conversazione.

«Credo che ti abbiano spiegato chi sono, giusto? Quindi penso che possiamo anche andare, ho parecchie cose da spiegarti...» niente, neanche un minimo ringraziamento alle stupende persone che mi hanno cresciuto come loro figlio, sento un po' di rabbia ribollire dentro ma mi ricompongo subito, al contrario, faccio una cosa che stupisce i miei genitori adottivi ma ancora di più me, gli abbraccio tutti e due, sempre un po' freddamente ma è già un buon traguardo.

«Scusa Evelyn, ma ho cercato di dirti che non era un buon momento questo. Addio.» dico cercando di essere più distaccato possibile anche se un po' mi dispiace, perché si vede che c'è rimasta veramente male.

Detto questo saluto un ultima volta Helen e James che ricambiano con gli occhi lucidi e seguo mio padre fuori dalla casa. Spero di rivederli un giorno...

Seguo il mio misterioso padre fino ad un vicolo parecchio nascosto e appartato e lì si blocca.

«Chiudi gli occhi.» mi ordina più che dice, sento comunque che non è il momento adatto per fare domande e faccio come mi ha detto. Chiudo gli occhi e attendo, dopo pochi secondi però la mia curiosità ha il sopravvento e socchiudo un occhio, ma lo spettacolo che mi ritrovo davanti me li fa sgranati entrambi. Dalla schiena gli spuntano due enormi ali nere, apparentemente molto robuste e forti, e in seguito vedo mio padre stendere una mano verso di me, e poi una luce rossa e in fine buio...

*Clayton: il significato del nome è roccia o argilla, l'ho scelto per la sua determinazione nel diventare come suo padre nel prologo: duro, freddo e difficile dal scalfire, tutto quello in realtà non è ...

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