CAPITOLO VENTOTTESIMO
Nota:
Vi chiedo scusa per le mie assenze, a volte lunghe, e del ritardo nel leggere il vostro e proporvi il mio proprio nel momento in cui la storia va per concludersi. Purtroppo un incidente all'occhio che sembrava un sciocchezza si è rivelato più rognoso del previsto e spesso sono costretta a portare bende e a rispettare il divieto di concentrarmi su tutti gli aggeggi elettronici che riflettono ste luci massacranti per gli occhi stessi.
Ora, con quest'ultima cura, sembra andare meglio, dopo due mesi di prove strazianti. Perdonate gli eventuali errori probabili per via della vista un po' sbilenca 🙈 e non esitate a farmeli notare. Spero di riuscire a recuperare presto tutto, lettura e scrittura, e un grazie a chi è ancora qui a leggere nonostante tutto... 🖤
Suzette.
~.~.~.~
«Aiuto! Aiutatemi per favore!» L'urlo echeggiò tra gli alberi.
Più tardi, Sara credette che era stato quello il momento in cui era veramente cosciente e nella realtà, e che aveva lanciato il primo grido, ma non ne era sicura.
Lei, che sentiva di amare suo fratello... cercò di ignorare ciò che aveva visto.
«No! Non è possibile.» Sara pensò di impazzire.
L'immagine era ormai nitida davanti ai suoi occhi. Quel che vedeva era solo quell'infinita gola che inghiottiva Lincoln. Non vi era altro. L'ambiente circostante era un enorme buco buio, nero, come quel colore che tanto aveva tormentato i suoi ricordi assenti.
Ripensò a quel fiore che vorticava per il dirupo, all'irrefrenabile danza che l'avrebbe portato a sbattere sul suolo, spoglio dei suoi petali, e magari spezzato nel cuore della linfa. Sarebbe rotolato giù, tra il terreno dissestato e l'immagine perpetua di Lincoln che compiva la stessa coreografia.
"È stata lei!"
Si ridestò dallo shock solo quando vide svanire del tutto suo fratello, quando persino l'ombra restava un'altra immagine indelebile tra sterpaglie e chiome luminescenti degli arbusti.
«Aiuto!» Scosse il capo violentemente per tentare di svuotare la mente da quella scena orribile.
Il pianto disperato si disperse nell'aria, mentre il suo cuore si riduceva a una spugna secca.
«Maledizione! Perché nessuno mi sente!»
Sara urlò di nuovo forte: grida soffuse di sconfinato dolore e affiliazione. Non era nulla la sofferenza fisica comparata al male e agli spasmi dell'anima.
Alcune mani l'afferrarono e Sara si sentì trascinare verso il dirupo. Era di fronte a lei, lo vedeva spiccare nell'immensa volta celeste.
«No! No, ti prego!» Urlò come una pazza mentre suo fratello continuava a tirarla. Quelle mani violacee cosparse di sangue sembrava non avessero alcuna pietà.
«Oh Dio! Come ho potuto lasciarti cadere!»
"Vieni. Vieni da me Sara."
La voce di Lincoln sembrava arrivasse dal fondo di quel precipizio, ma lei riusciva a toccare le sue mani fredde.
"Sara..."
«No!» Le gambe scalciavano mentre si dimenava sfinita.
«Sara! Sara, basta!»
Michael le diede uno schiaffo, e tutto si arrestò di colpo.
Il silenzio tornò sovrano nella foresta, solo gli affanni solfeggiarono intonati le tristi note del dolore.
Quando Sara riaprì gli occhi infuocati, Lincoln era scomparso e davanti a lei c'era soltanto l'umida natura. Non c'era più alcun sussurro, niente mani, nessuna immagine, solo l'ululato del vento che parecchi metri sopra di lei sferzava sulla testa degli alberi.
Il capo le ricadde in avanti. Ansimò, poi alzò lo sguardo con una smorfia di dolore sul volto. Fissò con i suoi occhi spenti il volto di Michael che la teneva fra le braccia.
Mosse le labbra, ma non emise alcun suono.
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