CAPITOLO VENTISETTESIMO
Il mattino seguente, quando Poul si recò nella sua cucina, l'ospite l'attendeva con una tazza fumante in una mano e nell'altra un blocco di fogli dai quali spuntavano luminescenti post-it scarabocchiati con una grafia indecifrabile, e tratti evidenziati nel bianco.
«Nottataccia?» Poul si versò del caffè.
«Già.» Michael rispose distratto mentre continuava a girare e rigirare quei fogli tra le mani.
«E quelli cosa sono?» L'amico si avvicinò circospetto per poi sedersi accanto al dottore.
«Stanotte non riuscivo a dormire, Poul. Non do pace al pensiero di cosa le sia accaduto, e come.»
«Ti capisco.» Diede un morso a una ciambella ancora adagiata nella confezione. «Hai preso la mia macchina?»
«Come scusa?» Michael alzò lo sguardo confuso.
«Voglio dire... A meno che le ciambelle non abbiano le gambe e che quei fogli facciano parte del disordine della mia scrivania, presumo che siano arrivati dall'esterno e che tu ne sia l'artefice.» Sventolò per aria il dolce fino a riportarselo alla bocca. «Ah! Charlie sforna le ciambelle migliori del mondo!» Mandò giù il boccone e poi proseguì: «Allora?»
Michael sorrise, e dovette ammettere dentro di sé che Poul fosse uno dei pochi a riuscire a farglielo fare anche nei momenti più difficili.
«Sì. Ho preso la tua macchina...»
«Ma prego! Fa come se fossi a casa tua! Quando te l'ho detto ieri sera, non lo pensavo sul serio amico.»
Michael arrossì di colpo mentre l'imbarazzo e la perplessità presero il sopravvento: «Oh... scusami Poul, pensavo non fosse un problema. Io...»
«Avanti, Michael! Non fare il cretino. Sto scherzando!» Poul rise di gusto al sospiro che cacciò di bocca il suo amico. «E posso sapere dove hai portato la mia fidanzata? Oltre che a comprare ciambelle ovviamente.»
«La risposta è qui dentro Poul.» Il Dottore divenne serio. «Questo è il diario di Sara. Sono andato a prenderlo e non ho fatto che leggere e rileggere finora.»
«In che senso è lì dentro, Michel?» Poul, interessato, si poggiò al tavolo.
«Sara sembra abbia fatto un cambio totale dei sentimenti dalla morte di suo fratello. Il rancore che provava per lui è svanito nel nulla. Come se un colpo di spugna avesse cancellato tutto il nero. Come se qualcosa le fosse bastato per dimenticare.»
«La perdita di una persona che si ama a volte è sufficiente per sotterrare tutto, Michael. Nel momento del dolore si comprendono cose che prima ci erano impossibili da capire.»
«Poul... lei non amava suo fratello in quel momento. L'ha sempre visto come un rivale e una mina vagante. Si è sempre cacciato nei guai e ne ha creati di grossi agli altri. Sara era una ragazzina, non aveva la maturità di rendersi conto che Lincoln si comportava come la stragrande maggioranza degli adolescenti.»
«Dove vuoi arrivare Dottore.»
«Credo che Sara abbia rimosso qualcosa dalla sua testa Poul,» sospirò per poi tornare a voltare quei fogli fin dall'inizio, «e quel qualcosa le ha regalato tutte le sue fobie e paure. Lei vede e sente suo fratello perché il subconscio tenta di risvegliare nella parte razionale del suo cervello quel buco nero che sotterra quel qualcosa.»
«Quindi credi che tenga un segreto nascosto.»
«Non volontariamente. Sì. » Michael si fermò fissando una pagina del diario. «E la mia più grande paura è che questa cosa sia tornata a galla Poul, e se così fosse, Sara è in serio pericolo.» Continuò a essere distratto da quelle righe.
«E ti sei fatto un'idea di cosa possa essere?» Watson insistette.
«Sì, ma non ne sono sicuro e terrò la bocca chiusa.» Guardò Poul con decisione. «Terrò la bocca... chiusa.»
«Non è un atteggiamento giusto Michael. Se mi rendessi le idee più chiare potrei aiutarti...»
«Idiota che sono!» Michael mise via in fretta tutta la carta disseminata. «Se i suoi problemi sono strettamente correlati a Lincoln, anche la sua scomparsa potrebbe esserlo.»
«Non ti seguo.»
«Il Monte dei Sospiri, Poul! È il luogo dove è accaduto l'incidente a Lincoln. Sara potrebbe essere corsa lì in cerca di risposte.» Michael divenne ceruleo in volto. «Nelle sue allucinazioni il fratello continuava a dirle... cerca le risposte e ci salveremo.» Prese i documenti e corse verso il portone d'ingresso.
«Un momento Michael!» Lo fermò il suo amico. «Dove credi di andare.»
Miller si irrigidì. O il suo amico gli avrebbe dato il permesso di andare, oppure lo scatto verso la macchina avrebbe superato quello del miglior velocista.
«Vengo con te.»
A quelle parole Michael tornò a respirare. Poul prese le chiavi e tirò via il suo amico chiudendosi la porta alle spalle.
La macchina li guardava a due metri di distanza, come se non aspettasse altro, come se fosse pronta a percorrere quei chilometri in un battito di mani.
Salirono a bordo e si lanciarono verso le strade di una Flashy ancora mezza addormentata. Il sole aveva appena colorato il manto celeste e l'assoluto silenzio era l'unica cosa che accompagnava i due uomini verso la destinazione.
Imboccarono la I-44 e l'auto di Poul sfrecciò a tutta velocità verso ovest, verso quella catena di monti che segnava il confine tra il comparto montuoso dell'ovest e le alte pianure dell'est. Le ruote attaccate all'asfalto stridevano sulle curve che delimitavano le alte montagne rocciose ai lati. La natura compatta incorniciava un panorama dove importanti ostacoli geografici svettavano nella loro imponenza. Aree verdi protette avrebbero accolto il paradiso, se non fosse che proprio lì in mezzo si ergeva il "Despairing sigh", il Monte dei Sospiri... Quello che a Sara sfuggì di quel nome è che quei sospiri fossero disperati.
Si lasciarono l'interstatale alle spalle avvolgendosi intorno a quel monte che sembrava volesse inghiottirli. Avrebbero raggiunto presto il punto che cercavano; in pochi osavano sfidare l'inquietudine che trasmetteva superata una certa altezza.
«Michael, è impossibile sia arrivata fin quassù da sola e in quelle condizioni» osservò Poul, piuttosto nervoso.
«Ci siamo quasi.» Rispose senza mostrare interesse alle parole dell'amico. «Ecco! È qui!» Disse indicando una piazzola di sosta. «È qui che lasciano la macchina i visitatori...» Smorzò la frase quando si accorse dell'area desolata.
Poul sostò, ma della macchina di Sara non vi era nessuna traccia.
Michael scese frettolosamente e si infilò per un sentiero fitto di arbusti e vegetazione, fino a sbucare nella distesa d'erba che accoglieva le persone nelle loro gite all'aria aperta. Sullo sfondo, la compatta fila di abeti. Michael ebbe un brivido d'inquietudine.
«Non è qui.» Constatò rammaricato.
«Sei sicuro sia questo il punto?»
«Sicurissimo. Sono venuto spesso con lei. Qui non torna mai da sola.»
«Più in alto ci sono altre tre o quattro piazzole, se non sbaglio. Proviamo a dare un'occhiata. Se fosse venuta davvero qui sopra, non credo le sia stato facile tra l'oscurità riconoscere...»
«Da soli non ce la faremo mai, Poul» lo interruppe.
Michael abbassò lo sguardo. Un vento fresco soffiava sull'erba e spinse un pacchetto di sigarette vuoto sulle sue scarpe. Si tastò nella giacca per ricordarsi di aver smesso con la nicotina da oltre due anni. Cosa non avrebbe dato in quel momento per una sigaretta, una soltanto. Non sapeva come andare avanti, dove cercare. Tutto dentro di lui si rifiutava di accettare l'idea di arrendersi, ma non aveva altra scelta. Poteva solo aspettare che la polizia trovasse Sara.
«Ho fatto partire le ricerche Michael.»
«Spero non sia troppo tardi.»
«La troveranno!» Poul cercò di rasserenarlo. «Nel frattempo andiamo a controllare più avanti.»
Michael annuì speranzoso. Il fatto che Poul non l'avesse abbandonato, e che perseverasse nel volerlo aiutare, gli donò coraggio.
«Andiamo o no?» Poul lo richiamò lungo il sentiero, e senza proferire parola il Dottore lo seguì per poi tornare di nuovo a bordo dell'auto.
Nonostante il giorno fosse inoltrato, in quelle strade che pulsavano nel cuore del Monte, la vegetazione fitta lasciava spazio solo a piccoli spiragli dove i raggi del sole si infiltravano timidamente. Michael abbassò il finestrino ristorandosi con i refoli freschi. Si sentiva ancora l'umidità della notte e il profumo di terra e resina delle foreste tutt'intorno. L'odore si infilò nelle narici. Chiuse gli occhi inspirando per poi riaprirli di scatto sulla voce tuonante di Poul.
«C'è una macchina laggiù!»
Mentre i metri di distanza si accorciavano, Michael si paralizzò alla vista di quella carrozzeria grigia.
«È di Sara...» mormorò, quando il cuore prese a rimbalzargli nel petto.
Poul si avvicinò cauto per sostare proprio dietro la Toyota parcheggiata a ridosso della strada. Sembrava non avere nessuno a bordo.
«È sua cazzo!» Michael trattenne l'urlo precipitandosi fuori dall'auto.
Dal lunotto posteriore sbucava il cappello con il logo della squadra di pallacanestro "Denver Nuggets" appartenuto a Lincoln.
«Non toccare nulla!»
Poul gridò mentre la mano del dottore era pronta ad afferrare la maniglia della portiera anteriore.
Michael continuava a fissare la macchina. Nonostante l'afa, gli venne la pelle d'oca; come se dall'auto provenisse un alito gelido.
«C'è della roba qui! Accanto alla sua borsa!»
Michel fremette. Ebbe la sensazione che il cranio gli stesse per esplodere e il terreno fosse in tremito sotto i suoi piedi.
«Spostati.»
Poul si avvicinò con un fazzoletto avvolto tra le dita. Aprì lo sportello, e il vetro della bottiglia vuota luccicò adagiato sul sedile.
«Vodka.» Se la girò fra le mani. «Ecco la bottiglia acquistata sulla West Avenue.»
«Lei... lei non beve, Poul. Lei...»
«E questo?»
Superò con lo sguardo la borsa è tirò su fra le dita una scatola bianca per metà rotta, dalla quale sbucavano blister mezzi vuoti.
Michael sentì il mondo crollargli addosso.
«È Tepharol.»
Strinse i pugni angustiato. Un peso sul petto lo costrinse a portarsi le mani fra i capelli. Se Sara avesse fatto ciò che immaginava, lui sarebbe stato quello ad averle fornito la chiave per aprire il varco alla morte.
«Credi possa aver fatto una cosa del genere Michael?» Poul non ebbe coraggio di esprimersi in maniera esplicita.
Muller si asciugò il volto intriso di sudore e lacrime silenti: «Non si sarebbe mai tolta la vita. Ma ora... ora non lo so più, Poul. Non so cosa sia accaduto nella sua testa, cosa l'abbia spinta. Io...»
Un grido trepidò nell'aria mettendo a tacere l'intero creato.
Michael l'accolse come una stoccata al muscolo vitale. Quella voce fu un'arma precisa e dalla punta spietata.
Il suono rotolava giù lungo il pendio con violenza e disperazione. Qualcuno urlava tra la compatta e impenetrabile foresta di pini.
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